Orrore e divertimento. Possibile?

a cura di Maurizio Garreffa

Appronfondimento sullo stretto rapporto esistente tra orrore e divertimento, nella narrativa horror, nella cinematografia basata sulle opere di Stephen King, in psichiatria e medicina.

"Felicità e sofferenza sono figli della stessa passione."
(massima buddista)

Morire dal ridere

E' strano constatare che la paura non è altro che la faccia scomoda di una medaglia che non si può cancellare dalla nostra vita. Pur provando a combatterla, a eliminarla o ad allontanarla, continua a far parte in modo imprescindibile della nostra esistenza: per quanto tentiamo di stracciarla dalla medaglia, scopriamo ogni volta che la paura (terrore o orrore che sia) è quasi un bene prezioso per noi. E l'altra faccia di questa strana medaglia è il piacere, il divertimento, il fascino. Il bello e il brutto, nella nostra vita, vanno a braccetto. Tutto qui. Ma le cose cambiano, dallo scrittore al lettore fino allo spettatore.

Freud, tratteggiando il perturbante e il suo collegamento con gli aspetti più "repellenti e penosi", tralascia tuttavia il sotterraneo legame che il perturbante crea con il piacere. L'inquietudine, infatti, scatena una costellazione di sentimenti negati accompagnati da un'ambigua attrazione: è questo che porta alla nascita di un equilibrio dinamico tra godimento e repulsione. Ecco, godimento e repulsione. "La questione del piacere legato a questa particolare esperienza del perturbante - l'esperienza 'protetta' della finzione letteraria - è connessa alla possibilità data all'Io di controllare e dominare il fantasma. Qualsiasi esperienza penosa, se vissuta con la garanzia di uscirne indenni, è già di per sé diletto".

Non occorre andare molto lontano: le opere cinematografiche di questi ultimi anni ci dimostrano che se per alcuni aspetti sono fortemente perturbanti, allo stesso tempo sono dotate di un fascino incredibile e speciale. Il film che possiamo vedere al cinema è un esempio concreto del penoso che si fa diletto: il piacere che proviamo nel vedere un film dell'orrore nasce dal fatto che ci troviamo in un contesto fittizio. Insomma, se le nostre difese si abbassano rendendo possibile l'esperienza della paura, c'è comunque la garanzia per lo spettatore di farlo in un ambiente protetto, dove niente accade realmente.

E questo apre la porta al piacere.

A proposito di filmografia, faccio riferimento alla recente pellicola cinematografica "Pulse - Kairo" di Kiyoshi Kurosawa. Per il regista giapponese, l'orrore è una questione di desiderio: "Il terrore ti avvolge, non è mai unidirezionale, è campo, controcampo e fuori-campo, i vivi vogliono morire e i fantasmi sono destinati a vivere in eterno". La frase: il terrore è campo, controcampo e fuori-campo... è esplicativa al massimo.

Per questa trattazione voglio partire da un testo curato da Tim Underwood e Chuck Miller che si intitola: "L'orrore secondo Stephen King". La prima edizione di questo testo risale al 1989 e raccoglie tutte le interviste fatte sino a quella data al re dell'horror. In un certo senso, attraverso le domande dei giornalisti si percorrono i primi dieci anni di produzione letteraria kinghiana. Ebbene, in questo volume King fa spesso riferimento (esplicitamente e non) alla questione del divertimento.

Charles L. GRANT: "Messa così sembra che spaventare la gente sia un divertimento."
Stephen KING: "Ecco, il punto sta proprio lì. Siamo dentro la casa degli orrori al luna park. Io sono il fantasma luminoso - o sarebbe meglio dire che sono il direttore di scena o il burattinaio. Sono io che muovo il fantasma, molto più divertente che fare il fantasma. Conosco tutte le trappole nelle quali la gente andrà a finire.

Lo scrittore di horror si diverte, ma anche chi legge subisce un meccanismo simile. La paura è centrale e attraversa le vicende umane da sempre e può essere letta come un'economia: la paura innesca infatti processi di scambio, d'investimento e d'interesse che sono da intendersi non solo come economici in senso stretto, ma anche in senso emotivo e affettivo. La paura intesa come senso di conservazione non è sempre e solo negativa, ma addirittura necessaria: orrore e meraviglioso sono intrecciati in maniera inestricabile.

