L'oro segreto - Seconda parte

a cura di Stefano Valente

Paracelso: medico o alchimista?

Paracelso - Immagine rilasciata sotto licenza Creative Commons

Paracelso ritratto in una delle molte copie anonime secentesche dall'originale del fiammingo Quinten Massijts (1466-1530).

Philipp Theophrast Bombast von Hohenheim (latinizzato Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus Paracelsus - Ensiedeln 1493-Salisburgo 1541), figlio di un medico e alchimista svizzero, fu anch'egli medico, alchimista e astrologo. Nel corso della vita peregrinò per l'Europa in lungo e in largo, per studio e professione. Nel 1527, titolare della cattedra di medicina a Basilea, esordì alla sua prima lezione con un rogo di libri, a segnalare il suo distacco dalla cultura medica corrente fondata sull'aristotelismo, su Galeno e Avicenna. Paracelso introduce infatti una metodologia empirica, basata sull'osservazione (famose le sue indagini sulle malattie dei minatori) e sulle conoscenze popolari. La qual cosa gli vale l'avversione degli altri accademici - è costretto a lasciare l'università svizzera dopo un solo anno - e lo porta ad ammettere, allo stesso livello delle sperimentazioni mediche e chimico-farmacologiche, l'efficacia della magia tradizionale.

Paracelso non si distacca insomma dal platonismo magico, dal naturalismo rinascimentale per cui l'universo è stabilito sulla specularità analogica fra mondo-macrocosmo e uomo-microcosmo. In opposizione alla dottrina galenica dei quattro umori (bilioso, atrabilioso, flegmatico, sanguigno), Philipp Theophrast Bombast von Hohenheim indica l'insorgere di qualsiasi malattia nello squilibrio dei tre principi alchimistici dello zolfo, del mercurio e del sale (il principio igneo, il fluido-volatile e quello solido - e, potremmo dire, le "materie prime" dell'alchimista), sottoposti ai vari influssi astrali e all'azione degli spiriti della natura. La stessa alchimia, con Paracelso, sembra abbandonare il ruolo di ars metallica e di disciplina trasmutatoria; al fianco della filosofia, dell'astrologia e della perizia del medico, diviene uno dei quattro pilastri della medicina (concetto espresso nel Paragranum, 1529-1530 nota 20); si orienta sempre più verso la iatrochimica, ossia lo studio dei costituenti chimici negli organismi (il corpo umano è chiamato "athanor microcosmico").

Tuttavia, sebbene sia possibile considerarlo il padre della chimica ante litteram, Paracelso non smette di attingere e apprendere dalla sapienza tradizionale e popolare, di ricavare impiastri e rimedi da guaritrici, di rintracciare e recitare scongiuri. E di profondersi in oracoli e predizioni dalla lettura della volta celeste. Così come fornisce la ricetta per la creazione dell'homunculus (una minuscola figura umana) all'interno di un'ampolla: nel De natura rerum, oggi però giudicato opera pseudo-paracelsiana.

Il pensiero paracelsiano, accessibile per l'intera Europa già dalla fine del Cinquecento con la stampa quasi completa dei suoi trattati, ebbe un grande impatto, non solo sui contemporanei. A cominciare dall'altro svizzero Leonhard Thuneysser (1531-1595 o 1596) che fu archiatra dell'arciduca del Tirolo (ma praticò anche l'alchimia trasmutatoria). Due medici su tutti: il danese Pietro Severino (autore della Idea Medicinae philosophicae, del 1571) e il tedesco Oswald Croll (Crollius, 1563 ca.-1609), cui si deve la Basilica Chymica, che ebbe ben diciotto edizioni. In Francia Joseph Du Chesne (Quercetanus, 1544 ca.-1609), il cui nome è legato agli esperimenti di palingenesi vegetale, ossia di resurrezione di una pianta dai sali di questa. L'Inghilterra, ove già dal XV secolo la ricerca alchemica dell'elixir era fiorente, è estremamente ricettiva: prima l'Utriusque cosmi historia di Robert Fludd (1618), e poi l'Ortus medicinae del fiammingo Jan Baptista van Helmont (1648), portano in primo piano il dibattito sulla farmacologia paracelsiana, dibattito che attraverserà tutto il Seicento - si pensi all'irlandese Robert Boyle e alla tesi atomistica del suo Sceptical Chymist (1661) - ridiscutendo la stessa alchimia tradizionale. Da ricordare pure il filosofo e mistico tedesco luterano Jakob Böhme (1575-1624), il cui pensiero è fortemente impregnato dagli assunti magico-alchimistici e dal paracelsismo, nonché il movimento rosacrociano - anch'esso d'area riformata -, in origine senza dubbio in contatto con gli epigoni di Paracelso.

