Coincidenza tra vanity press ed editoria fantascientifica in Italia: regola o eccezione?

a cura di Gianluca Turconi

Breve manuale di approfondimento e sopravvivenza per autori ed editori nella nostrana editoria di genere.

Patti col Diavolo

Nel mondo anglosassone, col termine vanity press si intende riferirsi a quella peculiare fetta di imprese editoriali che si rivolgono a un'altrettanto particolare categoria di autori, vale a dire coloro che, pur di raggiungere la tanto agognata pubblicazione, sarebbero disposti a venire a patti col Diavolo, nel nostro caso un editore, non necessariamente a pagamento e non obbligatoriamente disonesto.

Un punto fermo che si tenterà di mantenere per tutta l'esposizione consiste proprio nel sostenere con forza che le micro, medie e grandi case editrici viste come imprese commerciali, senza riguardo alla specializzazione in questo o quel genere o sottogenere, sono tutte soggette alle regole del mercato e perciò sottoposte a vincoli di buona gestione economica dai quali non si può prescindere.

Ciò premesso, si capirà bene perché non verranno indicati nomi di editori presenti o passati per esemplificare la categoria della vanity press e di una editoria fantascientifica tradizionale in Italia, ma piuttosto si cercherà di delinearne un esemplare standard per ciascuna classe, utile a illustrare difetti e vantaggi, tanto per l'autore o editore esordiente, quanto, a maggiore ragione, per l'autore o editore che esordiente non è più e ha ormai incontrato da vicino le difficoltà di rendere la scrittura almeno un lavoro part time e non unicamente una passione oppure un sogno da non lasciare nel cassetto.

Vanity press, elementi d'identificazione

Veniamo al dunque.

Nel titolo, come pure nel primo paragrafo, si è introdotto il concetto di vanity press e si è alluso, a ragione o a torto lo vedremo in seguito, a una sua possibile e completa coincidenza con l'editoria fantascientifica in Italia. Proviamo a delineare i caratteri descrittivi della prima categoria per poterli confrontare con quelli della seconda e venire a capo della questione.

Le case editrici intese come vanity press hanno elementi costitutivi in larga parte coincidenti con le case editrici tradizionali in campo fantascientifico: sono generalmente aziende, si rivolgono a un target di clienti piuttosto ristretto, fanno leva sul desiderio di autorealizzazione e autopromozione (la famosa "vanità" di cui si è parlato fino a ora)  che è caratteristica pressoché indiscussa, eppure variabile, di qualunque autore definibile come tale.

Dopo questa prima analisi non parrebbero sussistere differenze tra le due classi di case editrici né, tanto meno, pericoli o rischi per uno scrittore di narrativa fantascientifica italiana nell'accettare l'una o l'altra classe o, in alternativa, nell'accettazione per inerzia della sola vanity press esistente. Tuttavia, vi sono notevoli e non sempre evidenti differenze che producono pericoli e rischi per autori e lettori, come andremo a illustrare.

Se è vero che siamo di fronte ad aziende in ciascun caso operanti in mercati in sostanza ristretti, riferendoci alla vanity press tale mercato sarà composto da scrittori, mentre per l'editoria tradizionale saranno lettori. Per la vanity press ne segue un'importante e indiscutibile diminuzione del rischio d'impresa e un suo parziale o totale trasferimento dall'azienda al cliente-target della stessa.

Per rischio d'impresa si vuole qui indicare quell'ammontare di rischio insito in qualunque attività commerciale che, addirittura, in base a teorie economiche largamente diffuse fino a tutto il ‘900, sarebbe la giustificazione del profitto e del capitalismo moderno su di esso fondato. Nell'ambito editoriale, la componente maggiore nel rischio d'impresa è sicuramente il gradimento del pubblico per l'opera edita, spesso irrazionale e non calcolabile in un'analisi di costi-benefici. Questo elemento è però del tutto ininfluente per le aziende appartenenti alla vanity press. Per esse il profitto non deriva dalla commercializzazione dell'opera, ma dall'effettiva solvibilità del cliente-scrittore, di certo più facilmente determinabile a priori che non il gradimento del pubblico per un libro di nuova uscita.

La diminuzione del rischio d'impresa rende più appetibile per un imprenditore orientarsi verso la vanity press anziché l'editoria tradizionale, con alcune conseguenze non di poco conto per quel che riguarda la qualità finale del prodotto-libro, specialmente nella letteratura di genere (fantascientifico), e relative ricadute sulla reputazione degli autori e sulle emicranie croniche da cattiva lettura per i poveri lettori.

