Il D-Day, lo sbarco in Normandia degli Alleati nella Seconda Guerra Mondiale - Parte seconda: la preparazione alleata

di Gianluca Turconi

Al di là della Manica

Il comando supremo angloamericano era oltremodo roso dai dubbi. La debolezza del nemico era se non conosciuta almeno intuita, ma la paura di un fallimento paralizzava coloro che dovevano dare l'ordine ufficiale d'invasione. Una sconfitta avrebbe significato il rinvio sine die di qualunque progetto di intervento in aiuto dell'Unione Sovietica e la pretesa di Roosevelt di ottenere una resa incondizionata dalla Germania probabilmente avrebbe dovuto cedere il passo a una trattativa di pace più accondiscendete.

Truppe britanniche durante un'esercitazione allo sbarco su spiagge inglesi - Immagine in pubblico dominio, fonte Wikipedia

Truppe britanniche durante un'esercitazione allo sbarco su spiagge inglesi - Immagine in pubblico dominio, fonte Wikipedia.

Le domande principali degli Alleati erano esattamente le stesse che si erano poste i tedeschi: dove e quando effettuare l'attacco. Nel 1943 era stato creato il COSSAC (Chief of Staff Supreme Allied Commander) che aveva preso il proprio nome dall'incarico rivestito dal suo comandante, il generale inglese Frederick E. Morgan. Questo organismo aveva il compito di organizzare l'invasione e come unica direttiva gli era stato dato l'ordine che fosse preparata "al più presto". I difetti del COSSAC erano essenzialmente due. Anzitutto, il compito che doveva espletare era tanto grandioso quanto poche erano le risorse concesse per compierlo. Il piano iniziale prevedeva un attacco localizzato con l'impiego di sole 3 divisioni per la conquista di un grande porto della Francia del nord, attraverso il quale far confluire sul territorio le immense risorse disponibile negli Stati Uniti. Secondariamente, Morgan doveva sottostare al CCS (comitato congiunto di stato maggiore) a cui doveva sottoporre qualunque iniziativa volesse intraprendere, col rischio di vedersi porre anche dei veti ingiustificati.

Questa situazione si protrasse per diversi mesi fino a quando, nel Gennaio 1944, non fu deciso di creare lo SHAEF (Supreme Headquarters Allied Expeditionary Forces, Comando Supremo delle Forze di Spedizione Alleate), il cui comando fu affidato al generale Dwight Eisenhower, mentre Morgan fu retrocesso al ruolo di deputy commander (vice comandante). Si era perso quasi un anno solo per stabilire quale fosse la struttura che doveva comandare l'invasione e quali fossero i suoi poteri. Il Dove e il Quando non erano ancora stati stabiliti.

Eisenhower provvide quasi immediatamente a dare un termine all'impresa: 1 Giugno 1944. La data era un prolungamento del termine originario che era stato il 1 Maggio. Il generale americano pretendeva un mese aggiuntivo per essere sicuro di avere una maggiore disponibilità di forze per procedere. Infatti, i primi mesi del 1944 avevano visto diminuire fortemente la minaccia degli U-bootes tedeschi sui convogli che attraversavano l'Atlantico. Addirittura le navi Queen Elizabeth e Queen Mary potevano trasportare una divisione a viaggio ed effettuare due traversate atlantiche al mese.

Tutti i comandati alleati, in particolare l'inglese Montgomery, avevano giudicato insufficienti le 3 divisioni originarie per l'attacco principale e pertanto il numero era salito a cinque più tre divisioni aviotrasportate. Per fare ciò fu cancellata la contemporaneità dell'operazione Anvil, cioè l'invasione del Sud della Francia, in Provenza. Il numero degli uomini necessari all'attacco era direttamente proporzionale alle difficoltà fornite dal luogo prescelto: la costa Orientale del Cotentin e le spiagge del Calvados in Normandia. Due altre ipotesi erano state vagliate e poi scartate: il Pas de Calais e la Bretagna nella zona di Brest. Quest'ultima perché troppo lontana dalle basi aeree inglesi che avrebbero dovuto garantire l'appoggio tattico durante l'invasione, la prima a causa delle immense fortificazione che vi erano state costruite. Essendo la strada di Calais la più breve nella corsa verso la Ruhr, l'OKH l'aveva ritenuta la più logica zona d'attacco. Persino Hitler si era espresso in questo senso, cercando anche di forzare la mano agli Alleati, posizionando proprio in quell'area le basi di attacco delle bombe teleguidate V-1 e dei razzi V-2. Invece, la zona del Calvados era stata espressamente esclusa dall'Abwehr (i servizi segreti tedeschi) perché considerata troppo impervia.

