Il comportamento animale: un rapido sguardo al mondo dell'etologia - Prima parte

a cura di Dario Borghino

Conosciamo da vicino l'approccio istintivo e sociale degli animali, per dare basi scientifiche alla costruzione di ambientazioni in cui l'uomo non sia necessariamente il protagonista, bensì solo una delle creazioni presenti in natura.

Introduzione

Tutti gli organismi presenti in natura, dalle semplici cellule batteriche agli animali più complessi, compiono delle azioni: si spostano cercando attivamente luoghi adatti a mantenere l'omeostasi1, procurano il cibo per sé stessi e i propri simili, tentano di sfuggire ai predatori, hanno una vita sociale e sistemi più o meno complessi atti a comunicare coi propri simili, si riproducono (spesso in seguito a complessi rituali di corteggiamento), ecc. L'insieme di tutte queste attività definisce un comportamento che è tipico di una determinata specie animale.

Le caratteristiche comportamentali di un determinato organismo, ossia la sensibilità a determinati stimoli e le relative modalità di risposta, sono il risultato della selezione naturale al pari di quanto lo sono la colorazione mimetica delle ali di una Biston Betularia2 o la postura eretta tipica dell'Homo Sapiens. Tali meccanismi comportamentali sono di importanza fondamentale ai fini della sopravvivenza individuale e della preservazione della specie.

Lo studio del comportamento animale e della sua evoluzione è senza dubbio uno dei campi più vasti, attivi e stimolanti della ricerca biologica contemporanea, motivo per cui una trattazione completa e totalmente esauriente dell'argomento richiederebbe uno sforzo improponibile sia nella stesura che negli inevitabili e continui aggiornamenti da apportare. Scopo di questo articolo è pertanto, più che una trattazione completa, quello di tracciare delle linee guida che permettano di comprendere a fondo gli aspetti più significativi di questa scienza, in modo da fornire al lettore delle solide basi per affrontare la letteratura riguardante gli sviluppi in tale ambito.

Da Darwin a Mendel

Come accennato nell'introduzione, i meccanismi alla base delle dinamiche etologiche sono le stesse che regolano l'evoluzione delle specie viventi. Prima di addentrarci ulteriormente nel campo del comportamento animale è perciò opportuno un breve excursus sulle dinamiche che stanno alla base dell'evoluzione delle specie.

Charles Darwin e L'origine delle specie

Charles Darwin

Charles Darwin (1809-1882)

Il contributo più consistente allo sviluppo della moderna teoria evolutiva è senza dubbio alcuno quella del naturalista inglese Charles Darwin. Egli, avviato alla carriera di medico ma disgustato dalle brutali pratiche del tempo, all'età di soli ventidue anni rinunciò a proseguire la sua attività (egli stesso scriverà di essere fuggito da una sala medica in cui si stava operando un bambino di pochi mesi senza anestesia) per avviarsi con poca convinzione alla carriera ecclesiastica. Sebbene poco interessato a questo campo di studi, Darwin era un appassionato cacciatore, amava collezionare molluschi, conchiglie e coleotteri e si interessava attivamente di botanica: per cui, quando il capitano del brigantino Beagle si disse disposto a offrire un passaggio a un giovane naturalista disposto a seguire senza stipendio la sua spedizione verso la costa sudamericana, Darwin accettò con entusiasmo, ignaro che il suo viaggio avrebbe cambiato per sempre la visione della nostra vita e della nostra collocazione all'interno del regno dei viventi.

Fino al termine del XVIII secolo, la teoria riconosciuta dalla comunità scientifica come la più accreditata e verosimile era quella della Scala Naturae aristotelica, secondo la quale gli organismi erano classificabili in una piramide ideale: gli animali più semplici stavano alla base della piramide e l'uomo alla sua sommità, mentre tutti gli altri esseri viventi occupavano le posizioni intermedie. Vi era poi un gruppo di biologi più avanguardista, che rifiutava la concezione aristotelica in favore di quella ancor più antropocentrica dell'Antico Testamento, secondo la quale tutti gli esseri viventi erano stati creati per un atto divino, essenzialmente per l'utilità o il piacere degli uomini. A questo si aggiungeva poi una constatazione che appariva incontrovertibile e che era ben radicata nel senso comune, quella cioè che le specie animali fossero eterne e immutabili, create di proposito e con fini specifici. Come si sarebbe potuta spiegare altrimenti la straordinaria varietà degli organismi e il sorprendente adattamento di ogni essere vivente al proprio habitat?3