Mi incuriosisce la possibilità che qualcosa di bello abbia bisogno, per nascere, di un terreno che fa schifo: e mi attira riflettere su tutto ciò che di orrendo può nascere da un terreno che crediamo positivo e giusto. C'è qualcosa, in fenomeni come quelli, che sfugge a ogni logica: sono domande aperte e scomode. Insomma, pulizia e sporcizia dipendono l'una dall'altra e hanno bisogno l'una dell'altra.

Alessandro Baricco continua facendo l'esempio della Corrida (ne parla in un'intervista pubblicata nel maggio del 2000 su La Repubblica): in questo spettacolo c'è qualcosa che non torna, dice. Da una parte lo spettatore vede la bellezza dello show (una bellezza difficile da comprendere, sottile e complessa), dall'altra parte vede l'orrore e la brutalità. "La corrida è un orrore grottesco che alcuni toreri tramutano in spettacolo sublime", questa la definizione di Baricco. Dunque, orrore e divertimento camminano assieme, sono inseparabili.
"D'altra parte" sembra confermare King, "commedia e orrore procedono spesso di pari passo."
In molti testi dell'orrore ci sono scene divertenti e in altri compaiono veri e propri elementi di parodia.

Carrie è uno di questi. Nella trasposizione cinematografica è ancora più chiaro. D'accordo, niente a che vedere con le commedie in senso stretto, ma De Palma fa vera e propria satira sul gruppo di coetanei della scuola superiore. Lo stesso autore sostiene che Bill Nolan e Christine Hargenson, i ragazzi che sporcano di sangue Carrie, fanno proprio ridere. Per quello che mi riguarda, non ho potuto fare a meno di constatare che il giovane John Travolta porta in scena un personaggio spassosissimo, divertente, quasi goffo... un po' da Scuola di Polizia. Il rapporto quasi maniacale che la madre di Carrie ha verso la figlia fa sorridere e sghignazzare. Il modo in cui il preside della scuola superiore storpia il nome della studentessa White è allo stesso modo un vezzo da film commedia. Umorismo e horror vanno a braccetto in quasi tutti i libri di King ed è una delle caratteristiche che fanno grande lo stile dello scrittore americano.

Secondo me la gente dovrebbe ridere e urlare dalla paura allo stesso tempo. Una scena indicativa di tutto quello che sto cercando di dire è quando in The Crate Hal Holbrook attira Adrienne Barbeau giù dalla scala per farla arrivare dove si nasconde il mostro mentre lui si morde le labbra per non ridere. Al che lei gli dice: "Ma cosa avrai da ridere? Il tuo migliore amico finisce in un pasticcio e tu ti metti a ridere!" E lui risponde:
"E' molto divertente; aspetta e vedrai!"
Si può dire che sia orribilmente divertente.
Immagine 1: una striscia dei fumetti della Entertaining Comics

Immagine 1: una striscia dei fumetti della Entertaining Comics

Che la gente debba ridere e urlare dalla paura allo stesso tempo è a mio avviso un assunto soggettivo, ma a me è capitata una cosa simile guardando proprio il film Carrie, lo sguardo di satana di Brian De Palma. Sapevo (lo avevo letto qualche mese prima) che l'ultima di scena della pellicola era spettacolare, ma non avevo capito di cosa si trattasse. Insomma, gli ultimi frame del film ci presentano una ragazza che si inginocchia nel luogo dove la casa di Carrie è stata risucchiata nella terra: la giovane piange e ha un mazzo di fiori in mano (se non ricordo male). La musica di sottofondo accompagna il piagnisteo leggero di lei, quando all'improvviso dalla terra sbuca una mano sanguinolenta che afferra la caviglia della ragazza. La musica ha un boato d'esplosione. E' una scena orribilmente fantastica, lasciatemelo dire. È lì che sono saltato dalla poltrona ridendo come un matto. Allora ho capito che King non aveva raccontato una palla pubblicitaria. Avrei voluto essere al cinema per filmare la reazione del pubblico. Quell'horror era da schiantarsi dalle risate.

