Anubis

di Giampietro Stocco

Quel rubinetto di merda... Siamo proprio sicuri di averlo girato a sinistra e non a destra? Come ogni sera, Giacomo fece dietrofront sui due metri quadrati che dividevano la sua stanza dalla cucina. Per l'ottava volta aveva controllato se davvero aveva spento il gas.
Un vero guaio essere arrivati a otto. Perché secondo la legge inviolabile che regolava il suo tormento, una volta che Giacomo avesse superato la mistica soglia di sette, il rito si sarebbe prolungato fino a ventuno, primo multiplo dispari di sette. Già, perché se sette era il numero che salvava, tre era il numero da salvare, e cioè Giacomo, sua madre e suo padre.
Disturbo ossessivo-compulsivo, lo aveva chiamato il dottore, raccomandando ai genitori di non essere troppo protettivi e di avere pazienza. Se fosse peggiorato, beh, si poteva pensare a una cura, ma per adesso non bisognava preoccuparsi troppo: in fondo si trattava di un adolescente e d erano solo un paio di manie in croce. Mania, pensò amaro Giacomo. Sarebbe meglio chiamarla ossessione. Come gli fosse venuta, non se lo sapeva spiegare. A un tratto si era trovato lì, a fare giravolte in corridoio. Aveva compiuto da poco quindici anni, e il rito notturno gli si era presentato così, spontaneo, insieme alle frenetiche masturbazioni, dopo che...
- ...Vuoi spiegarmi insomma cosa vuoi da me? - Improvviso, il tono esasperato di suo padre, di là della porta chiusa della camera da letto dei genitori. Stava cercando di non alzare la voce. Come tutte le sere, ormai da un anno a quella parte.

- Lo sai benissimo, cosa voglio... - Sua madre, perentoria come sempre.
Oh, beh da quando papà ha perso il lavoro...
- Non hai più né arte né parte, - insisteva dura la mamma - e la cosa peggiore è che adesso non sembra più fregartene un cazzo. Cosa puoi dire che sei, eh?
- Sono un lavoratore socialmente utile, Anna, - rispose il papà, la voce più alta di un tono. - Ma senza le raccomandazioni degli altri. Ecco perché...
- Ecco perché, cosa? Ecco perché ti hanno cacciato? Sei un fallito, ma non sei raccomandato? Davvero una bella consolazione.
Oh, no. No, vi prego. Non ricominciate. Giacomo avvertì familiari i primi brividi. Quando le voci si fossero alzate fino a far vibrare i bicchieri nella vetrinetta in corridoio, anche i suoi denti avrebbero cominciato a battere. Nononononono. In una sorta di balletto Giacomo cominciò velocemente a fare avanti e indietro fra soglia della cucina e soglia della sua camera. I suoi sarebbero usciti tra breve a continuare la lite proprio in cucina. Guai se lo avessero visto intento ai suoi riti.
Spentospentospento. Il gas è spento. Alla diciottesima giravolta cominciò a girargli la testa. Doveva mantenere il controllo. Guai se fosse arrivato ai ventuno giri senza la certezza che il dannato rubinetto fosse stato rivolto verso sinistra. Venti-Vent...uno! Chiuso. In punta di piedi Giacomo, stremato, varcò la soglia della sua camera, si richiuse dietro la porta, spense la luce e si infilò nel letto. Quasi in un unico movimento fluido, come si era imposto di fare. La lite fra sua mamma e suo papà arrivava più attutita, ma era questione di pochi minuti. Come la sua ossessione, anche la guerra fra i suoi genitori aveva precise regole. Ogni battaglia seguiva scrupolosamente gli stessi ritmi d'ingaggio, svolgimento e conclusione. Tra poco papà comincerà a giustificarsi...
- Non c'è molto che possa fare con una laurea in ingegneria presa al quinto anno fuori corso...
- E allora ti chiudi in casa? Oh, beh, finché c'è questa stronza a guadagnare i soldi! Ma guarda che non posso mandare avanti da sola quel maledetto studio legale! E Giacomo? Hai pensato a lui? Hai pensato all'opinione che si sta facendo di suo padre?
Sua madre lo aveva già tirato in ballo. In genere avveniva dopo. Giacomo si tirò le coperte sopra la testa. Lo faceva da quando era bambino. Gli sembrava così di mettere un diaframma invalicabile fra sé e...