Il primo scienziato a elaborare una teoria sistematica dell'evoluzione fu Jean-Baptiste Lamarck (1744-1829), il quale ebbe il merito di ipotizzare che tutte le specie, incluso Homo Sapiens, discendessero da altre specie. La teoria lamarckiana era costituita sostanzialmente da due affermazioni. La prima che è gli organi degli animali diventino più (o meno) sviluppati in seguito all'uso (o al disuso), e che le caratteristiche dovute all'uso si trasmettano di generazione in generazione. Celebre in questo senso è l'esempio della giraffa che, allungando il collo per raggiungere gli arbusti più alti, vede il proprio collo allungarsi ed è in grado di trasmettere agli eredi il carattere "collo lungo"4. La seconda affermazione prende spunto dalla concezione aristotelica ed è una sorta di primordiale teoria evolutiva secondo la quale tutti gli organismi, dalle amebe agli organismi più complessi, tendono a raggiungere uno stadio più avanzato della piramide: l'uomo stesso tende continuamente a un maggior grado di perfezione. Al momento di salpare dalle coste inglesi a bordo del Beagle, Darwin era al corrente di queste teorie e ne era profondamente influenzato.

Il brigantino Beagle salpò nel mese di dicembre 1831 per arrivare a Bahia, sulle coste brasiliane, alla fine del febbraio 1832. L'imbarcazione riprese poi il viaggio lungo la costa effettuando soste a intervalli più o meno regolari. Darwin ebbe così modo di passare circa tre anni e mezzo lungo le coste del Sud America, esplorandone anche l'interno. La sosta alle isole Galàpagos (dal nome spagnolo per testuggine) durò poco più di un mese e, in questo periodo, egli effettuò numerosissime osservazioni sulla fauna dell'arcipelago. L'oggetto delle sue osservazioni furono principalmente le grandi e singolari testuggini che popolavano questo arcipelago; su ognuna delle numerose isole, queste differivano per alcuni particolari, ad esempio nella conformazione del carapace, mentre per il resto le specie erano sorprendentemente simili. Osservando la vegetazione circostante, Darwin rilevò un carattere ancora più sorprendente: le diversità tra le varie specie sembravano rispondere alle esigenze che le testuggini avevano sull'isola nella quale risiedevano. Ad esempio, nelle isole ricche di vegetazione le tartarughe avevano un carapace a forma di cupola, atto a proteggere le parti molli dell'animale perché si potesse far strada tra gli arbusti; le tartarughe residenti sulle isole dal clima più arido, invece, avevano un carapace a forma di sella, che permetteva all'animale di allungarsi in modo più efficace in cerca di cibo.

La grande quantità di rilevazioni permisero a Darwin di elaborare una teoria destinata a cambiare per sempre la concezione antropocentrica della scienza del suo tempo. Egli pubblicò nel suo più celebre libro, Sull'origine delle specie, le sue conclusioni, che per gli scienziati dell'epoca avevano dello sconcertante.

Secondo Darwin, infatti, le variazioni tra individui, presenti in ogni popolazione naturale, sono dovute al caso: non sono prodotte né dall'ambiente, né da una "forza creatrice" superiore, e nemmeno da un ipotetico impulso inconscio dall'organismo. Queste variazioni non presentano né uno scopo preciso né una direzione, ma possono risultare più o meno utili per un certo organismo ai fini della sua sopravvivenza e riproduzione, mentre ne sfavorisce altri che presentano caratteristiche meno idonee all'ambiente in cui l'animale vive. E' questo il celebre principio della selezione naturale, il quale agendo su un grande numero di generazioni dà una direzione certa all'evoluzione degli organismi. Proseguendo nel suo ragionamento, Darwin intuisce poi che, col passare del tempo e delle generazioni, le differenze che intercorrono tra due animali discendenti dallo stesso progenitore ma che grazie al processo di selezione naturale si sono progressivamente adattati ad ambienti o condizioni di vita diversi possono ampliarsi fino a originare nuove specie5.

