I cyborg umani e l'interazione macchina-cervello nella sperimentazione medica moderna - Seconda Parte

di Gianluca Turconi

Seconda parte: all'alba del XXI secolo, i cyborg umani che parevano confinati alla fantasia letteraria e cinematografia sono invece presenti nella sperimentazione medica, la quale dopo i primi timidi passi nei collegamenti tra uomo e macchina si sta spingendo sempre più avanti nella ricerca scientifica, fino a toccare l'ultima e più difficile frontiera, il cervello e il pensiero umano.

I cyborg umani

Nonostante si faccia spesso riferimento ai cyborg umani come esseri che si servono delle parti elettromeccaniche per migliorare il proprio fisico normale, nella realtà scientifica odierna, i cyborg esistenti hanno spesso subito impianti a fini terapeutici, per poter superare disabilità fisiche. Vediamo chi sono i più conosciuti a livello mediatico.

Jesse Sullivan

Jesse Sullivan perse le braccia in un incidente di lavoro e, grazie al Rehabilitation Institute di Chicago, ebbe la possibilità di sperimentare protesi robotiche sostitutive degli arti.

Sperimentazione di protesi Eyeborg per non vedenti in Ecuador, immagine rilasciata sotto licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo 3.0 Unported, fonte Wikipedia, utente Pinkstrikes

Sperimentazione di protesi Eyeborg per non vedenti in Ecuador.

Tali protesi collegano direttamente il suo sistema nervoso agli arti robotici, consentendogli di muoverli semplicemente pensando di farlo. La particolarità di questa implementazione cyborg risiede nel fatto che i nervi originariamente deputati al movimento delle sue braccia naturali sono stati collegati al petto, così quando Sullivan pensa di sollevare un braccio, alcuni muscoli del petto si contraggono e trasmettono l'impulso corrispondente all'arto robotico che si muoverà di conseguenza.

È da sottolineare che Sullivan ricevette questo trattamento già nel 2005, al Centre for Bionic Medicine, quindi pur essendo certamente un intervento terapeutico all'avanguardia è ormai vicino al decennio di sperimentazione.

Kevin Warwick

Kevin Warwick è un personaggio molto controverso, uno scienziato che fa arricciare il naso, se non peggio, ai comitati etici di diverse nazioni. È professore di cibernetica all'Università di Reading, nel Regno Unito, ed è esperto di impianti cyborg.

Fin qui nulla di male.

I problemi etici nascono dalla propensione di Warwick a sperimentare le proprie apparecchiature su se stesso.

Per sua stessa ammissione, il professore si può considerare come il primo cyborg umano esistente, dato che cominciò a fare esperimenti sul proprio corpo già nell'agosto 1998.

Si impiantò un chip di identificazione a radiofrequenza (Radio Frequency Identification o RFID) sotto la cute dell'avambraccio per riuscire a controllare apparecchiature elettriche ed elettroniche (lampade, stufette, computer) senza entrare in contatto con esse. Una stanza poteva rilevare la sua presenza e reagire accendendo le luci o attivando il riscaldamento.

In seguito collegò le fibre nervose sotto il suo polso a un fascio di elettrodi che proseguivano lungo l'avambraccio per fuoriuscire nei pressi del gomito. Questo impianto gli consentiva di connettersi a vari dispositivi informatici che poteva utilizzare in maniera diretta, letteralmente.

Dal punto di vista scientifico, l'aspetto più affascinante di questo particolare esperimento non è tanto la possibilità di Warwick di controllare le apparecchiature elettroniche, quanto la vera interazione che ebbe con esse, in quanto anche le macchine lo influenzarono. Per esempio, sperimentò gli ultrasuoni in maniera completamente diversa da qualunque altro essere umano prima di lui.

Rob "Eyeborg" Spence

Nel 2008 Rob Spence divenne il primo essere umano dotato di un occhio cyborg.

Spence aveva perduto l'occhio da ragazzo in un incidente con un'arma, della quale si voleva servire, usando le sue colorite parole, "per sparare a un mucchio di sterco di vacca". Essere costretto a portare una protesi oculare per il resto della vita non gli aveva impedito di inseguire i suoi sogni e divenire un documentarista.

Proprio la sua professione fece nascere l'idea di sostituire la protesi passiva all'occhio con una versione digitale in grado di trasmettere a uno schermo a distanza quanto veniva catturato da una microcamera.

Grazie alla collaborazione col talentuoso ingegnere Kosta Grammatis che costruì il prototipo direttamente nella cucina di Spence e al successivo interessamento della RF-Links, azienda specializzata nelle trasmittenti multiuso, fu possibile trasformare un'idea amatoriale in un vero e proprio progetto scientifico con possibili sbocchi commerciali: l'Eyeborg Project.

Jerry "Dito USB" Jalava

Jalava si può considerare a metà strada tra Rob Spence e Kevin Warwick. Infatti, questo programmatore finlandese perse l'ultima falange dell'anulare della mano sinistra in un incidente con una motocicletta e anziché rassegnarsi a questa invalidità minore, pensò che l'avrebbe potuta sfruttare per ottenere vantaggi in ambito professionale.

Realizzò così una protesi cosmetica per la falange mancante che incorporava anche una memoria di massa USB, del tutto simile alle "chiavette" per computer tanto comuni oggi. Tale supporto conteneva anche diversi sistemi operativi che si potevano interfacciare con altri sistemi operativi o con apparecchiature elettroniche di vario genere.