Un cigolìo, quasi impercettibile. Giacomo sentì le orecchie drizzarsi quasi fisicamente. Si scoprì la testa nel buio. In sottofondo, le voci di mamma e papà erano diventate più distinte, e un distinto odore di catrame stava invadendo la stanza. Si sono messi tutti e due a fumare in cucina, sbuffò Giacomo.
Fece per rimettere la testa sotto le coltri per sfuggire al cattivo odore, quando con la coda dell'occhio colse il particolare. Quella gruccia si sta muovendo. Girò di nuovo lo sguardo verso l'armadio: l'oggetto, al quale in genere Giacomo appoggiava il suo cappotto, era appeso come al solito a una maniglia. Ma stavolta era vuoto, e stava, incontestabilmente, oscillando piano piano, proprio come se qualcuno avesse appena preso il capo di vestiario che lo appesantiva. Dov'è il mio cappotto? E mentre i genitori continuavano imperterriti a litigare in cucina, Giacomo infine lo vide. Il suo cappotto era appeso a un'altra gruccia, sospesa al bordo superiore dell'armadio. Io non l'ho messo lì, fece appena in tempo a pensare, e il suo sguardo fu di nuovo catturato dal pigro oscillare dell'altra gruccia. Così vicina a quella... mano?
Sì, anche qui incontestabilmente era una lunga mano adunca quell'ombra che sembrava accarezzare, muovendola ancora piano, la gruccia appesa alla maniglia. Una lunga mano adunca che pendeva a sua volta da un lungo braccio scimmiesco, portato in avanti, fin quasi all'altezza dei piedi, zampe bestiali attaccate a gambe tozze e storte. Il torso possente si indovinava appena, abbozzato appena tra il cappotto di Giacomo e l'anta a specchio socchiusa dell'armadio, così come la testa pelosa dal muso prognato, in attesa di spalancare fauci che...
No. Non può essere. Nonononono. Ho chiuso il gas. Ho contato fino a ventuno. Perché, allora? Mise di scatto la testa sotto le coltri. Gocce di sudore freddo gli imperlarono la fronte e le gote. In sottofondo, come se niente fosse, continuava la lite in cucina. Erano anni che quell'incubo non tornava a visitarlo. In un istante Giacomo si rivide bambino, piangere disperato e chiamare il papà a liberarlo dall'orrore dell'armadio. Ecco suo padre, coi capelli più folti e più scuri, accendere la luce e mostrargli come i giochi di luce e di ombra tra il cappotto di sua madre e l'anta a specchio del mobile potessero suggerire una figura mostruosa che esisteva solo nella sua mente, e...
Un ringhio. Sommesso, ma distinto, nella petulante colonna sonora proveniente dalla cucina. E ancora, lo sbattere della gruccia contro l'anta dell'armadio, che si alternava con un altro battere ritmico, che Giacomo identificò con quello dei propri denti. Stavolta, però, non erano state le urla dei suoi genitori a spaventarlo. Con un dito abbassò la cortina che lo difendeva. Sul soffitto, nel riquadro di luce proiettato dalla finestra, intravide agitarsi l'ombra di una testa massiccia dotata di orecchie appuntite. Non è reale. Non è possibile. Devo pensare ad altro. Devo... Ecco, sì. Com'è che si chiama quella della seconda F? Chiara. Sì Chiara. Le tette di Chiara... Giacomo portò la mano destra al pene e cominciò a masturbarsi. Ecco. Così. Funziona. Le tette di Chiara. Chiara che me lo prende in bocca, e... L'odore nella stanza era cambiato. Mentre si strofinava vigorosamente un'erezione maturata in pochi secondi di fantasie, Giacomo si accorse che il sentore di catrame si era trasformato di un afrore... selvatico?
Adesso basta. Tenendosi il pene con la mano destra, con la sinistra si scoprì di colpo. E lo vide, di nuovo. Stavolta l'essere si era staccato dal suo mondo schiacciato tra specchio, armadio e cappotto, e se ne stava lì, gigantesco, a incombere sopra il suo letto. Le lunghissime braccia pendevano lungo un corpo tozzo e peloso. Giacomo contemplò senza fiato la massiccia testa da lupo, le fauci che scoprivano zanne lunghe e gialle, l'alito puzzolente da carnivoro... Gli occhi color brace, fosforescenti, percorsero il suo corpo. L'erezione venne meno all'istante. Il mostro, dal canto suo, inclinò il capo di lato in una paurosa parodia di stupore canino.