Mitosi e meiosi

La riproduzione delle cellule6 è un processo noto come divisione cellulare, nel corso del quale il contenuto delle cellule (e in particolare il patrimonio genetico codificato nel DNA) viene distribuito tra due o più cellule figlie. Negli organismi unicellulari la divisione cellulare aumenta direttamente il numero di individui di una popolazione, mentre negli organismi pluricellulari, come piante e animali, la divisione cellulare ha generalmente per effetto la crescita dell'organismo.

Una singola cellula cresce assimilando sostanze dal suo ambiente e sintetizzandole in nuove molecole strutturali e funzionali. Quando la cellula raggiunge determinate dimensioni critiche, si divide. Le nuove cellule sono, strutturalmente e funzionalmente, simili alla cellula madre in quanto ogni nuova cellula eredita una replica esatta delle informazioni ereditarie dalla cellula progenitrice.

Vi sono due possibili modalità di riproduzione: la prima, asessuata, è detta mitosi ed è particolarmente frequente nelle specie vegetali; la seconda, detta meiosi o riproduzione sessuata, è frequente in particolar modo negli animali. Non ci soffermeremo sui particolari di queste due tipologie di riproduzione, poiché la trattazione di questi argomenti esula dagli scopi di questo testo: è però importante evidenziare le differenze più significative tra le due tipologie e i vantaggi derivanti dalla riproduzione sessuata, riassumibili in due punti:

  1. durante la meiosi, ogni nucleo diploide7 si divide due volte, producendo complessivamente quattro nuclei, mentre i cromosomi si duplicano una sola volta prima che si verifichi la prima divisione cellulare: in questo modo ognuno dei quattro nuclei contiene la metà nel numero di cromosomi di partenza, il che ha per risultato una maggiore efficienza e velocità di duplicazione;
  2. i nuclei aploidi prodotti per meiosi contengono nuove combinazioni di cromosomi, cosa che non avviene per la mitosi. I cromosomi omologhi, derivanti dai genitori, sono ripartiti a caso fra i quattro nuovi nuclei aploidi: tuttavia, in seguito al crossing over8, questi cromosomi sono sempre diversi da quelli che hanno dato inizio alla meiosi.

Mendel e la genetica

A partire dalla metà del XIX secolo, diversi decenni prima dello sviluppo della microscopia che rese possibile la scoperta dei cromosomi e dei loro movimenti nelle varie fasi di mitosi e meiosi, gli scienziati cercavano di risolvere alcune questioni relative all'ereditarietà biologica, come: perché alcuni caratteri sembrano saltare una generazione, col risultato che un bambino può assomigliare più a un nonno che ai genitori? Perché alcuni caratteri si presentano con maggiore frequenza di altri? Domande di questo genere avevano importanti implicazioni pratiche, ad esempio nell'agricoltura e nell'allevamento del bestiame.

Gregor Johann Mendel (1822-1884).

Gregor Johann Mendel (1822-1884).

Colui che per primo riuscì a fornire una valida teoria in grado di rispondere a questo genere di interrogativi fu il monaco agostiniano Gregor Johann Mendel (1822-1884), il quale era solito allestire i suoi esperimenti all'interno del suo monastero a Brünn (oggi Brno, Repubblica Ceca). Il grande merito riconosciuto a questo personaggio è quello di aver applicato con disciplina il metodo scientifico galileiano di "osservazione-ipotesi-previsione" e di aver raccolto un'ingente quantità di dati per poi analizzarli per mezzo di strumenti prettamente matematici come il calcolo delle probabilità.