Ancora meglio, veniamo a Creepshow: il film è composto da un totale di cinque storielle (The father's day, The lonesome death of Jordy Verrill, Something to tide you over, The Crate, They're creeping up on you). L'opera nasce dall'unione di due grandi nomi dell'horror, King e lo scrittore e regista George A. Romero. Il progetto era quello di trasporre cinematograficamente il romanzo Salem's Lot di cui però King aveva già venduto i diritti alla Warner. I due decisero così di veicolare la passione per i fumetti convogliandola in un esplicito omaggio alle strisce della Entertaining Comics (vedi immagine 1), per lo meno le prime, quelle del periodo McCarty (successivamente censurate). Si tratta di una vera e propria sperimentazione linguistica: le storie di King vengono fumetizzate sulla scena attraverso espedienti semplici come l'utilizzo del quadro che ricalca i box dei fumetti, il cartoon, le debordanze cromatiche e i giochi di luce. L'operazione è definita da alcuni critici come giocosa.

Immagine 2: la locandina del film Creepshow

Immagine 2: la locandina del film Creepshow

Eppure la locandina del film (vedi immagine 2), che risale al 1982 e vede proprio King come uno degli attori partecipanti (al fianco di Hal Holbrook e di un giovane Leslie Nilsen che non a caso è un volto della commedia americana) non lascia dubbi: uno scheletro è seduto al posto del bigliettaio del cinema e strappa un tagliando per lo spettacolo. Sul volto ha un ghigno sdentato. Ma è davvero così spaventoso, o King si diverte a giocare con lo spettatore? Sul vetro della biglietteria, infatti, c'è il disegno di un manifesto sul quale c'è scritta questa frase: "The most fun you'll ever have being scared" (secondo la mia personale traduzione, dovrebbe voler dire: "Il massimo del divertimento è che tu sia sempre spaventato". Questo rappresenta di certo il sunto di quanto ho cercato di dire fino a ora (tra l'altro, l'idea di andare a vedere un film dell'orrore e trovarsi di fronte uno zombie che ci vende il biglietto e magari ci augura buona visione è un punto a favore del divertimento). Come se non bastasse, sempre sul vetro della biglietteria, un cartellino avvisa che l'ingresso (admission) è consentito sia per gli adulti sia per i bambini. Sicuramente una stranezza voluta: cosa sono i bambini, se non una rappresentazione simbolica del divertimento, dell'innocenza? Come si può pensare a questo cartellino senza correre con la mente a IT, il clown con i palloncini di Denver? Il legame tra orrore e divertimento sembra partire proprio da questo punto. La versione francese della locandina di Creepshow è ancora più chiara: "A crever de rire et de frayeur", a crepare dalle risate e dallo spavento. Per uno scrittore di horror è una scommessa che mette appetito.

Immagino che tutti coloro che abbiano una grande immaginazione e amore per il mistero, trovino coerente questo messaggio. Tutto questo mi fa quasi pensare che lo scrittore horror sia soltanto un gran burlone, non un pazzo, un maniaco o uno che non sta tanto bene di salute.

Lo stesso King sostiene che Creepshow sia divertente: l'opera è un libro a fumetti che prende vita, quindi fatto di illuminazioni vivaci, con giochi di luce che appaiono dietro agli attori nei momenti chiave. All'inizio del prologo, un padre scopre il figlio mentre legge un libro dell'orrore, glielo afferra e lo getta nella spezzatura (vedi immagine 3). Ma ecco che un colpo di vento apre le pagine del volume e lo spettatore comincia ad entrare nelle cinque storie (si vede chiaramente nella copertina del fumetto: lo zombie che esce dal cimitero nel fronte del giornalino stretto dal ragazzo è già dietro la finestra della sua camera).

Ogni stratagemma utilizzato non ha niente a che vedere con l'horror in senso stretto. La storia di Jordy Verrill, per esempio, nel film è quasi comica. King confessa:

I cadaveri che escono dalle fosse vanno bene una volta, due, ma non ci si può fissare su una cosa sola per due ore di fila. L'idea di George (Romero) è che Jordy fosse un tipo buffo e questo mi ha aiutato nel ruolo. L'umorismo mi è servito per la recitazione. Certe scene divertenti sono venute quasi da sole, tipo quando lui ha quelle fantasie di centrare il colpo della sua vita e diventare ricchissimo. Quando le abbiamo viste in scena ci sono apparse divertenti. E' stato lì che c'è stato il trapasso e l'episodio è diventato veramente comico. (...) George si è divertito a girare tutte quelle scene con angolature davvero strane (...). Un giorno eravamo lì a guardare le scene girate quando una ragazza della produzione dice: "Non sarebbe divertente, visto che è tutto inclinato, se le cose cominciassero ad andare su e giù?" Il giorno dopo George aveva deciso che era un'idea brillante, così hanno messo tutte quelle cose, non so, tipo uno scheletro che comincia a scivolare di lato sullo schermo. L'effetto è strano ma allo stesso tempo molto divertente.
Immagine 3: copertina del libro a fumetti usato nel film Creepshow