- A... a... a... - Giacomo tentò di chiamare aiuto, ma non riusciva a emettere nulla se non un'unica sillaba spezzata. Mentre dalla cucina continuavano ad arrivare le voci della lite, l'essere si rizzò in tutta la sua gigantesca statura, e sollevò lentamente un lungo braccio. Intravisti gli artigli luccicare nel buio, Giacomo portò d'istinto le braccia a coprire il volto. Il mostro, tuttavia, si limitò a sollevare un lungo indice adunco davanti alle labbra. Silenzio, fece una voce nella testa di Giacomo.
- C... c... chi sei? - riuscì infine a sputare, in un tono chioccio che faticò a riconoscere come il proprio.
Tu sai chi sono.
- Io n... non so proprio niente. E tutto questo non è reale! - Terrorizzato, Giacomo fece per alzarsi. Una zampa dai lunghi artigli si posò sul suo petto e lo costrinse a sdraiarsi di nuovo. Sul davanti della maglietta rimasero dei tagli, dai quali filtrò qualche goccia di sangue. Vedi bene quanto sia reale, continuò la voce dentro la testa. E non potrebbe essere diversamente. Sei tu che mi hai chiamato.
- Io non ho chiamato proprio nessuno! - esclamò Giacomo, sottovoce.
Ne sei sicuro? chiese la voce d'ombra nella sua testa, mentre un indice artigliato si tendeva stavolta verso la porta chiusa.
- Ah questa è buona! - arrivò sferzante dall'altra parte la voce della madre. - Tu staresti studiando? Tu credi davvero a cinquant'anni che il mondo ti stia ancora aspettando?
- Questa è la volta buona, Anna!
- Hah! La volta buona. Ma fammi il piacere...
- Un tempo saresti stata felice di vedermi dare da fare!
- Finiscila, Fulvio! Smettila di giocare. E' una vita che giochi! - L'essere girò il muso verso la porta e mosse due goffi passi verso di essa. Una zampa si strinse intorno alla maniglia.
- Non lo fare. - si sentì sussurrare Giacomo.
Perché? Tu vuoi che tutto questo finisca o no?
- Cosa... Cosa dici? Sono i miei genitori. Io li amo.
No, tu li odi. Li hai sempre odiati.
- Cosa ti stai inventando?
Tu mi hai chiamato per loro.
- Non è vero!
Ho aspettato finché tu non fossi abbastanza forte...
- Non è vero. Non sta succedendo.
Finché l'energia non fluisse dentro di te... Quell'energia che ti ho visto usare prima... L'indice animalesco indicò il suo basso ventre. Giacomo si accorse di starsi ancora tenendo il pene, e lo mollò di scatto.
E' questa forza che mi ha fatto uscire dal mio mondo...
- Basta!
Dovevi solo disegnare di nuovo la mia forma sullo specchio... L'essere staccò la zampa dalla maniglia della porta e si fece avanti fino al bordo inferiore del letto. Le due braccia scivolarono lungo i fianchi di Giacomo, finché gli artigli non si poggiarono ai due lati del cuscino e il muso da lupo non gli si fermò a mezzo palmo dal naso. Quegli occhi color della brace. La pelle, nera sotto una pelliccia grigio scura. Le orecchie, dritte coi padiglioni rivolti in avanti. Il linguaggio del corpo diceva a Giacomo che quel mostro non ce l'aveva con lui. Almeno per il momento.
Impazzirò. Lo sento. Un pensiero lo colpì improvviso. - Sei mica il dio Anubi?
Le fauci zannute si allungarono verso l'alto in un'accettabile approssimazione di sorriso. Mi hanno chiamato con molti nomi. Ma il mio scopo è sempre stato lo stesso.
- Tu... tu giudichi chi deve morire?
No. Io eseguo una sentenza già pronunciata. E' il corso della tua vita a decidere come sarà la tua morte. Una lunga lingua canina saettò fuori dal muso del mostro, e leccò da sotto in su il viso di Giacomo.
Il tuo sapore è forte. Ti stai affacciando solo adesso alla vita, ne stai cominciando a gustare i segreti. Ma la tua esistenza è minacciata.
- Che cosa accidenti dici?
Ti stai consumando per niente.
- Io non capisco.
Sei convinto che la tua volontà, se male incanalata, possa fare del male a chi ti è caro. I tuoi riti hanno questo senso.