Mendel scelse per i suoi esperimenti sulla trasmissione ereditaria la pianta del pisello. Questa si rivelò una buona scelta per diversi motivi: le piante erano facilmente reperibili, facili da coltivare e con tempi di maturazione piuttosto brevi. Inoltre, per la particolare conformazione della pianta, queste tendevano sempre ad autoimpollinarsi a meno che un intervento umano non avesse forzato la pianta a fare diversamente. Egli poté così controllare con grande efficacia gli eventuali "incroci" tra piante diverse e prender nota dei risultati.

I dati raccolti suggerivano che, ogniqualvolta si effettuava un'ibridazione tra due piante che differivano per un particolare, nelle piante figlie alcune presentavano il carattere di un genitore, alcune invece presentavano il carattere dell'altro genitore in un rapporto che, all'aumentare del numero di esperimenti9, tendeva ad essere di 3:1.

Torniamo ora alla domanda di poco fa: come mai alcuni caratteri (Mendel li denominò recessivi, termine in uso ancora oggi) scompaiono del tutto per apparire nuovamente in seguito? Egli intuì che la comparsa e scomparsa dei caratteri antagonisti e le loro proporzioni costanti che aveva toccato con mano in quegli anni fossero determinate da fattori discreti. Questi fattori, riteneva Mendel, dovevano trovarsi nei genitori in coppie: un componente di ogni coppia era ereditato dal padre e l'altro dalla madre. L'ipotesi secondo cui ogni individuo possiede coppie di fattori per ogni carattere e i membri di una coppia si separano durante la formazione dei gameti è nota come legge della segregazione.

Ogni gene, dunque, è portatore di un determinato carattere e può esistere in forme diverse. Le possibili forme in cui un gene si può presentare sono denominate alleli10.

Il comportamento animale

Nelle pagine precedenti si sono gettate le basi per comprendere appieno il meccanismo di riproduzione e graduale evoluzione all'interno del regno animale. L'aspetto forse più importante fin qui esposto, e che vale la pena di riprendere ancora una volta, è che anche il comportamento animale è frutto del lento processo evolutivo causato dalla ricombinazione genetica tipico della meiosi. Questa affermazione è di notevole importanza teorica, e il lettore dovrebbe tenerla ben presente nel seguito della lettura: è infatti questa la chiave per comprendere il motivo di una tale estrema varietà e complessità di rituali di corteggiamento, dinamiche di gruppo, il cosiddetto "istinto materno", ecc. che possiamo osservare in natura. Tali rituali fanno parte del corredo genetico dell'individuo e contribuiscono, al pari delle fattezze fisiche e dell'intelligenza, a decidere della sopravvivenza o della sopraffazione del singolo.

Fatte le dovute premesse, entriamo ora nel vivo della trattazione.

Istinto e apprendimento

La moderna psicanalisi definisce l'istinto come "un impulso che spinge un essere vivente ad agire per la realizzazione di un particolare obiettivo, mediante schemi d'azione innati, comportamenti automatici che non sono frutto di apprendimento né di scelta personale". Possiamo considerare questa particolare definizione come adatta agli scopi che ci prefiggiamo in questo testo: in etologia, infatti, intendiamo per istinto una serie di schemi comportamentali innati, rigidi e prevedibili che prendono il nome di schemi di azione fissa. Tali schemi vengono attuati dall'individuo solo in presenza di un ben determinato stimolo segnale: quando questi stimoli consistono in segnali di comunicazione scambiati tra membri di una stessa specie, questi prendono il nome più specifico di releaser11.

Sono esempi di releaser, in molte specie di uccelli, il movimento del becco verso l'alto da parte dei nuovi nati, gesto che spinge la madre a nutrire la figliata. Altro esempio degno di nota è quello osservabile in alcune specie di oche domestiche ogniqualvolta, nel periodo di cova, un uovo scivola fuori dal nido. In questo caso, l'oca lo recupera secondo uno schema di movimenti molto preciso: per prima cosa allunga il collo verso l'uovo, che fa poi rotolare con la parte inferiore del becco. L'uovo è poi guidato al nido con una seria di movimenti laterali alternati del capo. Può accadere però che in questa fase l'uovo rotoli di lato, nel qual caso l'oca continuerà ugualmente a compiere i movimenti di recupero verso il nido. Una volta avviato uno schema di azione fissa, infatti, questo deve essere comunque portato a termine.