La scelta dello SHAEF non era stata semplice. Caen, con il suo piccolo porto, fu designato come punto nevralgico di tutta l'operazione. Cherbourg nel nord del Cotentin era sicuramente una preda più ambita grazie alle sue eccezionali strutture portuali, ma aveva il fondamentale svantaggio di essere potentemente fortificata e pertanto un'azione anfibia sul posto fu scartata a priori. La Normandia presentava due vantaggi non trascurabili: era protetta dalle tempeste atlantiche dalla penisola del Cotentin (vedremo in seguito per quale motivo la traversata della Manica doveva essere la più tranquilla possibile) e si trovava esattamente sul punto di congiungimento delle divisioni tedesche poste in difesa. L'ordine d'attacco sarebbe stato il seguente:

  1. a La Dune de Valleville e La Madelaine sulla costa est del Cotentin (area denominata Utah) la 4a divisione di fanteria americana appoggiata dalla 82a e 101a Divisione Aviotrasportata Americana che atterrando nella zona di S.te Mère Eglise e S.te Mère du Mont avrebbe tagliato in due la strada costiera che collegava Cherbourg con Carentan, impedendo che le forze tedesche provenienti dal grande porto potessero minacciare lo sbarco;
  2. tra punta Hoc e Port en Bessin nel Calvados occidentale (area denominata Omaha) la 1a divisione di fanteria americana;
  3. tra Arromanches e il fiume Seulles (area denominata Gold) la 50a divisione inglese;
  4. avanti a Courseilles sur Mer (area denominata Juno) la 3a divisione di fanteria canadese;
  5. tra Lion sur Mer e il Fiume Orne (area denominata Sword) la 3a divisione di fanteria inglese che sarebbe stata appoggiata dalla 6a divisione aviotrasportata inglese che aveva il compito di attaccare al di là del fiume Orne, difendendo a tutti i costi il ponte denominato Pegasus, via di passaggio obbligata se si voleva attraversare l'Orne.

Il fatto di essere finalmente giunti alla determinazione di una data e di un luogo preciso per l'invasione e di avere predisposto l'ordine di battaglia non significava che si sapesse come effettuare in concreto l'invasione. Le operazioni anfibie precedenti (l'attacco nel Nord Africa, lo sbarco in Sicilia, a Salerno e Anzio) non erano neppure paragonabili a ciò che si voleva fare in Normandia. In Africa, i Francesi di Vichy avevano opposto una resistenza simbolica, mentre in Sicilia i soldati di Mussolini erano troppo demoralizzati per costituire un vero pericolo. A Salerno e Anzio, la Wehrmacht, più esperta dopo gli attacchi precedenti, aveva seriamente minacciato di far fallire gli sbarchi. Lo SHAEF, così, pose come condizione irrinunciabile per il successo che l'attacco possedesse il massimo fattore sorpresa possibile. Per raggiungere tale risultato si seguirono due strade, una tattica e una strategica. A livello tattico si optò, a malincuore, per un bombardamento estremamente limitato che avrebbe comportato un maggiore numero di vittime nelle divisioni che avrebbero condotto il primo attacco, ma avrebbe altresì garantito che i tedeschi non si accorgessero dell'operazione fin quando le truppe non fossero giunte in prossimità della terra.

Questa decisione fu particolarmente difficile per i comandanti inglesi. Mentre le divisioni americane erano quasi totalmente inesperte del combattimento e perciò maggiormente incuranti del pericolo a cui andavano incontro, le divisioni britanniche, pur non essendo state sottoposte a combattimento se non per i veterani provenienti dall'Africa, avevano sotto gli occhi la distruzione e la morte a cui la Gran Bretagna era costretta da quattro anni, a causa dei bombardamenti terroristici della Luftwaffe. Si era persino ipotizzata la possibilità di attaccare con truppe di una sola nazionalità per evitare che l'eventuale panico si potesse propagare più velocemente, aumentato dall'acredine, spesso scherzosa ma a volte grave, esistente tra inglesi e americani. Alla fine, il rischio che le gravi perdite possibili potesse azzerare l'impeto degli assalitori fu comunque giudicato inferiore a quello di un'invasione annunciata.