- Tu come fai a sapere...? Oh, Dio, sto impazzendo. Parlo con un mostro che è solo nella mia mente!
Un suono cupo e ritmico si ripercosse per la stanza di Giacomo. L'essere stava ridendo. Il letto si muoveva per le vibrazioni che quella gola sovrannaturale trasmetteva all'aria. Di là, il papà e la mamma continuavano a litigare come se niente fosse.
Se credi che la tua volontà possa sfuggire al tuo controllo, come fai a non credere che possa aprire una soglia fra i mondi?
- Dunque sei reale?
Diciamo che ora sono qui.
- Come posso fare per farti tornare da dove sei venuto?
L'essere tornò a sorridere. Lasciandomi fare quello per cui mi hai chiamato... Si staccò dal letto di Giacomo e tornò ad avvicinarsi alla porta.
- Ti prego. Non farlo.
Sei tu a volerlo. Lo hai sempre voluto.
La certezza scivolò nella mente di Giacomo come quella voce fatta di ombra eppure così tangibile. Sì. L'ho sempre voluto. Seppe, con assoluta sicurezza, che quei riti serali avevano avuto l'unico scopo di difendere la sua pace dalla fine dell'amore tra i suoi genitori. L'essere annuì verso di lui, i padiglioni auricolari ancora ritti sul capo. E Giacomo seppe anche che quando quelle orecchie inumane si fossero abbassate, il mostro sarebbe uscito di lì e sarebbe andato in cucina da papà e mamma.
No.
Perché no? Niente più conteggi alla sera. Niente più rubinetto del gas. Niente più avanti e indietro. Sarai finalmente libero. E lo sai.
- Perché non prendi me, invece? - chiese Giacomo con un filo di voce.
Perché non è il tempo. Tu non hai ancora vissuto una vita che giustifichi quello che tu chiami morte. E io non posso dare la morte di mia iniziativa.
Giacomo si guardò intorno, disperato. Eppure la sua stanza aveva l'aspetto di sempre. Non fosse stato per la mole di quella assurda creatura, la zampa adunca posata sulla maniglia della porta, i suoi vestiti erano ancora posati ordinatamente su una sedia, accuratamente impilati come aveva imparato a fare nell'ultimo anno. Il riflesso delle luci sulla strada si proiettava ancora in un quadrato sul soffitto. Il cappotto appeso alla gruccia pendeva ancora davanti all'anta a specchio dell'armadio. Lo specchio. Non ci aveva fatto caso, prima, ma da quando l'essere ne era uscito, un riflesso come di brace ne veniva fuori. La stessa luce che ardeva negli occhi della creatura. L'intera stanza ora ne era illuminata.
- Cosa c'è là dietro? - chiese Giacomo, indicando lo specchio infuocato.
Tutti i mondi possibili. E tutti quelli che non lo saranno mai.
- E' lì che vuoi portare mamma e papà?
"Lì" non è esatto. Ma varcheranno quella soglia. Perché tu lo vuoi.
- Cosa gli succederà?
Abbandoneranno questo mondo. Moriranno, come dite voi.
- Li farai soffrire?
Sofferenza. Paura. Morte. Tutte parole che indicano una transizione. Attraverso la sofferenza si capisce la propria fragilità. Attraverso la paura si comprendono i propri limiti. Attraverso la morte si raggiunge una nuova vita.
- Non mi hai risposto.
Sì che l'ho fatto. Vuoi che sia più esplicito? Certo che soffriranno. Loro non si sentono pronti ad abbandonare questo mondo. Ascoltali, adesso.
- ...Dio del cielo, Fulvio! Dovrei morire qui, in questo istante, per farti capire qual è la nostra situazione? Io non posso più prendermi un giorno dal lavoro. Non posso più ammalarmi. Con quello che guadagno a studio, ne abbiamo a malapena per sopravvivere. Lo capisci questo?
- Anna, ti prego. E' importante per me. Non capisci che è proprio riprendendo a studiare che posso avere una possibilità? Basterebbero pochi soldi. Appena...
- Non lo dire nemmeno! Prima la macchina. Poi la moto. Incredibilmente, adesso, questo stramaledetto corso di formazione. E io pago. Basta, Fulvio. Io non pago più. Ne andasse fin della tua vita!
Strano, vero? fece la voce, pensierosa. Li senti, parlare di vita e di morte? Alle volte, la cortina fra i mondi è tanto sottile quanto impenetrabile.