Immagine 3: copertina del libro a fumetti usato nel film Creepshow

Un passo lungo ma importante da leggere, così ho deciso di riscriverlo quasi integralmente. King prosegue con la sua teoria affermando che esistono due modi di ridere: "C'è quello di Mel Brooks nel quale si ride perché ha detto qualcosa di buffo. Simile a questa c'è la risata che provoca Gene Wilder quando si pianta il coltello nella gamba in Frankenstein e fa finta di niente: si ride proprio perché fa finta di niente ed è davvero divertente. E poi c'è la risata di riconoscimento: la gente ride perché sa che in quella circostanza avrebbe detto la stessa cosa. Ed è un tipo di risata che raramente si sente in un film dell'orrore."

L'intera scena kinghiana prende come punto di riferimento il racconto di Poe "Il barile di Amontillado", quando il nobile Fortunato ride come un pazzo mentre l'altro allinea mattone su mattone per murarlo vivo: "Ah! Ah! Ah! Eh! Eh! Eh! Un ottimo scherzo, proprio un eccellente giochetto. Ci faremo un sacco di risate a palazzo - Eh! Eh! Eh! - sul nostro vino - Eh! Eh! Eh!" Considerando che sta andando incontro a morte certa, nessuno si aspetta che si metta a ridere. Nella storia di King, tuttavia, l'effetto visivo del film cattura lo spettatore: quando Hal Holbrook comincia a ridere nella cantina (il passo riportato prima), (sor)ride anche il pubblico, trascinato dallo sghignazzare coinvolgente o da una tensione condivisa.

Dunque, paura e giocosità sono due facce della stessa medaglia. Chi scrive horror, secondo me, non può non tenerne conto: una storia deve comprendere aspetti negativi e spassosi, battute divertenti, aspetti insoliti e allegri. Leggete questo passo tratto da L'ombra dello Scorpione di King: "Qualcos'altro frusciò dietro di lui. Si girò ed era Kit Bradenton, vestito solo di un paio di incredibili mutande gialle, con la pancia sospesa sopra la vita come una valanga bloccata in fermo-immagine. Brandeton si muoveva verso di lui camminando sopra relitti di lamiera. Una molla gli trapassò il piede come in una crocifissione, ma la ferita non sanguinò. L'ombelico di Bradenton era un occhio nero". Ce ne sarebbero altri mille, ma questo fa ben capire come anche in una situazione di panico per il protagonista (e per il lettore che la sta immaginando), l'autore non disdegni la battutina ironica, il gioco allegro, l'immagine che ti fa sorridere. Perché io (e non sono il solo, ho saputo) di fronte a quel con la pancia sospesa sopra la vita come una valanga bloccata in fermo-immagine non ho potuto fare a meno di ridacchiare (e provare anche un po' di invidia). Come se King dicesse: sentite, ora io vi racconto questo fatto brutto brutto, ma lo faccio a modo mio, ci state? Oggi, lo spazio che un autore dà al divertimento nel proprio romanzo horror costituisce secondo me la cifra della bravura dello scrittore stesso. Dunque non c'è spazio solo per la repulsione, come sosteneva Freud. Spesso, il divertimento è proprio ciò che rende la storia più terrificante: storie dell'orrore che nascono da una situazione normale e positiva e prendono campo tra sketch ridicoli e buffi, spesso sono quelle che consentono l'orrore più diretto perché inatteso. Ma il divertimento, il fascino potremmo dire, che sorge da una situazione perturbante, in una situazione reale, al di là della finzione letteraria o cinematografica, può avere diverse origini:

"Il riso arriva spesso per alleviare la tensione. Ogni storia dell'orrore rappresenta per la maggior parte delle persone una porta d'ingresso nel surreale, e spesso è una delle uniche porte d'ingresso. La gente ride davanti ai quadri di Dalì anche se ne è affascinata, perché quelle immagini sono anche ridicole. Tabby, mia moglie, mi ha fatto vedere un quadro di Dalì dove c'è un tizio in un angolo che fa la cacca. A quel tempo, intorno agli anni Venti, tutti avevano in testa Freud, e il sesso in quei quadri surrealistici andava bene. Sai roba del tipo: "Ma certo, è freudiano!" Ma la cacca? La gente doveva fare un passo indietro e dire: "Va bene, anche questo è freudiano, ma è di buon gusto?" Su questa linea di pensiero Ted Sturgeon pubblicò un bellissimo racconto sul "National Lampoon": vi si raccontava la storia di un alieno che arriva dallo spazio e assume le sembianze di un gabinetto. La gente ci si sedeva sopra per andare di corpo e lui assorbiva tutta la loro forza ed energia. Fa schiantare dal ridere, ma se uno ci pensa bene è anche piuttosto terrificante, perché vieni preso in uno dei momenti di massima vulnerabilità. Tutto ciò che è divertente è anche orribile e tutto ciò che è orribile è anche divertente, veramente."

Tutto ciò che è divertente è anche orribile e tutto ciò che è orribile è anche divertente, ricordiamolo. A questo punto viene da dire che l'orrore fa quasi simpatia, sì perché è molto umano, perché quando urliamo mostriamo più simpatia che mancanza di simpatia. In fondo, l'assunto finale è che la maggior parte di ciò che è comico si basa su cose negative che spesso capitano agli altri. È come diceva Baricco, ossia che ogni cosa bella, per nascere, ha bisogno di un terreno che fa schifo. So che la mia analisi cinematografica di Carrie sembra non finire mai, ma vorrei proprio prendere questa pellicola ancora come esempio: secondo il mio punto di vista, il reale momento di ansia, panico e terrore di questo film si ha durante il ballo della scuola. In quel momento, lo spettatore ha ormai socializzato con Carrie, ha preso per mano la sfortuna e le sue debolezze. Prova simpatia per la piccola White, ed è proprio quello che lo scrittore di horror vuole. In quel momento la ragazza è bellissima, c'è una musica di sottofondo da film strappalacrime, lei è felice ed è abbracciata al ragazzo che le piace. La sua vita sembra a una svolta positiva, va tutto meravigliosamente a gonfie vele. E' qui che entra in gioco il regista: attraverso piccole finestre da cui si scorgono John Travolta e la sua ghenga che posizionano il secchiello di sangue sopra il palcoscenico; loro che ridono e tramano alle spalle di Carrie; la rincorsa a far sì che sia lei a vincere il premio: insomma, lo spettatore sa a cosa sta andando incontro Carrie. Lo spettatore sa che la ragazza verrà schiumata di sangue dalla testa ai piedi. E' questo l'orrore: non il sangue che cade dall'alto o Carrie rossa come il fuoco e con gli occhi fuori dalle orbite (chi meglio di Sissy, vorrei dire).

L'orrore nasce da un terreno bello: e più è vicino alla simpatia della gente, più è spaventoso. Lo avevo detto la prima volta: l'horror non è una questione di splatter. Basta questa frase:

"Annie diventa ancora più terrificante, perché è così vicina alla realtà."

Orrore e divertimento: fratelli terrificanti

Dunque la paura può essere utile? Potremmo rispondere di sì: la paura è utile perché fa parte del nostro divertimento, del nostro innato senso dell'umorismo; è utile anche perché ci segnala uno stato di emergenza e di allarme, preparando la nostra mente e il nostro corpo ad una reazione come comportamento di attacco o di fuga. La paura ci permette di dare il meglio di noi stessi: ad esempio, è stato dimostrato che i ragazzi che devono affrontare un esame, ebbene, se hanno un po' di paura, quella paura buona ed esistenziale, rendono il 40% in più degli studenti che affrontano freddamente l'esame, come se si trattasse di una cosa banale. Infine, noi abbiamo paura di ciò che ci attrae molto: il mostro è qualcosa che fa paura, ma allo stesso tempo attrae. E' quello che prima ho chiamato con il nome di fascino: il fascino è sempre l'unione di una attrazione e di una paura. E' ciò che sta alla base dell'eroe: pur avendo paura egli avverte che c'è una grande prova da fare e, siccome la maggior parte della gente prende e scappa, fa il grande gesto e si afferma proprio in virtù di quella paura.

Tutto questo anche per dire che vivere senza paura sarebbe, a questo punto, quasi impossibile. Eppure un gruppo di studiosi ha scoperto che nel nostro cervello c'è una molecola chiamata GRPR, che regola il rilascio di una particolare proteina presente nella parte del cervello chiamata amigdala e che custodisce il ricordo di eventi pericolosi. Sembra anche che faccia scattare le sensazioni di ansia e paura. Questo gruppo di medici studia il modo di eliminare la paura asportando l'amigdala dall'uomo, anche se per il momento si accontentano di sperimentare l'operazione su topi da laboratorio.