Come risulta ovvio da quest'ultimo esempio, però, un comportamento dettato unicamente da schemi di azione fissa risulterebbe particolarmente rigido e inefficiente, riducendo sensibilmente le probabilità di sopravvivenza e proliferazione. Assume dunque un'importanza centrale il processo di apprendimento, grazie al quale le risposte dell'organismo si modificano in seguito all'esperienza. Ne segue direttamente che il comportamento di un individuo risulterà tanto più "intelligente" (nel senso di guidato dall'esperienza piuttosto che da rigidi schemi prefissati) quanto più l'encefalo è ampio e complesso e la vita dell'individuo lunga.

L'apprendimento può avere luogo in diversi modi, tra cui uno dei più elementari è l'assuefazione. Questa consiste nell'ignorare uno stimolo persistente o inutile (ad es. un falso allarme). Un esempio di apprendimento per assuefazione può essere quello osservato negli scoiattoli: quando uno di essi avverte un pericolo, gli altri sentono il segnale di allarme e si riparano nelle loro tane. Se però l'allarme proviene da un esemplare che in precedenza ha dato ripetuti falsi allarmi, la sua segnalazione verrà totalmente ignorata.

Un altro tipo di apprendimento piuttosto comune è l'associazione, in cui uno stimolo finisce, sulla base dell'esperienza, per essere collegato a un altro, che può anche non aver nulla a che vedere col primo. Sono comportamenti di tipo associativo il gesto, da parte di un comune pesce da acquario, di avvicinarsi alla superficie dell'acqua quando ci avviciniamo alla vasca per nutrirlo, oppure l'eccitazione di un cane alla vista del guinzaglio, preludio di una passeggiata12.

All'apprendimento associativo è poi collegata la necessità di sviluppare capacità discriminanti, ossia la capacità di operare delle scelte. Riuscire a discriminare i membri della propria specie da quelli di tutte le altre è di importanza fondamentale per il successo riproduttivo. Tale discriminazione può basarsi su un certo numero di indicazioni: in molte specie, tra cui gli uccelli, ma non solo, questo apprendimento ha luogo in un periodo di tempo pericolosamente breve. Questo tipo di apprendimento viene chiamato imprinting, termine che dovrebbe già essere familiare al lettore.

Per finire, l'imitazione è spesso una componente importante dell'apprendimento. Un esempio ben documentato di apprendimento imitativo è quello dei macachi dell'isola giapponese di Koshima. Questi primati vivevano nella foresta all'interno dell'isola fino a 40 anni fa, quando un gruppo di ricercatori cominciò a gettare loro delle patate dolci sulla spiaggia. Presto le scimmie presero l'abitudine di avventurarsi sulla spiaggia, pulire le patate dalla sabbia e mangiarle. Un anno dopo si osservò un esemplare portare verso l'acqua una patata, immergerla con una mano e pulirla dalla sabbia con l'altra. Il suo comportamento venne presto imitato dagli esemplari che vivevano in suo stretto contatto. Quando le "scimmie pulitrici" figliarono, insegnarono ai loro discendenti la stessa pratica.

L'episodio non termina qui. In un secondo tempo, infatti, i ricercatori sparsero nella sabbia alcuni chicchi di grano. In modo simile a com'era accaduto per le patate, un "pioniere" prese una manciata di chicchi e la gettò in mare: i chicchi galleggiavano, mentre la sabbia si era depositata sul fondo; il suo comportamento fu presto imitato dal resto del gruppo. Ora quei macachi, che prima dell'esperimento non si erano mai visti sulla spiaggia, hanno perfino imparato a nuotare: alcuni si immergono per raccogliere le alghe e almeno uno di essi ha raggiunto a nuoto un'isola adiacente, forse con velleità di "missionario culturale".