Il Seicento, i Rosacroce

Il Seicento segnerà una forte sovrapposizione del pensiero ermetico (dal leggendario Ermete Trismegisto - 'tre volte grandissimo' -, secondo la cultura neoplatonica e pitagorica l'originario dispensatore dell'antichissima conoscenza egizia all'umanità; e d'altra parte gli alchimisti si definiscono dal principio "figli di Ermete") a quello alchemico: è una strada già intrapresa dal quattrocentesco Marsilio Ficino - e dalla cerchia fiorentina, sotto l'egida medicea, attorno al recupero del Corpus Hermeticum -, che passerà ad esempio per l'opera dell'abate tedesco Johann Trithemius (o Tritemio, 1462-1541) e per i testi magico-cabalistici dell'inglese John Dee (1527-1608) (nota 21); fino alla corte praghese gremita di alchimisti convocati da ogni dove (come Michael Maier, Robert Fludd, lo stesso Dee) di Rodolfo II d'Asburgo - detto l'"Hermes tedesco" (nota 22) -, e alle correnti rosacrociane.

Società segreta iniziatica di chiara impronta riformata, la Rosacroce trova le sue origini nel pensiero alchemico medievale. Fa la sua apparizione in Germania agli inizi del XVII secolo con lo scritto anonimo Fama fraternitatis Rosae Crucis (1614): vi sono riportate le vicende di un tal Christian Rosenkreutz che, nel Quattrocento, sarebbe stato iniziato in terra d'Oriente e, successivamente, avrebbe tramandato ai suoi seguaci ogni segreto della natura e il compito di realizzare il suo piano di trasformazione per l'umanità - una vera e propria "riforma universale". La Fama desta grande interesse ed è subito seguita da altri due testi, la Confessio fraternitatis (nel 1615) e le Nozze chimiche di Christian Rosenkreutz (Chymische Hochzeit Christiani Rosencreutz anno 1459 - secondo un'ipotesi ispirate all'Hypnerotomachia Poliphili nota 23). Quest'ultima opera - anch'essa anonima -, pubblicata nel 1616 a Strasburgo, venne attribuita a Johann Valentin Andreae, un teologo luterano di Württemberg.

Nell'emblema di famiglia di Andreae campeggiavano la rosa e la croce (nota 24); a lui, a dire di alcuni, andrebbe ricondotta la stessa fondazione dell'Ordine Rosacroce sulla scia della profezia di Paracelso che avrebbe voluto, all'arrivo di "Elia artista", il raggiungimento di ogni sapienza. Andreae identificava l'Elia artista paracelsiano nella confraternita di alchimisti che avrebbe ottenuto il definitivo arcano dell'Ars transmutatoria.

La rosa e la croce nel frontespizio del Summum Bonum di Robert Fludd (pubblicato con lo pseudonimo di Joachim Frizius nel 1629) - Immagine rilasciata sotto licenza Creative Commons

La rosa e la croce nel frontespizio del Summum Bonum di Robert Fludd (pubblicato con lo pseudonimo di Joachim Frizius nel 1629).

A sostenere l'eco in tutt'Europa dei tre manifesti rosacrociani (la Fama, la Confessio e le Nozze chimiche) vi fu poi la comparsa di manifesti anonimi per le vie di Parigi.

L'impatto del messaggio rosacrociano dilaga nel Vecchio Continente: incarna le aspirazioni protestanti e l'anticattolicismo soprattutto nordeuropei. Molto presto però si assisté a un proliferare di ciarlatani e venditori di prodigi che si passavano per iniziati alla fratellanza rosacroce e ai suoi segreti. Mentre le opere dell'inglese Robert Fludd (latinizzato Robertus de Fluctibus, 1574-1637) (nota 25) e di Michael Maier (1568-1622), medico di corte e consigliere dell'imperatore Rodolfo II (nota 26), si ergevano a difesa dell'Ordine e dei suoi ideali di tolleranza, cultura e rigenerazione, cresceva l'ostilità nei suoi confronti. Specie in Francia dove, in chiave anti-imperiale e anti-tedesca, prese corpo l'idea di un complotto ordito dai misteriosissimi e sconosciuti rosacroce - i cosiddetti "Invisibili" -; un'idea alimentata anche dal fiorire incontrollato di gruppi e di sette che si dichiaravano rosacrociani. (Persino Cartesio, di ritorno a Parigi dopo la sua permanenza presso l'Elettore di Baviera, fu costretto a respingere, in privato e pubblicamente, le accuse che lo vedevano appartenente alla fratellanza).