Prepazione inglese all'invasione della Normandia svolto con fuoco d'artiglieria vero - Immagine in pubblico dominio, fonte Wikipedia

Prepazione inglese all'invasione della Normandia svolto con fuoco d'artiglieria vero - Immagine in pubblico dominio, fonte Wikipedia

A livello strategico il segreto del D-Day (dove la D sta ancora per Day, in pratica si indica il "giorno" dell'azione) fu mantenuto organizzando la più grande operazione di controspionaggio che la storia bellica avesse mai visto. Denominata convenzionalmente "Fortitude", essa traeva vantaggio dai grandi successi ottenuti negli anni precedenti dall'Intelligence Service Britannico. Il sistema di codici tedesco generato dalla macchina di crittografia Enigma era stato decifrato senza che l'Abwehr se ne rendesse conto. Gli alleati potevano così conoscere con notevole grado di certezza quali fossero i movimenti delle truppe tedesche e, nello stesso tempo, fornire informazioni errate che la controparte non era capace di riconoscere come tali proprio perché erano confezionate in modo tale da conformarsi perfettamente con le comunicazioni create con Enigma. Anche la rete di spie tedesche in Inghilterra era stata ampiamente scoperta e si era provveduto a coinvolgere quegli agenti nemici in un intricato gioco di tradimenti e inganni che doveva servire per la causa delle Democrazie Occidentali.

Fortitude era organizzata essenzialmente in due sezioni. La prima prevedeva che si fornissero dettagli più o meno interessanti sulla possibilità che l'invasione avesse luogo in Norvegia. Per inculcare nel nemico tale convinzione, si organizzò una fitta rete di anziani ufficiali inglesi che per tutto l'aprile e maggio 1944 dalla Scozia produssero un'enorme serie di comunicazioni radio tra divisioni e corpi d'armata esistenti soltanto nella fantasia dell'Intelligence inglese. Questa prima parte dell'inganno fu tanto efficace che alla data del D-Day, ben 9 divisioni tedesche erano in Norvegia invece di trovarsi sul suolo francese. La seconda parte del piano fu più difficile. Con il nome in codice Fortitude South, si doveva fare credere alla Wehrmacht che l'attacco avrebbe investito la regione del Pas de Calais. Non si potevano seguire gli stessi metodi utilizzati in Scozia per via della maggiore sorveglianza dell'Abwehr nella regione costiera inglese. Almeno parte delle truppe dovevano essere reali e perciò la 1a Armata Canadese, con basi in Inghilterra, fu il fulcro di quella messa in scena. A essa vennero aggiunte altre 2 armate (la 3a americana, realmente esistente, ma dislocata negli Stati Uniti, e la 4a Britannica che non possedeva un solo uomo). Alla fanteria fu aggregato un numero incalcolabile di forze corazzate che erano costituite in massima parte da veicoli in plastica o gomma, costruiti appositamente per ingannare la sorveglianza aerea! Il vero colpo di genio fu però quello di affidare il comando della presunta invasione al generale americano George Patton. Nella Wehrmacht, Patton era considerato il miglior uomo degli Alleati e la sua nomina fu considerata una mossa logica in vista dell'attacco.

L'irruente carattere di Patton, che si sentì escluso dall'azione, mise in pericolo più volte la segretezza del piano, ma contribuì anche ad alimentare la leggenda della sua successiva cavalcata in Francia, forse conseguenza di quei mesi di "purgatorio" a cui era stato costretto. Per confondere in maniera definitiva le idee dei tedeschi, gli Alleati accentuarono enormemente i raid aerei sulla Francia Meridionale. Nelle notti del 26 e 27 Maggio il centro-sud della repubblica di Vichy fu quasi raso al suolo da centinaia di bombardamenti. Il triste risultato furono più di tremila vittime tra gli abitanti delle città di Nizza, Saint-Etienne, Chambèry, Amiens, Marsiglia, Avignone e Nimes, ma anche un rafforzamento di Fortitude South che ci dimostra come gli Alleati arrivassero a sacrificare qualunque cosa pur di garantire la riuscita dell'operazione Overlord.