Una casa editrice appartenente alla vanity press non si concentrerà sul contenuto (il testo), bensì sul contenitore (il libro nella sua espressione cartacea). Le ragioni di tale comportamento sono facilmente comprensibili: solo una percentuale infinitesimale degli autori considera il proprio lavoro come suscettibile di miglioramenti e, pagando per un servizio di pubblicazione, la gran parte di loro si preoccupa di avere una copertina che colpisca l'occhio, un'ottima distribuzione nelle librerie, una copertura promozionale che dia ampio risalto alle proprie capacità artistiche.

Quanto appena elencato è importante anche per una casa editrice tradizionale, tuttavia passa in secondo piano rispetto al valore del testo che deve non soltanto subire un'attenta revisione, ma pure correzioni o riscritture, se necessarie. Al contrario, per i professionisti della vanity press, esse non sono altro che voci di un carnet di servizi da offrire al cliente-autore di turno: disegno grafico della copertina, 100 euro; 50 copie del proprio libro in brossura, 400 euro; editing professionale, 5 euro a cartella, ecc, ecc.

Il contratto editoriale, quel meschino sconosciuto

Chi ha avuto esperienze con gli editori italiani nella letteratura di genere, potrebbe pensare che per riconoscere un appartenente alla vanity press basti guardare quale cifra venga chiesta all'autore all'atto della firma del contratto, senza perder tempo con i fattori indicati in precedenza. Purtroppo, non è tanto semplice.

I contratti di edizione, ne esistono di diversi tipi, non sono tratteggiati in ogni minimo particolare dal nostro legislatore e molte sfaccettature sono lasciate all'autonomia privata delle parti professionali che lo concludono. Sì, professionali, avete letto bene, perché indipendentemente dalla circostanza che una casa editrice offra dei servizi di pubblicazione a pagamento, l'autore è pur sempre un professionista che si appresta a cedere i diritti sulla propria opera intellettuale, e non solo un povero consumatore davanti a un soggetto contrattualmente più forte che spesso propone dei semplici formulari contrattuali da sottoscrivere nello stile "prendere o lasciare".

Ne segue che la differenza di forza contrattuale permette a molti editori di essere abbastanza magnanimi da non offrire contratti a pagamento, oramai diffusamente aborriti dagli autori. Piuttosto, si vanno a spostare sul cliente-autore altri costi o ulteriori percentuali del rischio d'impresa a cui si accennava attraverso clausole contrattuali meno appariscenti. I principali costi spostati in questa maniera sono i seguenti:

  1. iscrizione/bollatura SIAE (irrisoria)
  2. promozione (presentazioni, viaggi di rappresentanza, copie omaggio, ecc.)
  3. contratti con contributo di lavorazione o post-pubblicazione (spese di distribuzione diretta del libro, per editing, ecc.)

Se in un contratto si dovesse incontrare una clausola riguardante il primo punto o ci si è imbattuti in un esponente principe della vanity press che non sostiene praticamente alcun costo pur dando un servizio "chiavi in mano" oppure siete di fronte a uno dei rari casi di micro o piccole case editrici che provano a lavorare "quasi" correttamente nonostante debbano fare i conti con le pieghe non sempre capaci dei propri bilanci.

Non è tanto il trasferimento dei costi di bollatura/iscrizione sull'autore a dover far suonare un campanello d'allarme, quanto piuttosto i motivi per i quali viene posta la clausola. Si dovrebbe verificare, per esempio, che sul contratto che si ha davanti ci sia veramente la firma dell'editore, sia cioè una vera e propria proposta contrattuale e non si abbia invece a che fare con un formulario in bianco in cui l'autore, firmando, si mostra formalmente come proponente, lasciando allo stesso tempo all'editore la piena libertà di concludere il contratto controfirmandolo in un secondo momento, magari tenendo conto anche della scaltrezza del nostro buon autore, il quale, all'atto della richiesta della bollatura SIAE, può essere tranquillamente accantonato per una "mutata politica editoriale" o altre scuse analoghe evitando con facilità i controlli sulla tiratura e sulle vendite imposti dalla SIAE.

Le spese di promozione a carico dell'autore sono di difficile collocazione tra vanity press ed editoria tradizionale, perché molti editori semplicemente non le ricomprendono nel contratto, lasciando il punto alla mercé dell'interpretazione contrattuale. Se invece viene inserita una clausola che pone in capo all'autore l'obbligo di organizzare presentazioni o di presenziarvi a proprie spese per un numero di volte non determinato o, comunque, si va a intaccare il compenso dovuto all'autore attraverso l'esclusione dalle royalties di un numero rilevante di copie "omaggio", si può affermare con sufficiente sicurezza che il nostro editore non appartiene alla categoria della vanity press, per la quale la promozione è un altro servizio che deve essere ben visibile per i clienti-autori e per il quale propone spesso anche tariffari precisi al centesimo. Piuttosto, il soggetto rientra nella poco rassicurante categoria degli editori "arrampicatori", privi di strutture promozionali proprie ma con grandi ambizioni, i cui costi vengono posti a carico degli autori.