L'arte della sopravvivenza

Si può sostenere che il "fine ultimo" del processo di selezione naturale sia quello di produrre un adattamento dell'individuo all'ambiente in cui vive. L'abilità di homo sapiens di compiere gesti che richiedano una grande precisione manuale, così come la fedeltà di un cane domestico, possono essere considerati esempi di adattamento. Alcuni animali mostrano numerosi adattamenti che consentono loro di procurarsi il cibo: è il caso del picchio, il quale presenta, tra le altre caratteristiche: due dita rivolte all'indietro per mantenersi aggrappato alla  corteccia degli alberi, robuste penne caudali atte a puntellarsi, un becco robusto e appuntito, forti muscoli del collo, spazi vuoti all'interno del cranio per proteggere il cervello durante il "martellamento" e una lingua molto lunga con la quale raggiungere gli insetti rintanati sotto la corteccia.

Non è tuttavia indispensabile che l'adattamento dell'individuo sia totale, né la selezione naturale spinge in questo senso. Per fare un esempio, è stato dimostrato che sintomi come il mal di schiena o il dolore al momento del parto in homo sapiens hanno la loro origine nel passaggio dall'andatura quadrupede tipica dei primati alla postura eretta13.

A volte gli adattamenti nell'ambito di una stessa specie seguono una precisa distribuzione geografica, con cambiamenti volti ad assecondare il clima del luogo: nelle regioni fredde, ci si può aspettare di trovare una variazione di una specie nella quale, al fine di preservare meglio il calore, sia maggiore il rapporto superficie/volume. Ognuno di questi gruppi distinti presenti in aree diverse prende il nome di ecotipo.

Più interessante nell'ambito della nostra trattazione è, più che l'adattamento all'ambiente fisico, quello all'ambiente ecologico: si parla in questi casi di coevoluzione.

La coevoluzione ha luogo quasi esclusivamente quando le popolazioni di due o più specie interagiscono tanto strettamente da costituire ognuno un fattore selettivo per l'altra: in questi casi, si possono verificare adattamenti simultanei di più specie. Vediamo un esempio.

Farfalla monarca (Danaus plexippus)

Farfalla monarca (Danaus plexippus)

Molte famiglie di piante hanno evoluto difese chimiche di vario tipo – tossicità, cattivo sapore, ecc – per scoraggiare gli insetti a utilizzarle come alimento. La linfa della asclepiadi contiene una sostanza tossica che agisce come deterrente. Nel corso dell'evoluzione, comunque, alcune specie di insetti, tra cui le farfalle monarca, hanno evoluto degli enzimi che rendono i bruchi capaci di nutrirsi delle asclepiadi senza restarne intossicati, accumulando il veleno al loro interno. Grazie a questa caratteristica, dopo la muta le farfalle monarca risulteranno di gusto sgradevole (e velenose) per i predatori, che eviteranno di cacciarle14.

Questo tipo di mimetismo è detto mimetismo mülleriano: api, vespe e calabroni sono i più tipici esempi di tale tipologia di mimetismo. Esiste però un altro tipo di mimetismo, più subdolo, che prende il nome di mimetismo batesiano: questo consiste nell'assumere una colorazione "di avvertimento" come per il mimetismo mülleriano, con la differenza che, in questo caso, l'animale non rappresenterebbe un vero pericolo per il predatore. In termini semplicistici, si può dire che l'animale che adotta il mimetismo batesiano faccia affidamento sul fatto che il predatore sappia della tossicità dell'animale con mimetismo mülleriano.

Esperimenti di laboratorio di natura etologica hanno confermato il valore selettivo del mimetismo batesiano. Sono state preparate diverse tipologie di larve di bruchi tenebrionidi, prede abituale dei tordi: la prima è stata immersa nel chinino, altri sono stati allevati normalmente. Tutti i bruchi che erano stati immersi nel chinino sono stati "dipinti" con una banda verde: i restanti sono stati dipinti in parte con una banda verde, in parte con una banda arancione15. I tenebrionidi verdi e velenosi sono stati dati come cibo ai tordi, i quali, dopo un primo assaggio, li hanno rifiutati. In un secondo momento gli si sono sottoposti quelli arancio e, a dispetto del colore "di avvertimento", sono stati mangiati comunque, avendo un gusto normale; tutti i bruchi verdi, anche quelli non velenosi, sono stati accuratamente evitati.