Un sogno divenuto realtà, per un programmatore esperto come Javala.

La sfida più grande: il collegamento computer - cervello umano

Se è certamente difficile collegare protesi elettromeccaniche a parti biologiche complesse come le fibre nervose per creare protesi di braccia o gambe, ancora più complicato è cercare di mettere in contatto "macchine" con il cervello umano, accettando il confronto diretto con quando di più prezioso possediamo: la nostra mente.

Cappuccio a elettrodi per la rilevazione del neurofeedback, immagine rilasciata sotto licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic, fonte Wikipedia, utente Chris Hope

Cappuccio a elettrodi per la rilevazione del neurofeedback.

La repetitive transcranial magnetic stimulation (stimolazione magnetica transcranica ripetitiva, rTMS) è una tecnica sfruttata per attivare (con l'alta frequenza) o inibire (con la bassa frequenza) dei flussi magnetici e viene impiegata nel trattamento dei disordini psichiatrici. Essa ha dato ottimi risultati nella terapia di episodi depressivi maggiori e anche nella cura della schizofrenia (vedi Lisanby e altri in Applications of TMS to therapy in psychiatry e Coben R., Evans J. R. in Neurofeedback and Neuromodulation Techniques and Applications. London, UK: Elsevier)

La particolarità dell'rTMS consiste nel concetto di "dipendenza di stato TMS", vale a dire che l'efficacia della stimolazione non è legata solamente alla sollecitazione locale della rete neurale del paziente (terapia passiva), ma anche all'interazione tra la stimolazione e l'attività neurale complessiva in quel momento (terapia attiva). In pratica, l'rTMS è tanto più efficace quanto maggiore è la partecipazione del paziente con particolari tecniche neurodinamiche.

Su queste basi, già nel 2008, Peled nel suo Neuroanalysis (New York, NY: Routledge, 2008) ipotizzava di realizzare "pacemaker cerebrali" in grado di stimolare le parti del cervello necessarie all'applicazione terapeutica dell'rTMS.

Si è così sviluppato un grande interesse intorno al neurofeedback, una tecnica non invasiva che serve anche per insegnare al paziente tecniche cognitive capaci di cambiare l'attività neurofisiologica. Questo ruolo attivo del paziente ha però subito messo in luce la grande diversità di capacità di controllo cognitivo da persona a persona.

Medesime difficoltà rilevate da Wang e altri (vedi il loro Neural interface technology for rehabilitation: exploiting and promoting neuroplasticity) nel campo delle Brain Computer Interfaces (BCI, Interfacce Cerebrali Computerizzate). Esse sono utilizzate come strumenti d'assistenza diretta nei pazienti con deficit motori e si basano proprio sul feedback neurale che le attiva.

L'efficacia delle BCI è però molto variabile, esattamente come le tecniche cognitive già citate, e addirittura in una percentuale tra il 15% e il 30% dei pazienti, queste interfacce non funzionano.

Tra le molte soluzioni proposte per il problema, si è rilevata molto efficace quella che prevede il coinvolgimento del paziente, con l'aumento della sua partecipazione e delle sue motivazioni al raggiungimento dello scopo durante il funzionamento delle BCI, nonché l'apprendimento di tecniche di autoregolazione nell'interazione con l'interfaccia in situazioni di vita quotidiana.

Si punta quindi a una migliore collaborazione tra macchina e mente, con una maggiore comprensione dei meccanismi di funzionamento di quest'ultima, nel viaggio difficile verso cyborg perfettamente integrati.

Vidaurre e altri in Towards a cure for BCI illiteracy propongono una soluzione fuori dagli schemi per superare l'incapacità di molti pazienti di coordinarsi con le BCI: la creazione di strumenti algoritmici di autocomprensione delle dinamiche neurali umane da parte della macchina.

Come riportato nell'articolo citato, questa soluzione ha consentito l'utilizzo di BCI dopo pochi minuti ai soggetti più portati e a servirsi in maniera soddisfacente delle BCI dopo un training adeguato per quei soggetti che in precedenza non erano stati in grado di farle funzionare.

L'aspetto più affascinante di questa ricerca è la possibilità prospettata da Jean-Arthur Micoulaud-Franchi in Cyborg psychiatry to ensure agency and autonomy in mental disorders. A proposal for neuromodulation therapeutics di usare il medesimo sistema di autoapprendimento algoritmico della macchina in campo psichiatrico, per ottimizzare il neurofeedback e l'rTMS attraverso la scoperta delle dinamiche neurali del singolo paziente. Un'interfaccia computerizzata potrebbe quindi scoprire cosa pensa un uomo.

Come Clynes ipotizzava nel suoi saggi sui cyborg, in una visione enormemente in anticipo sullo sviluppo tecnico, studiare l'interazione uomo-macchina ci potrebbe davvero portare a conoscere meglio noi stessi, semplici esseri umani di carne, ossa e pensiero.

Fonti e letture consigliate

Jean-Arthur Micoulaud-Franchi e altri, Cyborg psychiatry to ensure agency and autonomy in mental disorders. A proposal for neuromodulation therapeutics, National Center for Biotechnology Information, 2013;

Emily Anthes, Frankenstein's Cat: Cuddling up to Biotech's Brave New Beasts, Scientific American / Farrar, Straus and Giroux, 2014;

Nate Lanxon, Practical transhumanism: five living cyborgs, fonte web;

Samuel Dokko, Cyborg bodies in medicine, fonte web.

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