- Vuoi dire che se... se tu andassi di là non ti vedrebbero neppure? - Un filo di speranza si affacciò nella cupa disperazione di Giacomo.
Io non posso varcare questa soglia finché tu non lo vorrai. E finché tu non lo vorrai, loro non mi vedranno.
- E io non lo voglio! - esclamò Giacomo trionfante, la voce ben alta.
- Giacomo? Cosa c'è? - Di là dalla porta, la voce preoccupata di sua madre.
- Lo vedi? Lo hai svegliato! - Suo padre, amaro.
La creatura scosse la testa lupina. La zampa artigliata si serrò sulla maniglia. L'anta sembrò muoversi di qualche millimetro.
- Giacomo? Hai bisogno di qualcosa? - Ancora sua madre.
Rispondi.
- N... No, mamma. E' stato solo un incubo. Sto bene adesso.
- Vuoi che ti porti una camomilla? - La voce del padre, in colpa.
- No, papà. Grazie. Ho sonno. Andate... andate a dormire, voi due.
Ben fatto.
- Adesso andiamo, amore. Finiamo solo un discorso. - Sua madre, sollevata, i pensieri già altrove.
Capisci adesso? Il loro destino è già scritto. Ma passeranno la soglia solo quando sarà il tempo. Quando il momento verrà, sarai tu a dirmi di aprire questa porta. E allora loro mi vedranno.
- Quindi io non posso cambiare la... la mia decisione?
Cominci a capire. No, infatti. Tu hai già deciso la morte dei tuoi genitori. Devi solo decidere quando. Solo in quel momento tu sarai davvero pronto. E anche io.
- Perché ho questo potere?
Dovresti chiederti piuttosto perché ne sei cosciente. Hai usato comunque la parola giusta. Ti è stato concesso un potere. Quello di decidere in pieno della tua vita. Di eliminare tutti gli ostacoli. E il tuo libero arbitrio ha deciso che tua madre e tuo padre fossero un ostacolo.
- Ma questo è... è mostruoso. Io...
Non è né mostruoso, né niente altro. E' così. Tu hai preso la tua decisione, senza curarti d'altro. E tua la scelta è quella giusta. Io non sarei qui.
- Ma questo è... male!
La creatura tornò a scuotere il capo. Bene.. Male... Per millenni la vostra specie ha discusso del dualismo tra ciò che è da farsi e ciò che è di ostacolo. Qualcuno di voi ha intuito che la verità è al di là di tutto questo, e che non ha importanza come si giudica il raggiungimento di uno scopo, ma lo scopo stesso.
All'improvviso Giacomo ricordò il catechismo studiato qualche anno prima. - Sei il diavolo?
Un'altra risata, cupa e vibrante.
- Tesoro? Spegni lo stereo! E' tardi! - Ancora sua madre, appena al di sopra del borbottio in cui si era trasformata la discussione.
Hai notato? Mi ha sentito ridere. Siamo vicini al momento.
- Devi essere per forza il diavolo. - disse quasi tra sé Giacomo.
Te l'ho detto prima. Sono stato chiamato con molti nomi.
- Non mi hai detto cosa sarà di me... dopo.
Dopo che avrò ucciso i tuoi genitori?
Giacomo soffocò un conato di vomito. La creatura sembrava sempre più reale e determinata. Era come se la luce d'inferi che veniva dallo specchio le desse pian piano corpo e tangibilità. Il suo corpo, fino a quel momento a tratti traslucido, stava guadagnando profondità e spessore. Sta diventando reale. Devo fare qualcosa.
- S... Sì. Dopo che li avrai portati... dall'altra parte.
Te l'ho detto. Sarai libero. Avrai il potere di fare ciò che vuoi.
- E tu cosa vorrai in cambio?
Non capisco la tua domanda.
- Se tu mi darai il potere, vorrai bene qualcosa per te come contropartita.
Sei un ragazzo acuto. Ma dovresti avere già capito che la mia contropartita sta già per arrivare.
- La tua contropartita sono... io?
Il tuo cuore. I tuoi desideri. Il tuo modo di essere. La tua vita.
Giacomo si sentì perso. Rifletti! si ripeté. Deve esserci un modo.
La creatura abbandonò per un istante la presa sulla maniglia della porta e si mise le zampe adunche sui fianchi. Per un momento a Giacomo ricordò la posa di sfida di uno dei supereroi dei suoi fumetti.