Il Settecento, un'epoca di attrazione prepotente per l'occulto, assimilò le dottrine dei leggendari - e introvabili - rosacroce (e il mito dei "Grandi Iniziati", gli autentici rosacrociani, detentori della pietra filosofale e dell'arcano della longevità: fra essi vi sarebbe stato il conte di Saint-Germain e Cagliostro) nelle varie Obbedienze massoniche; fino al famoso Ordine dei Rosacroce d'oro di Antico Sistema: loggia tedesca che, per un breve periodo (1776-1786), rivaleggiò con le più influenti massonerie germaniche, e la cui fine coincise con una battuta d'arresto dell'intero movimento rosacroce.

La nuova fase rosacrociana ricominciò solo nel 1860, con la fondazione londinese della Societas Rosacruciana in Anglia, e segue ininterrotta fino ad oggi in un arcipelago di società e associazioni, tra le quali spicca l'International Rosicrucian Order A.M.O.R.C. (Antico e Mistico Ordine della Rosacroce) diffuso in tutto il mondo (nota 27).

La riscossa dell'occulto

Nel Settecento quella modalità a un tempo mistica e "operativa", che aveva contraddistinto il XVII secolo, si rafforzerà con una complessa coesistenza di pensiero ermetico, magia, alchimia, scienza ed esoterismo in senso ampio - comprensiva di tutte quelle società segrete e affiliazioni all'epoca diffusissime, massoneria per prima. Raimondo di Sangro, principe di San Severo (1710-1771), e la controversa figura del conte di Cagliostro (1743-1795 - quest'ultimo fondatore della "massoneria egizia"), entrambi avvolti dal mistero, ben rappresentano l'atmosfera di fumosità e occulto di quel tempo.

Isaac Newton - immagine rilasciata sotto licenza Creative Commons

Isaac Newton (dipinto di John Vanderbank, 1726 - The Royal Society, Londra).

Comunque, sebbene la rivoluzione scientifica abbia già avuto inizio, l'alchimia - perlomeno in senso applicativo - seguita a plasmare il pensiero dei moderni sperimentatori. Lo testimonia, su tutte, la ricerca alchemica di Isaac Newton (1642-1727), fondamentale nella fase matura e più feconda della vita dello scienziato inglese. Newton, nell'inseguire lo "spirito vitale", giunse a formulare una visione anti-deterministica e anti-cartesiana che contemplava l'incessante, "provvidenziale" intervento di Dio sull'universo. Lo spiritus, la quintessenza insita nella materia e nelle sue particelle, è per lo scienziato inglese la causa prima dei passaggi di stadio - dal fluido al solido e viceversa; dal fisso al volatile e il suo contrario, il sottile dal grosso e il grosso dal sottile; ecc. - della natura stessa, tale e quale un laboratorio alchemico. In realtà, l'impostazione prettamente analitica con la quale Newton non mancava d'avvicinarsi ai fenomeni naturali, trovò nell'alchimia una risposta più adeguata del coevo imperante meccanicismo. Almeno per qualche tempo. Dopo aver raccolto una gran mole di testi e manoscritti (nota 28), dopo aver assemblato la strumentazione di un gabinetto alchemico e sperimentato per lunghissimi periodi - riempiendo taccuini su taccuini con appunti, teorici e operativi -, lo studioso che ha appena documentato il metodo di riprodurre l'oro (nota 29) perde via via ogni stimolo a proseguire nelle sue ricerche. È il 1693: è il culmine di una profonda crisi personale, di sicuro anche religiosa, di una personalità contraddittoria, ai limiti della paranoia e dell'asocialità, che lo porterà persino a ritirarsi dalla carriera accademica.