Sui contratti con contributo di lavorazione o post-pubblicazione, se i costi saranno ricompresi nel contratto e facilmente identificabili all'atto della firma, avremo un ottimo sensore per dire di esserci appena addentrati nel mondo della vanity press, mentre se tali costi verranno in rilievo solo in un secondo tempo, si potrebbe essere incappati in persone abituate a navigare sotto costa dell'illecito, poiché non si è per nulla obbligati a coprire costi non previsti contrattualmente e che, anzi, in un mondo ideale, dovrebbero appartenere alle normali attività di un editore.

Diamo i numeri, nel mercato editoriale fantascientifico

Abbiamo detto: possibilità di minore rischio d'impresa in un mercato ristretto = vanity press

Ma quanto è piccolo il mercato editoriale fantascientifico italiano? Proviamo ad arrischiare qualche cifra per controllare se veramente è così ristretto da far preferire a qualunque editore, esclusa la grande editoria, di rivolgersi agli autori anziché ai lettori come potenziali clienti.

Secondo il Rapporto sullo Stato dell'Editoria Italiana per il 2005, a cura dell'Ufficio Studi AIE (Associazione Italiana Editori), gli italiani con più di 14 anni che hanno acquistato un libro nel corso dell'anno sono pari a una percentuale compresa tra il 43% e il 46%, quindi tra i 21 e i 23 milioni (dati Ipsos). Di questi, volendo tenere ferma una tendenza segnalata nell'anno precedente, la narrativa fantastica (fantasy, fantascienza, horror, esoterismo, narrativa per ragazzi, ecc.) coprirebbe una percentuale intorno all'8% in crescita, forse per il traino dei fenomeni Tolkien/Rowling.

Volendo attribuire un ottimistico 3% alla fantascienza, siamo di fronte a un mercato tra 630.000 e 690.000 acquirenti potenziali. Stima, ricordiamolo, ipotetica e molto ottimistica.

Con questi numeri non si dovrebbe poi parlare di mercato eccessivamente ristretto se, sempre dal Rapporto, non vi fosse un altro dato che indica come la tiratura media di ciascun titolo edito sia scesa dalle 4.900 copie medie del 2000 alle 4600 attuali, il che, sommato al numero stabile dei titoli editi intorno ai 54.000 per tutti i generi, ci fa comprendere come gli editori tendano a contrarre la produzione per singolo titolo e a non aumentare il numero di titoli editi, indifferenti alle quote di potenziali clienti.

Chiaro segno di crisi? Non certo per la Grande Distribuzione Organizzata che ha avuto un +3,2% rispetto alle vendite dell'anno precedente legato a un +5,2% delle grandi librerie con più di 10.000 titoli a catalogo.

È perciò probabile che siano le piccole e medie case editrici a soffrire della contrazione delle tirature, le stesse più suscettibili al rischio d'impresa.

Dal punto di vista dell'autore italiano di narrativa fantascientifica le cose si complicano non poco quando ci si rende conto che ben il 21,4% dei titoli offerti in Italia corrisponde a traduzioni da lingue straniere, cifra che può essere comodamente triplicata per il mercato fantascientifico, con un semplice controllo empirico nelle librerie di settore.

Tirando le somme, nel mercato editoriale fantascientifico italiano avremmo piccole e medie case editrici massimamente attente al rischio d'impresa e un parco autori italiano in discreta difficoltà a ritagliarsi il proprio spazio.

Mimetismo, innovazione, professionalità

È questo il terreno ideale per il proliferare della vanity press?

Sì e no. La risposta interlocutoria può lasciare interdetto chi si è spinto nella lettura fino a questo punto. Ciononostante, non dovrebbe sorprendere.

In ogni congiuntura difficile di un qualsiasi mercato, i medio-piccoli imprenditori impegnati nel campo hanno due scelte principali per non scomparire:

  • abbassare il livello di rischio d'impresa, nel nostro caso dandosi alla vanity press e ad attività collegate;
  • alzare il livello di rischio d'impresa mettendosi in gioco attraverso tecniche di miglioramento aziendale, quali, per l'editoria fantascientifica, il mimetismo editoriale, l'innovazione e l'aumentata professionalità.