Oltre a quella del mimetismo mimetico (che qui non è stata presa in considerazione poiché già familiare al lettore: tipico del camaleonte, per intenderci), quella dell'avvertimento (mimetismo mülleriano) e quella della simulazione di pericolosità (mimetismo batesiano), possiamo passare in rassegna ancora una, per così dire, "strategia di sopravvivenza" particolarmente significativa: la simbiosi. La vita sociale, invece, poiché rappresenta di fatto la strategia di sopravvivenza più efficiente e complessa, merita senz'altro una trattazione a parte e pertanto verrà affrontata esaurientemente in seguito.

La simbiosi ("vivere insieme") è un'associazione stretta e permanente tra organismi di specie differenti. Le relazioni simbiotiche durature possono portare a profondi cambiamenti evolutivi negli organismi interessati: è il caso dei licheni, associazione tra un'alga e un fungo. In queste associazioni, l'organismo più piccolo prende il nome di ospite e quello più grande il nome di simbionte.

La simbiosi può assumere forme diverse a seconda delle relazioni che intercorrono tra gli organismi. Possiamo distinguere in:

  • mutualismo, quando entrambe le specie ricevono un vantaggio;
  • commensalismo, quando è indifferente per l'ospite e vantaggiosa per il commensale;
  • amensalismo, quando l'associazione è svantaggiosa per un membro e indifferente per l'altro;
  • parassitismo, quando il parassita ottiene un vantaggio danneggiando l'ospite.

Un esempio di commensalismo - fenomeno raramente osservabile in natura - è quello di alcune formiche australiane che sono riuscite ad addestrare alcune specie di afidi a produrre melata (una sostanza dolciastra di scarto) solo in risposta a determinati movimenti delle proprie antenne e zampe anteriori.

Il parassitismo può essere considerato una forma particolare di predazione in cui il predatore è considerevolmente più piccolo della preda. Come in tutte le forme di predazione, le malattie da parassiti tendono a eliminare gli individui più giovani, i più vecchi e i più deboli. Una malattia da parassita, comunque, non dovrebbe essere troppo virulenta: se un parassita uccidesse tutti gli ospiti ai quali è adattato, infatti, finirebbe per morire anch'esso.

Note:

1. L'omeostasi di un organismo è la condizione di stabilità chimica interna, che deve mantenersi anche al variare delle condizioni esterne attraverso meccanismi autoregolanti.

2. Il caso della Biston Betularia è spesso portato come esempio a supporto della nota teoria evoluzionistica darwiniana. Già nota ai biologi inglesi del XIX secolo, questa farfalla notturna è solita posarsi sui tronchi degli alberi da cui prende il nome per sfruttare l'effetto mimetico delle sue ali e sfuggire ai predatori. Ai tempi della rivoluzione industriale inglese, però, l'inquinamento dovuto a emissioni di CO2 da parte della nascente industria portarono alla formazione di consistenti macchie nero-grigiastre sui tronchi di betulla adiacenti. Come conseguenza, la colorazione bianca delle ali era diventato un carattere dannoso e le falene con tale carattere furono facile preda degli uccelli: sopravvissero e si riprodussero invece quelle falene la cui colorazione meglio si adattava alle nuove condizioni.

3. Tra coloro che sostenevano fermamente la teoria della creazione divina vi era il celebre naturalista svedese Carlo Linneo, autore del Systema Naturae, il primo tentativo di catalogazione enciclopedica delle specie viventi. Linneo è anche conosciuto per aver introdotto il nostro attuale sistema di nomenclatura biologica.

4. Nonostante la loro novità, le teorie di Lamarck non trovarono particolari opposizioni da parte delle comunità scientifica del tempo, sebbene sarebbe stato particolarmente semplice smentire tali supposizioni sulla base dell'esperienza quotidiana: se tali teorie fossero corrette, infatti, un genitore cui in seguito a un incidente sia stata eseguita una amputazione dovrebbe dare origine a una progenie condividente lo stesso handicap; ipotesi ampiamente smentita dall'esperienza.