Newton, quindi, figura contraddittoria a cavallo del XVII e XVIII secolo, come simbolo - assai problematico - di demarcazione e, insieme, di continuità fra la millenaria tradizione dei "figli di Ermete" e i loro successori: i moderni "scienziati". Da questo punto in poi, alla presenza sempre più dominante - e potremmo dire "autoritaria" - della scienza, gli alchimisti paiono quasi uscire dalla scena. Il loro posto è occupato da personaggi dagli orientamenti indefiniti, i cui interessi sconfinano nel territorio informe di una "magia" dai tanti volti. È la rivincita dell'irrazionale che si impone su '800 e '900. Dei maghi sugli scienziati. Ecco allora nomi come Éliphas Lévi (al secolo Alphonse-Louis Constant, 1810-1875), il prete spretato che mescolerà ermetismo, cabala, religione e socialismo in magia operativa e pratica; come Georgji Ivanov Gurdjieff (1877-1946), un georgiano che millanterà viaggi ai quattro angoli del mondo in cerca delle più occulte conoscenze, e terminerà - con vari adepti, anche illustri - per professare un misto di ascesi e danza nel suo "Priorato" di Fontainebleau-sur-Avon; o come Aleister Crowley (1875-1947), soprannominatosi la "Grande Bestia selvaggia", una personalità senza dubbio ossessionata dal satanismo e dalla sessualità - e più ancora dal suo ego smisurato. Tutti costoro non mancarono di definirsi "alchimisti"; ma si trattava giusto dell'ennesima auto-attribuzione di cultori di quel vasto e indeterminato campo chiamato "scienze occulte", contiguo non di rado alla ciarlataneria.

Fulcanelli e le "cattedrali alchemiche"

Non possiamo concludere questo breve sguardo d'insieme alla storia dell'alchimia senza citare un mito recentissimo: quello dello sfuggente francese Fulcanelli, l'alchimista inidentificabile - l'autore dei notissimi Le Mystère des cathédrales (del 1926, forse l'opera esoterica più famosa del Novecento) e Les Demeures philosophales (1930). In quest'ultima la simbologia dell'Opus si connette strettamente con i fondamenti muratori e massonici, identificando nell'opera edificatoria - e proprio nel lapis, la 'pietra' - lo stesso compimento alchemico. Le dimore filosofali riprendono quindi tutto quel filone - figlio certamente degli albori della massoneria, segnati da un'intensa sovrapposizione del pensiero rosacrociano - secondo il quale alcuni palazzi, dimore, architetture, consistevano in veri e propri prodotti dell'Ars Regia nonché in sue dirette metafore. Al di là del poter dar credito a tale interpretazione, che molto risente di motivi tradizionali se non addirittura leggendari (nota 30), di fatto con Fulcanelli assistiamo alla coesistenza dei due piani lungo i quali, nel corso dei secoli, l'alchimia è in costante fluttuazione: il piano puramente materiale e operativo - quello officinale, del gabinetto alchemico, del laboratorio - e il livello filosofico-spirituale (e simbolico, allegorico, mistico, religioso ecc.).

Frontespizio de Le Mystère des cathédrales - Immagine rilasciata sotto licenza Creative Comons

Frontespizio de Le Mystère des cathédrales.

Nel 1922 Fulcanelli avrebbe donato la miracolosa "polvere di proiezione" - composto che, una volta cosparso sul mercurio, sarebbe in grado di trasmutarlo in oro purissimo - al suo discepolo (nota 31) Eugène Canseliet, per poi svanire fra i vapori della leggenda e consegnarsi a essa. La duplice dimensione da sempre attraversata dal magistero alchemico - in qualche modo "risolta" dagli scritti di Fulcanelli - rimarrà tuttavia una questione fondamentale fino ai nostri giorni. La chiave di lettura mistico-simbolica prevale per esempio nell'italiano Julius Evola (1898-1974), autore de La tradizione ermetica e de Il mistero del Graal (che definisce l'alchimia come "scienza iniziatica esposta con un travestimento chimico metallurgico") o nel francese René Guénon (1886-1951) - entrambi d'impostazione reazionaria e fortemente influenzati dalle religioni e tradizioni orientali (Guénon si convertirà all'Islam) -; emerge prepotente nelle pagine dello scrittore Gustav Meyrink, autore fra l'altro del romanzo Il Golem (1915) e del racconto L'angelo della finestra d'occidente (1927) in cui si narra la vita del mago, astrologo e alchimista cinquecentesco John Dee.

La modernità rivisita totalmente l'alchimia e l'Opus Magnum alla luce - o fra le ombre - della rivoluzione psicoanalitica e psicologica. Sarà soprattutto lo zurighese Carl Gustav Jung a dedicare una parte importante del proprio pensiero e della propria produzione letteraria all'interpretazione dell'alchimia.

