Durante le prime ore del 16 ottobre 1982 nessuno notò l'assenza dei ratti dal mercato La Victoria della città di Puebla.

Il custode salutò i primi commercianti con un intenso, nervoso gesto. Naturalmente, non poteva dire loro che non aveva dormito bene, né menzionare il sogno in cui qualcosa dalle molteplici bocche lo perseguitava attraverso gli oscuri vicoli del mercato; né che si fosse svegliato gridando nel mezzo del silenzio.

Le serrande dei negozi si alzarono con un ruggito metallico e i secchi lasciarono gli angoli per trasportare i suoni dell'acqua e della pulizia. Il pavimento fu ripulito per la millesima volta e l'acqua corse nei canali di scolo fino a immergersi nell'oscuro limo che sempre vi aveva trovato dimora. Un milione di persone lo avevano formato e lo mantenevano costante sotto il mercato dandogli un odore dal tocco speciale, caratteristico, unito all'aroma della frutta, ai chioschi di frittelle, alle foglie larghe delle corone di palma.

Era il loro aroma, delle centinaia di commercianti che si incrociavano prima di iniziare la giornata di lavoro. Alcuni con insofferenza o con solennità oppure sussurrando parole rituali che attraessero i guadagni: San Martino, San Martinello, che venga il cliente col suo borsello. C'erano alcuni che prendevano di petto il santo minacciando di abbandonarlo se non avessero avuto delle buone vendite.

La frutta fu sistemata al proprio posto, i negozi aperti, i tavoli puliti, le pentole di cibo cominciarono a fumare. L'entrata principale del mercato fu aperta e tutti trattennero il fiato per un secondo.

Iniziava un altro giorno.

I compratori entrarono poco dopo e si vendettero i primi involtini e chapurrados, mentre c'era anche chi entrava a cercare fiori freschi. Nel mezzo del mercato, a un incrocio, si trovava il negozio delle corone funebri. Il suo proprietario era un roseo grassone che si sarebbe immaginato a vendere barbecue e non corredi floreali per i defunti. Molti compratori andavano a cercarlo. Il grassone sapeva che la notte era ottima per attrarre la morte e aveva sempre pronte le liste delle corone, i paramenti funerari viola, lo stampo di gomma per scrivere il nome di coloro che erano sprofondati nell'oscurità e i brillantini per far luccicare i teli neri listati a lutto.

Le colazioni a buon mercato furono terminate e i clienti scoprirono con irritazione che non c'era più caffè nero o cappuccino per iniziare bene il giorno o terminare la nottata. Le prime casalinghe arrivarono con le loro confuse liste mentali di cose da acquistare. I tessuti e le tende bianche della merceria svolazzavano un attimo nell'aria prima di posarsi silenziosamente sui banconi dove qualcuno tagliava un metro, due o giù di lì per 430 pesos.

Fuori dalla struttura, gli ambulanti cercavano di attrarre i clienti, ma il mercato aveva il suo fascino. Entrarvi era come penetrare in una caverna oscura. C'era chi passava le ore all'interno senza comprare nulla, semplicemente passeggiando, lasciando che il tempo trascorresse mentre loro guardavano i chioschi di frutta, di cesti intrecciati, i fuochi giallognoli dei negozi di barbecue. Essi furono i primi a rendersi conto che il ritmo del mercato era diverso. Sui loro visi si disegnò un'inquietudine impossibile da esprimere a parole, un'attesa. Qualcosa si stava evolvendo nel mezzo del silenzio sottile che scivolava attraverso il trambusto abituale del mercato. Alcuni dissero che il luogo era immobile. Be', la gente camminava sulle stradine di cemento, i negozianti erano indaffarati nei loro negozi e l'attività proseguiva la sua marcia, ma, comunque, il mercato era immobile.

Con un sobbalzo compresero che non c'erano ratti.

I ratti della Victoria erano roditori discreti a cui piaceva scivolare giusto ai margini della visuale, a volte si mostravano per un istante nei canali di scolo prima di scomparire o balzare fugacemente tra la spazzatura; in genere, avevano i loro sentieri e le loro strade, tanto affollate quanto quelle umane, ma ora non le usavano. Quando si fecero le campagne di derattizzazione, i camion della nettezza urbana furono caricati da montagne di corpi, inspiegabili nella loro quantità, ma ben conosciuti. I ratti erano come gli scarafaggi o gli insetti notturni: eterni e sempre uguali. I negozianti del mercato avevano stretto una specie di patto con i roditori: io ti ammazzo di tanto in tanto e tu non ti riproduci senza freni.

Le fogne potevano essere piene di ratti, palpitanti, uno sopra all'altro, strati di esseri che non riuscivano a smettere di muoversi per un istante, ma nel mercato erano - di giorno - silenziosi e quasi invisibili. Quasi.