Noi possiamo definire l'amigdala come il circuito della paura: fu Joseph le Doux a scoprire questo circuito, decidendo di lavorare su uno stimolo condizionato uditivo analizzando le condizioni per le quali uno stimolo uditivo raggiunge il cervello (vedi immagine 4). Egli scoprì che l'area determinante, tolta la quale le reazione alla paura non si instaura proprio per niente, è l'amigdala: interrompere le connessioni tra talamo e amigdala inibisce il condizionamento alla paura. Non solo, ma l'amigdala ha delle sue specificità: se si danneggia il nucleo centrale, si impedisce qualsiasi reazione di condizionamento alla paura, ma danneggiando altre aree, si scopre che selettivamente alcune delle "uscite" dall'amigdala verso il sistema periferico controllano specifiche reazioni alla paura: l'immobilità, la pressione sanguigna, gli ormoni dello stress, il riflesso di trasalimento. Ecco lo schema di Le Doux:

Schema di Le Doux sul circuito della paura

Ora, lo studio dal punto di vista medico della paura è davvero interessante, ma non è il nostro campo. Ci sarebbero ambiti di cui parlare che sfuggono alla mia conoscenza e che ricopierei spudoratamente. Ci basti comprendere lo schema qui sopra e il fatto che la paura nell'uomo trova origine nell'amigdala, dove viene prodotta la molecola GRPR. Alcuni topi modificati, vale a dire senza GRPR, non danno risposte alla paura. Secondo Gregory Quirk e Mohammed Milad, studiosi della Ponce School of Medicine di Porto Rico, questa scoperta potrà essere usata anche sui pazienti colpiti da forti stati di ansia, aiutandoli a cancellare completamente il ricordo della loro paura.

I due scienziati hanno eseguito i loro studi su alcuni topi appositamente condizionati a provare terrore attraverso uno stimolo sonoro associato a una scarica elettrica. Hanno visto che nel momento in cui i topi si accorgevano che al segnale non era associato più nessuno stimolo doloroso, il loro cervello inviava un segnale particolare, una sorta di "tutto ok, non fa male". Questo segnale proveniva dai neuroni posti al centro della corteccia prefrontale (o area infralimbica). La paura si può quindi eliminare intervenendo direttamente sul cervello, ma il vantaggio evolutivo è più che evidente: dal punto di vista della sopravvivenza è meglio reagire a circostanze potenzialmente pericolose come se lo fossero davvero piuttosto che non reagire affatto, ed è questo che noi umani siamo programmati a fare. A questo punto occorre dire: forse non è possibile, o perlomeno non è giusto, eliminare la paura, ma si può provare ad eliminare la paura della paura. Come? Con la psicologia e altre tecniche come il rebirthing e la stimolazione magnetica transcranica. Pare funzionino. Auguri.

Fonti e letture consigliate:

  • T. Underwood, C. Miller (a cura di), L'orrore secondo Stephen King, ed. Mondadori, Coll. Oscar Varia, Milano 1999;
  • S. King, On writing, autobiografia di un mestiere, ed. Sperling & Kupfer, Coll. Saggi, Milano 2004;
  • E.A. Poe, Il barile di Amontillado, in "Tutti i racconti del mistero, dell'incubo e del terrore", ed. Newton & Compton, Roma 2004, pp. 29 - 34;
  • S. King, Carrie, ed. Superpocket, Milano 1999;
  • S. King, L'ombra dello scorpione, ed. Bompiani, Milano 2002;
  • Periodico Newton, numero 12 del 23 dicembre 2002: Una molecola svela l'origine di ansia e paura;
  • R. Barucco, Un corpo altro - Il perturbante delle trasformazioni corporee nel cinema, tesi di laurea, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, corso di Psicologia, 2003;
  • V. Andreoli, I miei matti - Ricordi e storie di un medico della mente, ed. Rizzoli, Milano 2004;
  • AA.VV., La questione romantica - rivista interdisciplinare di studi romantici, ed. Liguori, Napoli 1997;
  • E. Burke, Ricerca sull'origine delle idee del sublime e del bello (a cura di Adelchi Baratono), ed A. Minuziano, Coll. Estetica, Milano 1945.

Nota: le immagini sono state fornite dall'autore Maurizio Garreffa

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