L'alchimia come "proto-psicologia": Carl Gustav Jung

Jung si dedica all'alchimia per un lungo lasso di tempo: dal 1928 sino alla sua scomparsa, avvenuta nel 1961. Psicoanalisi e pensiero alchemico erano, in qualche modo, già entrati in contatto: nei suoi Probleme der Mystik und ihrer Symbolik Herbert Silberer, tra i discepoli più valenti di Freud (che arriverà addirittura a impiccarsi dopo l'aspro rifiuto della sua opera e il suo allontanamento da parte del maestro), aveva rimarcato la relazione intercorrente fra la moderna psicologia e la simbologia esoterica, soprattutto alchemica. Era il 1914 e tuttavia le teorie di Silberer non destarono grande impressione in Carl Gustav Jung. Sarà la conoscenza del testo taoista Il segreto del fiore d'oro, ricevuto quattordici anni più tardi dal sinologo e pastore protestante Richard Wilhelm, a gettare il seme di quella corrispondenza fondamentale che segnerà gli studi seguenti di Jung. Stimolato dalla lettura del trattato cinese, Jung comincia a far incetta di opere alchemiche: nell'alchimia incontra finalmente "l'equivalente storico della psicologia dell'inconscio". Jung, che era inizialmente partito dalla remota letteratura gnostica - nella gnosi spiccava un immaginario assimilabile alle significazioni dell'inconscio -, trova infine, anche in termini cronologici, quel trait d'union che ricollega l'Antichità all'inconscio collettivo contemporaneo. L'alchimia e i suoi procedimenti, edificati sulla philosophia naturalis dell'Età Media, per Jung si sovrappongono e coincidono con le dinamiche della psicologia del profondo; gli uni e le altre hanno infatti essenzialmente valenza simbolica, si basano su iconografie. Fino all'estrema conclusione - o metafora - dell'unione degli opposti, ove la materia fisica assurge allo stadio di materia spirituale: il Mysterium Coniunctionis che altro non è che il segreto dello stesso Opus alchemico (nota 32).

Catalogo essenziale delle fonti

AA. VV., Cristina di Svezia. Scienza ed alchimia nella Roma barocca, Dedalo, Bari 1990;

Salvatore Califano, Storia dell'alchimia: misticismo ed esoterismo all'origine della chimica moderna, Firenze University Press, Firenze 2015;

Maurizio Calvesi e Mino Gabriele (a cura di) Arte e alchimia, allegato ad «Art e Dossier» 4, Giunti, Firenze 1986;

Nicoletta Cardano (a cura di), La Porta Magica. Luoghi e memorie nel giardino di piazza Vittorio, Fratelli Palombi, Roma 1990;

Tobias Churton, The Golden Builders. Alchemists, Rosicrucians and the First Freemasons, Weiser Books, Newburyport 2002;

Mino Gabriele (a cura di), Alchimia. La Tradizione in Occidente, La Biennale di Venezia-Electa Editrice, Venezia 1986;

Mino Gabriele, Il giardino di Hermes. Massimiliano Palombara achimista e rosacroce nella Roma del Seicento. Con la prima edizione del codice autografo della "Bugia", 1656, Ianua, Roma 1986;

André Nataf, Les maîtres de l'occultisme, Bordas, Parigi 1989;

Michela Pereira, Arcana sapienza. L'alchimia dalle origini a Jung, Carocci, Roma 2001;

Alexander Roob, Il museo ermetico. Alchimia e mistica, Taschen, Colonia 2003;

Gino Testi, Dizionario di alchimia e di chimica antiquaria - Paracelso, Edizioni Mediterranee, Roma 1980;

"The Alchemy Website", http://www.alchemywebsite.com/

Note

[20] Das Buch Paragranum: Philosophia - Astronomia - Alchemia - Von des Urstes Jugend. Con l'Opus Paramirum, del 1531, forse la sua opera più nota.

[21] Suo il famoso trattato di cabala chimica La Monade geroglifica (1564), dedicato a Massimiliano II. Dal 1581 John Dee si associa inscindibilmente all'ambigua figura dell'altro inglese Edward Kelley. Con quest'ultimo - noto come medium e negromante -, Dee, a seguito di una serie di apparizioni angeliche, riceverà in insegnamento dalle stesse entità celesti "la lingua di Enoch" antecedente al peccato originale, l'idioma di Adamo (e Kelley, in trance, gli detterà il Libro di Enoch).