Per mimetismo editoriale si vuole indicare quel fenomeno, crescente nel quinquennio 2000-2005, con cui editori che si potrebbero definire di narrativa tradizionale hanno pubblicato opere fantascientifiche qualificandole come "narrativa fantastica" ovvero "narrativa" tout court. È un tentativo - a volte riuscito, a volte no - di sdoganare la fantascienza dal proprio mercato ristretto, per lanciarla sul mercato allargato dei lettori rivolti alla narrativa tradizionale. Questa scelta deve essere compiuta consapevolmente anche dall'autore, perché si può rischiare in proprio nel proporre opere trans-genere (giallo, noir, fantasy e altro in commistione con la fantascienza), gradite a un pubblico più vasto, le quali però nella forma proposta potrebbero scontentare tanto i puristi della fantascienza quanto l'allargato target di lettori che si vorrebbe conquistare.

L'innovazione, nel contesto, non si riferisce a un originale e non conformista stile o contenuto dell'opera, sempre possibile, con i conseguenti rischi. Piuttosto, ai mezzi di distribuzione o alle modalità di reclutamento degli autori. Nel tempo in cui viviamo, lo strumento di innovazione principale è sicuramente il Web. Possiamo dire che un editore, il quale non voglia proseguire sulla strada della vanity press, possa trarre da Internet le opportunità per emergere in un mercato ristretto quale la fantascienza? A giudicare dai dati forniti dal Rapporto sullo Stato dell'Editoria, la risposta parrebbe no. Le vendite su Internet sono aumentate del 35,7% relativo per un misero 2,4% complessivo come quota di mercato editoriale.

Quindi, come mezzo di distribuzione alternativo di opere editoriali digitali o cartacee, il Web non avrebbe ancora sfondato. Poco sopra si è però sottolineato che Internet, come mezzo di reclutamento degli autori, può rientrare nelle componenti di cui gli editori si possono servire in fase di investimento.

In particolare, si vuole sottolineare la crescente importanza in Italia delle Comunità virtuali (Community). Si tratta, in un'analisi abbastanza stringata del fenomeno, di siti web che forniscono all'appassionato di genere strumenti informativi e collaborativi - forum, chat, notizie, ecc. - per soddisfare la propria passione. La loro formazione non è recente e neppure legata al mondo dell'editoria; la si può far coincidere addirittura con la nascita del Web e col movimento del Free Software, poi ripreso commercialmente da giganti industriali come Yahoo e Google, sopravvissuti alla crisi della New Economy a cavallo del recente cambio di secolo.

Per l'editore o gruppo editoriale che abbia a che fare con un mercato ristretto, le Community offrono fonti di reddito diretto e indiretto. Diretto con gli introiti derivanti dalle risorse pubblicitarie o da iniziative promozionali analoghe. Indiretto grazie alla creazione di un legame di marchio - il nome della comunità, se non l'editore stesso - sia con i lettori sia con gli autori. Si ha così un allargamento della propria nicchia di mercato e, al contempo, per quel che riguarda gli autori, non solo l'editore può procedere a una selezione privilegiata di utenti-scrittori appartenenti alla Comunità, ma anche a costruire la reputazione degli stessi col protrarsi nell'arco del tempo del rapporto dell'utente-lettore con la Comunità.

Lasciata per ultima la professionalità, si dovrebbe presupporre che essa sia presente in ogni azienda editoriale. Non è così. O almeno, non lo è per quel che riguarda la selezione e promozione del prodotto editoriale.

Il crescente aumento della vanity press e l'eccezionale sviluppo dei POD (print-on-demand; stampa su richiesta) ci ha condotti a una mercificazione dell'opera letteraria che sta portando all'estinzione di figure quali l'editor professionale, l'agente letterario propriamente detto, il responsabile alla distribuzione. Sempre più spesso ci si imbatte in soggetti ibridi, variamente qualificati, che svolgono più mansioni differenti all'interno delle case editrici: editor che sono anche agenti di rappresentanza presso le librerie, agenti letterari pagati solo per il lavoro di editing, distributori che si immischiano nel rapporto legale tra editore e autore. Aumentare la propria professionalità non significa fare anche il lavoro degli altri, ma conoscere il mestiere altrui per poterlo integrare e facilitare nel processo di produzione editoriale. Ciò è vero tanto per l'editore, quanto per l'autore.

In ultima analisi, ripetendo la domanda, la coincidenza tra vanity press ed editoria fantascientifica in Italia è da considerare la regola o una semplice eccezione? Anche alla luce dei dati non favorevoli segnalati dall'AIE per il trend di vendite futuro, possiamo affermare che la vanity press si vada consolidando come regola e che l'eccezione sia l'editoria tradizionale, con però la speranza che la sopravvivenza commerciale di editori tradizionali nel mercato di genere sia data dal mettersi in gioco sotto il punto di vista del rischio professionale di tali aziende e, di conseguenza, a una selezione naturale per meriti, sicura garanzia di imprese più solide finanziariamente e di opere più meritevoli letterariamente.

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