E' inutile che ci pensi. Le cose stanno così. Non puoi cambiare il tuo destino. Puoi solo accompagnarlo.
- Cos'è che mi dicevi, prima, della paura?
Cosa? La voce suonò, per la prima volta, sorpresa.
- Cos'è che scopriamo attraverso la paura?
I nostri limiti. Ma farmi domande non ti servirà a guadagnare tempo. Anzi. Più ti avvicini a capire del tutto, più reale divento io nel tuo mondo.
- Vale anche per me, allora...
Che cosa, ragazzino? Un filo d'inquietudine, in quell'indifferenza?
- Affrontare la paura mi farà capire, no? Non è quello che tu stesso vuoi?
La creatura abbassò le braccia lungo il corpo massiccio. Le mani artigliate cominciarono ad aprirsi e chiudersi. Le orecchie presero ad abbassarsi lungo il capo. Muovendosi con attenzione, Giacomo tirò da parte le coltri e si alzò in piedi, fronteggiando l'incubo che torreggiava su di lui.
Cos'hai intenzione di fare? Tanto pesante da parere un carico di piombo, il sospetto della creatura si trasformò visibilmente in minaccia.
Aspetta e vedrai. Giacomo lanciò la frase come una freccia nella mente dell'essere. Questi cominciò a tremare, prima le gambe e le braccia, poi il torso. Rovesciò indietro il capo, e muggì. Un suono che fece vibrare l'intera casa, fino alle fondamenta.
- Giacomo! Che succede lì dentro? - Suo padre, allarmato.
- Papà! Corri! C'è... qualcosa qui con me!
Pazzo ragazzo. Pazzo. Cosa ti sei messo in testa di fare? La pagherai. La pagheraiiiiiiiii...
La porta si aprì dall'esterno nel medesimo istante in cui la creatura si voltò verso di essa, protendendo gli artigli.
Oh, mio Dio. No. Giacomo chinò la testa e chiuse gli occhi.
- Giacomo! Ma che diavolo? Oh, Dio! - Il mondo impazzì in un trambusto che suonava di vetri e lamiere. Una cacofonia che arrivò fino a un parossismo insopportabile. Dopo quella che gli parve un'infinità, due mani, soffici e senza artigli, si posarono sulle spalle di Giacomo.
Aprì gli occhi. La luce ora era accesa. Vide la faccia di suo padre, il suo corpo. Illeso. Poco più indietro, sua madre. Negli occhi un riflesso di brace che si andava spegnendo. Giacomo si guardò intorno. Della creatura, più nessuna traccia. Lo sguardo corse allo specchio. Il cristallo era in mille pezzi, come esploso dall'interno, i frammenti ovunque. Il più grosso era conficcato nel letto di Giacomo. Il cappotto appeso alla gruccia ondeggiava.
- Cos'hai visto? Dimmelo! - chiese Giacomo frenetico a suo padre.
- Io... non sono sicuro, ma...
- Appena siamo entrati è esploso lo specchio, - disse sua madre - e si è spalancata la finestra.
- C'era come una nebbia, e... - Suo padre continuava a guardare sua madre.
- Tesoro, se volevi attenzione da parte nostra, ti garantisco che ci sei riuscito. - disse lei alla fine, inarcando un sopracciglio. E ammiccò verso un pesante martello posato sul pavimento e semisepolto dalle schegge dello specchio. - E quello chi ce l'ha messo?
- Ma mamma, io... - Giacomo si interruppe subito. Non aveva importanza chi avesse preso o usato quel martello. O quello che sua madre pensasse. Gli bastava vedere come guardava, adesso, suo padre. La paura ti fa capire i tuoi limiti. Grazie, Anubis, o chiunque tu fossi. Giacomo sorrise.
- E, Giacomo...
- Sì, papà?
- Da oggi basta con quella sciocchezza del gas, vuoi? - Suo padre si rivolse a sua madre. - E con tutto il resto - aggiunse.
- Già. Con tutto il resto - sorrise la mamma di rimando. - Adesso, tesoro, ti aiutiamo a ripulire. - Allacciati ai fianchi, il papà e la mamma uscirono dalla sua stanza. Giacomo si sentì arrossire. Si voltò di colpo a guardare, attraverso la finestra aperta, il cielo notturno. Proprio davanti a lui si andava disfacendo una nuvola dalla testa di lupo.

(l'opera è stata finalista alla XII edizione 2005 del Premio Lovecraft per la narrativa fantastica)

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