La stirpe dello Yeti, l'Abominevole Uomo delle Nevi, tra leggende, folclore, ritrovamenti e scienza

di Gianluca Turconi

Criptozoologia: lo Yeti o Abominevole Uomo delle Nevi, come è conosciuto in occidente il rakshas dell'area himalayana, fa parte di una nutrita schiera di creature fantastiche che abiterebbero le montagne e valli di mezzo mondo. Si sa poco dell'origine della sua leggenda, ancora meno delle sue presunte abitudini di vita, ma la paura che incute nelle popolazioni montane il solo nominarlo è sicuramente veritiera e genuina.

Tra montagne e valli, camminano giganti pelosi

Rappresentazione fantastica dello Yeti demoniaco dell'Himalaya, immagine in pubblico dominio, fonte Wikimedia Commons

Rappresentazione fantastica dello Yeti demoniaco dell'Himalaya.

In praticamente tutte le valli del mondo, dominate da imponenti montagne e da misteriose e a volte pericolose foreste di alberi d'alto fusto, ogni montanaro che si rispetti conosce storie tramandate di bocca in bocca per generazioni, radicate in tempi sconosciuti e ormai ammantate di leggenda, che parlano di robuste, irsute e sgraziate creature antropomorfe. Se le ascolterete, quelle storie vi parleranno certamente di impronte trovate sulla neve troppo grandi per appartenere a un essere umano e di comunità isolate in quelle montagne che hanno paura di uscire durante le tempeste di neve o di notte per timore di incontrare quegli esseri, i quali hanno, da zona a zona, un nome sempre diverso, ma che incutono, comunque, un sano terrore.

In Asia, dal Deserto del Gobi nel nord alla regione di Assam nel sud, prendono il nome di Meti, Shookpa, Migo, Kang-Mi o altro ancora. Nel nord-ovest degli Stati Uniti, la nostra elusiva e inquietante creatura viene chiamata Bigfoot (letteralmente "Grande Piede"), mentre nelle aree ai piedi delle Montagne Rocciose canadesi, ci potrebbe capitare di incontrare, se siamo davvero fortunati o sfortunati, secondo le sensazioni che proveremmo se accadesse, il Sasquatch, il parente delle creature prima citate abitante nel paese degli aceri.

Indipendentemente dal nome, le descrizioni date in queste storie sono abbastanza simili. D'altezza oltre i tre metri e di peso certamente superiore ai centocinquanta chili, la creatura che si aggirerebbe tra montagne e foreste sarebbe ricoperta da una folta pelliccia, dal colore variabile dal bruno scuro al bianco secondo le aree d'avvistamento, e avrebbe un aspetto sostanzialmente scimmiesco, sebbene si muova con andatura eretta sulle gambe posteriori, con postura tipicamente umana.

Lo Yeti dell'Himalaya

Il più famoso degli esemplari di questo bipede mastodontico abiterebbe tra le altissime montagne dell'Himalaya. Conosciuto in Occidente come Yeti, parola che significa in lingua locale "creatura magica", fu etichettato dai primi giornali occidentali che se ne occuparono come "Abominevole Uomo delle Nevi" per sottolineare contemporaneamente l'aspetto a metà tra uomo e animale, e la paura che le popolazioni locali provano al solo nominarlo.

Geograficamente, la quasi inaccessibile regione dell'Himalaya attraversa i confini di tre nazioni - India, Nepal e Tibet, quest'ultima nazione annessa alla Cina nel 1949-50 - ed è dominata dalle montagne più alte del pianeta, tra cui spicca l'Everest con i suoi 8848 metri d'altezza, condiviso per metà tra Nepal e Cina, con vallate adiacenti persino disabitate e ammantate di mistero. Il versante da cui le spedizioni di scalatori occidentali si cimentarono e tuttora si cimentano nella non semplice impresa di conquistare la cima dell'Everest è quello nepalese.

Fotografia originale del confronto tra presunte impronte di Yeti e umane scattata da René de Milleville nel marzo 1976, immagine sotto Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo 3.0, © Asterix99, fonte Wikimedia Commons

Fotografia originale del confronto tra presunte impronte di Yeti e umane scattata da René de Milleville nel marzo 1976.