Tutto si poteva ormai considerare pronto. Gli uomini per l'invasione erano stati addestrati, il segreto era stato mantenuto e ai primi di Aprile 1944, l'invasione era pronta. Anzi, correttamente sarebbe più preciso dire che sarebbe stata pronta se lo SHAEF avesse avuto a disposizione imbarcazioni a sufficienza per trasportare tutte le divisioni della prima ondata. Non si sta parlando di "navi" nel senso comune della parola, perché la Royal Navy e la U.S. Navy unite potevano compiere giganteschi spostamenti di truppe anche attraverso l'Atlantico, come abbiamo già ricordato, e neppure di battelli da trasporto di grande dimensione, poiché già esistevano ed erano stati utilizzati negli sbarchi passati gli LST (navi da sbarco con il fondo piatto che servivano per attraversare il mare su lunghe distanze. Difficili da controllare e molto lente erano state una delle ragioni per cui fu scelta la Normandia, protetta dalle forti correnti atlantiche dalla penisola del Cotentin.) e gli LCT (imbarcazioni di dimensioni minori rispetto agli LST, 33 m contro 60 m, che compivano l'ultima parte del tragitto verso le spiagge da assalire). Il problema maggiore consisteva proprio nel fornire un mezzo di trasporto adeguato al compito che si voleva affidare alle divisioni assalitrici, cioè attaccare un nemico schierato sulle spiagge. Negli sbarchi in Africa e Italia, gli uomini erano stati costretti a saltare dai bordi degli LCT, ma ciò non aveva costituito un problema, perché i difensori non avevano un apparato difensivo degno di tale nome.

In Normandia, invece, era necessaria una soluzione differente. I soldati dovevano giungere sulla spiaggia di corsa, guadagnare un riparo al più presto possibile e dovevano essere appoggiati da mezzi corazzati già nei primi minuti dell'invasione che altrimenti si sarebbe trasformata in un disastro. Il primo problema ottenne una soluzione americana grazie alle cosiddette "Higgins Boat" che dovevano il loro nome a un geniale costruttore statunitense. Di piccole dimensioni (solo 11 m) seguivano in linea di massima il disegno degli LCT, ma avevano un grande portello anteriore che al momento dello sbarco si apriva in avanti trasformandosi in una rampa da cui gli uomini potevano scendere a grande velocità. Sarebbero diventati i mezzi protagonisti dello sbarco. Il secondo problema fu invece risolto in Gran Bretagna, con l'invenzione dei DD tanks. Essi erano carri armati a doppia propulsione (Double Drive) che erano resi impermeabili grazie a un rivestimento in tela. In questo modo potevano percorrere galleggiando diverse centinaia di metri e appena raggiunta la spiaggia ricominciare a marciare nel modo tradizionale. Fu proprio per ottenere un numero sufficiente di questi due veicoli che si posticipò la data definitiva per l'inizio delle operazioni di sbarco dal 1 Maggio al 1 Giugno.

Esisteva tuttavia un ulteriore pericolo per la buona riuscita dell'operazione Overlord. Esso consisteva nella possibilità che le divisioni impiegate inizialmente non riuscissero a conquistare un grande porto in un tempo ragionevole. Si sarebbe così concesso tempo sufficiente al nemico per riorganizzarsi e contrattaccare. Gli ingegneri inglesi seppero allontanare anche tale minaccia con la preparazione di porti artificiali galleggianti denominati Mulberry. Il sistema era essenzialmente semplice. Le banchine galleggianti, chiamate Whales, balene, erano trainate fino al luogo dove si voleva collocare la struttura portuale e poi ancorate al fondo marino con quattro piloni, i quali potevano muoversi in su e in giù a seconda dell'altezza della marea. Il collegamento con la terra era garantito da passerelle mobili e la protezione dal mare aperto si otteneva affondando delle vecchie navi ( Gooseberries ) e dei frangiflutti artificiali ( Phoenix ) per formare un'insenatura di protezione. Sebbene nella realtà questi piccoli capolavori di ingegneria navale funzionarono solo per due settimane, poiché sia il Mulberry americano sia quello inglese furono gravemente danneggiati da una tempesta atlantica, essi garantirono il continuo afflusso di mezzi e uomini anche in quel breve periodo che fu uno dei più difficili di tutta la campagna. Per ciò che concerne l'approvvigionamento di carburante, fu ideato un ingegnoso sistema denominato Pluto (Pipe-Line-Under-The-Ocean, condotta sotto oceanica) che servì le truppe alleate fino alla conquista di strutture portuali più efficienti dei Mulberry che potevano ospitare solo navi fino a 10.000 t.

Fonti e letture consigliate:

"D-Day, June 6, 1944: The climactic battle of World War II" di Stephen E. Ambrose, Ambrose-Tubbs, Inc;
"La Seconda Guerra Mondiale" di Raymond Cartier;
"La seconda guerra mondiale" a cura di Cesare Salmaggi e Alfredo Pallavisini, Arnoldo Mondadori Editore.

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