Dai chioschi di frutta si guardava di sottecchi la spazzatura aspettando di vederli spuntare da dietro un'arancia marcia come se fossero cani dei fumetti col giornale sottobraccio. Ma niente, nessun movimento furtivo. Alcuni pensarono che i ratti stessero disprezzando la loro frutta e ciò li fece sentire a disagio, quasi ci fosse qualcosa di sbagliato nel loro commercio. Agli altri non importò. Poco a poco tutti si accorsero dell'assenza e sebbene in principio nessuno commentò, al scendere della sera l'inquietudine si era impadronita del mercato. Durante le derattizzazioni sopravvivevano sempre uno o due roditori a cui piaceva esibirsi con aria strafottente. Non scomparivano mai completamente.

Nessuno volle neppure immaginare le migliaia di piccoli corpi nelle fognature, il mercato sospeso sopra un mare di cadaveri. Ma, fosse stato così, sarebbero state intasate, l'acqua non avrebbe defluito, o no? Erano morti o scomparsi? Avevano preso le loro cose e se ne erano andati oppure erano stati uccisi e giacevano morti e nudi nei loro letti? Come saperlo? Semplicemente, non c'erano ratti.

Per conservare la propria salute mentale, nessuno si soffermò a ricordare che i ratti abbandonano le navi sul punto di affondare. Il loro rumore avrebbe potuto tornare in qualunque momento. Quel giorno tuttavia non restò altro che il silenzio, fino al tramonto, al chiudersi delle ultime serrande, quando i proprietari lasciarono il mercato a un ansioso custode che si trovò circondato dal nulla e con la certezza che ciò che aveva sterminato un milione di ratti poteva ben finire anche un vecchietto di settantadue anni senza difese a eccezione di un bastone di ferro e un revolver del suo defunto nonno. Quella notte non riuscì nemmeno a dormire. Il silenzio somigliava a una laguna gelata in cui avrebbe potuto affogare se si fosse distratto un attimo dalla sua veglia.

Il giorno dopo i ratti non ricomparvero e il ritmo del mercato cambiò ancora un po'. In qualche maniera si doveva coprire il silenzio. Le radio aumentarono di volume e si iniziarono nervose chiacchierate che moltiplicarono il rumore. Qualcosa aveva ucciso i roditori, di questo non esisteva il minimo dubbio. Era impossibile che i ratti non si procurassero il pane quotidiano. Ci fu chi pensò di chiamare il Servizio di Sanità Pubblica, forse per richiedere i ratti. Qualcun altro aprì le serrande sperando di vedere altro tra il limo scuro e l'acqua saponata.

Se ne erano andati o qualcosa li aveva mangiati.

Al calar della notte del 17, si udì un rumore come se tutti i ratti fossero ritornati trascinando le zampe. Un suono multiplo e indefinito che attraversò il mercato da un estremo all'altro. Le discussioni morirono, le radio furono spente, tutti trattennero il respiro mentre il rumore circolava lentamente, alla maniera di un'inondazione, come se da un momento all'altro dovesse uscire acqua come una cascata dai negozi. Ma era anche un suono spesso, di un liquido denso e maleodorante. Forse sarebbe uscito sangue, un limo scuro, gelatina al limone. Maria Santissima, mormorò qualcuno. La gente sentì il desiderio di saltare da parte quando il rumore passò vicino ai loro piedi, sotto terra. Come venne, se ne andò e più tardi molti dissero che avevano ascoltato i fantasmi di un milione di ratti andarsene.

Al terzo giorno dopo la scomparsa, si fecero croci con le palme e si benedirono alcuni negozi e nessuno volle andare nei bagni scuri del mercato, perché le ombre avevano assunto un carattere minaccioso. I cani abbandonarono La Victoria e i gatti la evitarono attentamente. Il grassone delle corone non disse a nessuno che poteva sentire con certezza la vicinanza della morte, ma per ogni evenienza preparò più fiori del solito e fece i paramenti col proprio nome (giusto nel caso...).

Allora esplosero le fogne. Fu come se tutta la tensione del luogo si fosse concentrata nell'aria e avesse infine potuto scaricarsi. Fu un'esplosione per niente spettacolare. Semplicemente i tombini, le griglie, i canali di scolo saltarono di un paio di centimetri per lasciare spazio a un odore tremendamente putrefatto che scomparve prima ancora che quelli che avevano fatto un balzo a causa del boato mettessero nuovamente piede a terra. Un camionista che faceva colazione lì quando accadde raccontò che fosse suonato uguale a quando vide un camion carico di pomodori cadere in un precipizio. Pluf, ma titanico. Blof, moltiplicato per mille.

Il giorno seguente i giornali affermarono che la decomposizione organica della spazzatura del mercato aveva creato una bolla di gas solforoso e che questa non solo aveva allontanato i ratti, ma era anche esplosa spontaneamente, rompendo qualche tombino.

Nessuno raccontò come invece fosse apparso a tutti che qualcosa di enorme fosse passato velocemente sotto La Victoria, smuovendo l'aria, l'acqua e il limo che era esploso dalle fognature.

A ogni modo fu la fine di ciò che era accaduto.

Qualche giorno dopo un ratto mostrò le sue narici punteggiate attraverso un tombino rotto e quelli del mercato furono sul punto di catturarlo e dargli una montagna di baci. In seguito, ne apparvero molti, molti di più.

In mattinata corsero per il mercato vuoto, strillando e scorrazzando, mentre il custode dormiva cullato da quei suoni familiari.

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