E fu proprio dai nepalesi che gli esploratori e scalatori occidentali cominciarono a sentire parlare per la prima volta degli Yeti o, meglio, usando una parola più specifica di quella popolazione, dei rakshasa, parola che in sanscrito significa "demoni".

L'aumento dei visitatori occidentali in queste aree prima tanto inaccessibili portò, come è facile immaginare, a un incremento delle notizie su questi misteriosi esseri e a un interessamento sempre maggiore da parte degli organi di stampa occidentali.

Le storie riprese e raccontate dai giornali risalirebbero, secondo la tradizione, addirittura al 4.000 Avanti Cristo.

Le prime notizie di incontri o, per meglio dire, scontri tra i rakshasa e uomini occidentali risalgono tuttavia all'epoca moderna. Per la precisione al XIX secolo.

Nel 1832, B.H. Hodson, rappresentate della Corona Britannica in Nepal, riportò che una creatura gigantesca e irsuta aveva ripetutamente attaccato i suoi servitori. Anch'egli chiamò quell'essere rakshas, utilizzando il tipico vocabolo nepalese. Mezzo secolo dopo, nel 1889, il Maggiore dell'esercito britannico L. A. Waddell fu il primo a individuare larghe impronte apparentemente umanoidi su un picco nordorientale del Sikkin. I portatori facenti parte della sua spedizione allora gli raccontarono dell'esistenza della creatura chiamata Yeti e della sua abitudine di attaccare gli uomini per portarli via come cibo.

Successivamente, nel XX secolo, furono annunciati ulteriori ritrovamenti e avvistamenti di questa creatura. Gli indizi dell'esistenza dello Yeti solitamente si risolvono nella scoperta di tracce, compravendita di pellicce da parte dei nativi, ma anche veri e propri incontri faccia a faccia con questi Abominevoli Uomini delle Nevi. Gli incontri, tuttavia, non sono mai avvenuti tra scienziati e appassionati appartenenti alle molte spedizioni che si sono messe sulle tracce di queste creature, ma accadono, con sorprendente e sospetta costanza, con gli abitanti della regione himalayana.

Le tracce migliori mai rinvenute furono comunque fotografate dagli scalatori britannici Eric Shipton e Micheal Ward nel 1951. Le trovarono sul versante nordoccidentale del ghiacciaio Menlung, situato tra il Tibet e il Nepal, a un'altitudine approssimativa di 7,000 metri. L'aspetto più intrigante della faccenda è che le tracce apparvero ai due uomini come fresche, tanto che si convinsero a seguirle per oltre un miglio. Purtroppo, in un ambiente tanto ostile quanto quello in cui intrapresero l'inseguimento, le persero non appena raggiunsero un'area interamente ghiacciata.

Il fatto che gli abitanti locali si riferiscano a queste creature parlando sempre al plurale (i rakshasa) è facilmente comprensibile quando dalle storie e leggende dell'area si ricostruisce il bestiario fantastico di queste popolazioni che comprenderebbe ben tre tipi di Yeti: i Nyalmot, i Rimi e i Raksi-Bombo. I primi sarebbero i giganteschi esemplari di cui si è parlato fino a ora, i secondi sarebbero di dimensioni umane, i terzi poco più che pigmei pelosi. In ogni caso, i nativi provano il medesimo terrore nel pronunciare i loro nomi.

Gli sforzi di dare basi scientifiche alle leggende

Di particolare interesse nella storia dello Yeti sono i risvolti scientifici retrostanti che alcuni tra i più appassionati sostenitori della sua esistenza hanno posto a base delle leggende himalayane. In una vasta area asiatica che va da Lang Trang nell'odierno Vietnam a Sud, fino alla Cina settentrionale e allo stesso Tibet, sono stati rinvenuti reperti archeologici, principalmente denti e parti di scheletri, che dimostrano come in epoca preistorica, nel Pleistoce (tra 2,58 milioni e 11,700 anni fa) l'intera regione fosse abitata da un gigantesco primate antropomorfo denominato Gigantopithecus che, sempre secondo gli appassionati appena citati, intorno a 500,000 anni fa si sarebbe ritirato sull'Himalaya a causa dei cambiamenti climatici che avrebbero colpito il suo habitat naturale.