5. Ne L'origine delle specie, Darwin suggerisce che queste si originino "quando le differenze tra individui nell'ambito di un gruppo sono gradualmente convertite, col passare delle generazioni, in differenze tra gruppi."

6. La cellula, come noto, è l'unità alla base della vita. Il nome cellula sta a significare "piccola cella", dall'impressione che ne ebbero i primi ricercatori osservando per la prima volta al microscopio alcune fibre di corteccia di sughero.

7. Le cellule sessuali degli animali (gameti) hanno tipicamente la metà del numero di cromosomi presenti nelle altre cellule somatiche, poiché la metà mancante è fornita dal partner. Il numero di cromosomi presenti nei gameti è detto numero aploide mentre quello contenuto in una cellula somatica è detto numero diploide.

8. Il crossing over è una fase fondamentale della meiosi, quella che permette di fatto la ricombinazione genetica di tipo casuale. In breve, durante questa fase i cromosomi, nei quali risiedono i geni, sono appaiati e si scambiano interi tratti di cromatidi, i quali sono così ricombinati. I geni risiedono fisicamente sui cromosomi, in posizioni prefissate, per cui non vi è il pericolo che con il crossing over una cellula venga a mancare di un gene: sono dunque soltanto gli alleli, ossia i possibili assetti di un gene, a venire ricombinati.

9. Mendel non fece altro che elaborare i dati raccolti secondo la cosiddetta legge dei grandi numeri, concludendo che la probabilità che un carattere recessivo si presenti è pari a 1/4. Le sue conclusioni erano tutt'altro che affrettate (nei lunghi anni di sperimentazione, Mendel effettuò diverse migliaia di incroci per un numero totale di piante che superava le quindici migliaia), e in effetti, come vedremo in seguito, i suoi calcoli risultarono esatti. Si noti che il fattore di casualità è l'effetto diretto del crossing over.

10. Ad esempio, i colori giallo e verde per i semi di pisello sono determinati da alleli differenti. Nei testi di biologia gli alleli portatori di caratteri dominanti sono rappresentati con una lettera maiuscola, quello portatori di caratteri recessivi con una lettera minuscola.

11. Gran parte della terminologia è ad opera degli zoologi europei Konrad Lorenz, Niko Tinbergen e Karl Von Frish, considerati i veri "pionieri" dell'etologia. Tinbergen ipotizzò inoltre l'esistenza di specifici circuiti dell'encefalo, denominati meccanismi innati di scarica, dedicati al riconoscimento e alla risposta agli stimoli segnale.

12. I primi studi scientifici di apprendimento associativo furono condotti negli Anni '20 dal fisiologo russo Ivan Pavlov. Nel suo più celebre esperimento Pavlov teneva legato un cane affamato e gli somministrava piccole porzioni di cibo a intervalli regolari. L'arrivo del cibo era preceduto dal suono di una campana, al cui suono il cane prese a rispondere, dopo alcuni giorni, aumentando la salivazione: infine, si provò a far suonare la campana senza però somministrare il cibo. Ripetendo l'esperimento su più esemplari, Pavlov scoprì che la quantità di saliva prodotta nell'ultima fase dell'esperimento era proporzionale al numero di prove precedenti in cui al segnale era seguita l'effettiva somministrazione del cibo.

13. Nel suo libro Il pollice del Panda, Stephen Jay Gould ha sottolineato che questa "assenza di perfezione" costituisce una prova particolarmente convincente della teoria evoluzionistica.

14. Possedere un sapore sgradevole, sebbene utile, non è una difesa ideale per un individuo dal momento che, perché la strategia abbia effetto, è necessario il sacrificio di un certo numero di singoli. Per le farfalle monarca ed altri animali che utilizzano la stessa strategia di riproduzione, dunque, è conveniente mettere in guardia i predatori con colori particolarmente appariscenti, in modo da essere facilmente riconoscibili. I colori di avvertimento sono adottati anche da insetti, rettili e anfibi velenosi.

15. La scelta dei colori non è casuale: il verde è il colore che si trova generalmente in specie che non sono repellenti e che traggono vantaggio dall'essere poco appariscenti, mentre l'arancio è un tipico colore di avvertimento.

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