[22] Testo imprescindibile sulla Praga degli alchimisti e di Rodolfo II è Praga magica dello slavista Angelo Maria Ripellino (Einaudi, 1973).

[23] La "Battaglia d'amore in sogno di Polifilo": libro fondamentale per l'immaginario ermetico d'Occidente, venne stampato dal famoso tipografo veneziano Aldo Manuzio nel 1499. Ci ripromettiamo di trattarne a breve.

[24] La rosa e la croce simboleggiano la possibilità della rigenerazione (la rosa) per mezzo della congiunzione degli opposti (i bracci della croce). Ancora: in alchimia la croce è affine al crogiolo, dentro il quale ha luogo la "morte" della materia - si rammenti la Nigredo - e la sua successiva purificazione.

[25] Nello specifico Fludd, con l'Apologia compendiaria, Fraternitatem de Rosae-Cruce suspicionis et infamiae maculis aspersam... del 1616, si erse contro il tedesco, anti-paracelsista Libavius (Andreas Libau, 1555-1616), e le accuse d'eresia, pratiche magiche e sobillazione, mosse da questo ai contenuti della Fama e della Confessio. Solo un anno più tardi diede alle stampe altre due compilazioni a favore del rosacrocianesimo: il Tractatus apologeticus integritatem Societatis de Rosea Cruce defendens e il Tractatus theologico-philosophicus de vita, morte et resurrectione, fratribus Rosea Crucis dedicatus.

[26] Michael Maier è una figura di rilievo nella storia dell'alchimia: oltre ai suoi due testi rosacrociani, Silentium post clamores (1617) e Themis aurea (1618) - veri e propri panegirici del pensiero e dell'operato alchemico - va ricordato per la raccolta di emblemi dell'Atalanta fugiens (1618); è probabilmente il trattato fondamentale del suo secolo - figlio, ovviamente, delle iconografie cinquecentesche (per esempio lo Splendor Solis di Salomone Trismosin, del 1532 ma edito nel 1598) - nel quale ogni fase della Grande Opera è rappresentata da un'immagine mitico-allegorica. (Atalanta che fugge altri non è che il mercurio filosofico su cui l'alchimista, per mezzo dello zolfo, deve operare la "fissazione" ottenendo quindi l'oro).

[27] In chiave esoterica, rifacendosi ai testi di Andreae, per "Rosacroce" s'incontra spesso "Rosa+croce" o semplicemente "R+C".

[28] L'impulso iniziale era stata la lettura dei trattati di due paracelsisti attivi in ambito britannico: quelli dell'irlandese Robert Boyle e i manoscritti del maestro di questo, l'americano George Starkey (più noto con lo pseudonimo di Eirenaeus Philaletes: l'autore del famoso Introitus apertus ad occlusum regis palatium).

[29] Come parrebbe emergere dalla lettura della più vasta opera alchemica newtoniana, la Praxis, proprio di quegli anni.

[30] Se per Fulcanelli le cattedrali sono esse stesse il messaggio segreto degli alchimisti medievali giunto sino a noi, nel concreto sono rarissimi gli esempi di opere architettoniche per i quali si possa attestare un originale e autentico progetto alchimistico. Uno di questi è a Roma: la cosiddetta "Porta Magica" del marchese Massimiliano Palombara, fatta erigere nella sua villa all'Esquilino (e oggi parzialmente "sopravvissuta" all'interno di piazza Vittorio).

[31] O forse a se stesso, poiché Canseliet - fra l'altro prefatore delle opere di Fulcanelli - per molti si identificherebbe con il misterioso alchimista.

[32] E che darà il titolo all'ultimo studio che Jung dedicò all'alchimia: Mysterium Coniunctionis: Untersuchungen über die Trennung und Zusammensetzung der seelischen Gegensätze in der Alchemie ('ricerche sulla separazione e composizione degli opposti psichici nell'alchimia'), del 1955-56. Da ricordare anche Psychologie und Alchemie (1944), Die Psychologie der Übertragung ('Psicologia del transfert', 1946), e i vari saggi sull'alchimia e sui suoi protagonisti, come quello sull'albero filosofico, sopra lo spirito Mercurio, sulle visioni di Zosimo e i due studi su Paracelso.

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