Ovviamente, non ci sono prove di ciò. Anzi, scientificamente parlando, vi sono elementi che minano profondamente queste supposizioni. Infatti, il Gigantopithecus non viveva affatto in un ambiente glaciale e spoglio come l'Himalaya, bensì in un'area di foreste vaste e rigogliose, casa di animali carnivori come la tigre, il leopardo e l'orso bruno asiatici, cacciatori molto efficienti che, insieme a un altro temibile concorrente nella corsa al cibo, il cane selvatico asiatico, predavano principalmente bovidi e cervidi, ma non disdegnavano qualsiasi altra fonte di calorie. Per gli animali che appartenevano alla categoria "prede", il gigantismo era quindi una caratteristica che poteva metterli in buona posizione nella dura lotta per la sopravvivenza. Non c'è da stupirsi se nella stessa area fosse presente lo stegodonte, razza ora scomparsa e imparentata con gli elefanti sebbene sostanzialmente più grande, o il panda gigante o, ancora, il Gigantopithecus a cui si accennava.

L'enorme mandibola del Gigantopithecus blaki, immagine disponibile sotto Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported, © utente Wilson44691, fonte Wikimedia Commons

L'enorme mandibola del Gigantopithecus blaki.

Sebbene non vi siano effettive prove scientifiche dell'esistenza dello Yeti e dei suoi "parenti" o della sua collocazione geografica, le storie e le leggende su questa creatura fanno ancora oggi presa sull'immaginario popolare, tanto da spingere appassionati e scienziati a organizzare battute di ricerca nelle più disparate parti del globo. E' giusto del 2011 la notizia che un gruppo internazionale di scienziati, partiti da Mosca, avrebbe trovato tracce dello Yeti, orme e peli, nella regione di Kemerovo in Siberia. Proprio le tracce di pelliccia rinvenute dallo scienziato russo Anatoly Fokin avrebbero fatto affermare al rappresentante del gruppo che l'esistenza dello Yeti in tale regione sia ormai provata al 95%.

Tuttavia, come si può apprendere leggendo l'Huffington Post del periodo, lo scetticismo su queste prove è tale che persino Loren Coleman, direttore del Museo di Cryptozoologia di Portland nel Maine, ha dichiarato che "tali dichiarazioni non sono molto diverse da quanto si potrebbe sentire da escursionisti del weekend in Nord America che escono, scoprono qualche pelo di origine indeterminata, lo chiamano "Pelo di Bigfoot", ritrovano qualche ramo spezzato o albero accatastato, dicono che sia stato fatto da Bigfoot o orme che appaiono come tracce di un Sasquatch. Queste non sono "prove" che resisterebbero a una più attenta analisi, zoologicamente parlando".

Tanto più che, con riferimento alle scoperte siberiane, gli scettici sottolineano come le storie sullo Yeti locale favoriscano il turismo regionale, tanto che il giorno dell'apertura della stagione sciistica viene chiamato Giorno dello Yeti.

L'evidente rischio di mettere in gioco la propria credibilità scientifica, sempre che essa sia riconosciuta nella comunità internazionale, non ha impedito ad altri ricercatori di organizzare conferenze stampa per annunciare le proprie straordinarie scoperte riguardanti l'Abominevole Uomo delle Nevi e le sue varie sottospeci.

E' ciò che è avvenuto, sempre nel 2011, anche a Fresno, in California, quando la Sanger Paranormal Society lanciò una raccolta pubblica di fondi per effettuare l'analisi del DNA su una presunta creatura denominata come Bigfoot, ritrovata nella Sierra National Forest.

Il fondatore della SPS, Jeffrey Gonzalez, presentò anche fotografie di strane tracce lasciate sui finestrini del suo pickup che era stato momentaneamente abbandonato durante una tempesta di neve.

Tutte queste "prove" non hanno però portato, a oggi, a nessuna soluzione del mistero Yeti/Bigfoot/Sasquatch, né facendo riferimento a Gigantopitheci sopravvissuti né a eventuali razze animali differenti. Ciò che continua a sopravvivere sono sicuramente le leggende locali sull'argomento, l'interesse dei visitatori per queste creature fantastiche e il timore irrazionale dei nativi per qualunque rumore, orma o strana ombra sia possibile vedere nelle loro isolate montagne e silenziosi valli.

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