"1984" di George Orwell e la politica della distopia

a cura di Roger Luckhurst

traduzione italiana a cura di Gianluca Turconi

1984, il contesto storico

L’ultimo romanzo di George Orwell fu pubblicato l’8 giugno 1949 dall’editore socialista Victor Gollancz e fu subito un best-seller internazionale, vendendo 50.000 copie nel primo anno in Gran Bretagna, nonostante i razionamenti del dopoguerra, e centinaia di migliaia negli Stati Uniti, dove fu una selezione del Book-of-the-Month Club e uno speciale del Reader’s Digest. Il libro arrivò alla nascita della guerra fredda tra il blocco sovietico e quello americano, poco dopo che Winston Churchill aveva fissato nel linguaggio l’espressione “cortina di ferro” e mentre la “paura rossa” attanagliava la società americana. Il romanzo di Orwell è rimasto uno dei prodotti culturali più significativi e contestati di quell’epoca di lotta ideologica tra capitalismo e comunismo e la sua influenza è sopravvissuta a lungo oltre l’anno 1984. Traduzioni e numerosi adattamenti radiofonici, cinematografici e televisivi nei decenni del dopoguerra testimoniano il suo continuo significato. Il romanzo è riuscito a incorporare nozioni astratte chiave sul “totalitarismo” – un termine politico emerso alla fine degli anni ‘30 – in immagini concrete, viscerali e facili da afferrare: la Polizia del Pensiero; i crimini di pensiero e il “doppio pensiero”; la sorveglianza permanente del “teleschermo” e l’idea che “il Grande Fratello ti sta guardando”; per finire con i terrori della Stanza 101 come visione della dissoluzione dell’io.

Alcuni dei capisaldi di 1984 di George Orwell

Alcuni dei capisaldi di 1984 di George Orwell.

La politica della distopia

Il romanzo di Orwell è una distopia, un’estensione e un’inversione della lunga tradizione dell’utopia, l’eu-topos immaginario o “luogo buono”. Le distopie, come “La macchina si ferma” di E. M. Forster (1909) o “Noi” di Yevgeny Zamyatin (scritto nel 1921, ma pubblicato per la prima volta in inglese nel 1924), prevedono tipicamente le forze implacabili di una società tecnologica che estende il suo potere sulla razza umana, offrendo l’incubo dell’individuo schiacciato da forze statali disumane. Per il critico Tom Moylan, la distopia critica non si limita a delineare una visione negativa: utilizza il ritratto di un futuro da incubo per lanciare una critica politica del presente. Moylan suggerisce che questa forma offre “l’esplorazione degli spazi e delle possibilità di opposizione da cui il prossimo ciclo di attivismo politico può trarre nutrimento e ispirazione immaginativa”, ovvero, dalle macerie la possibilità di un futuro alternativo [nota 1].

Una delle domande cruciali su 1984 è se Orwell sia interessato al potenziale di opposizione allo Stato totalitario o se il suo ultimo libro offra solo disperazione. Orwell visse abbastanza a lungo – morì nel gennaio del 1950 – per vedere il suo libro appropriato dalle forze politiche di destra per la difesa della libertà americana, contro la quale protestò invano. Questo fu l’inizio di una lunga disputa sull’interpretazione del libro che non accenna a finire. Si tratta di uno sfogo anticomunista di un compagno che ha tradito la causa? Oppure è principalmente antifascista, un’agghiacciante realizzazione delle fantasie totalitarie dello Stato fascista tedesco o italiano? Ma forse il libro era anche anticapitalista, dal momento che una delle maggiori influenze su Orwell fu la critica di James Burnham all’ascesa di una classe “manageriale” sia in Oriente sia in Occidente, in Russia e in America, che avrebbe visto in futuro i tecnocrati sopraffare le istituzioni democratiche? [nota 2] È forse un lamento umanista così disperato da finire per costruire un monumento all’antiumanesimo? 1984 è uno specchio: è impossibile per il lettore non trovare la propria politica riflessa, sfidata o distorta nella sua prosa semplice e ferocemente levigata. È forse per questo che tanti grandi critici letterari e politici hanno finito per confrontarsi con il romanzo in un modo o nell’altro.

Una vita conflittuale

Parte di questa difficoltà deriva dallo straordinario percorso politico che George Orwell compì nella sua relativamente breve vita. Nacque Eric Blair nel 1903 in India da un ufficiale coloniale coinvolto in uno dei più torbidi traffici dell’Impero britannico: l’esportazione di oppio in Cina. Venne educato nelle scuole pubbliche inglesi, fino ad arrivare a Eton, il bastione dell’establishment. Disinteressato all’università, entrò nella polizia coloniale e trascorse cinque anni in Birmania (l’attuale Myanmar), prima di dimettersi nel 1927. A questo punto, si definì un “anarchico conservatore”. Iniziò quindi il lungo e tormentato processo di trasformazione di Eric Blair nello scrittore George Orwell. Lottò per scrivere romanzi in stile realista, proprio mentre il modernismo sperimentale era al suo apice. Rifiutò tutti gli orpelli della sua classe, attraversando l’Europa, esplorando i mondi dei poveri delle città e pubblicando il reportage Down and Out in Paris and London (1933), esperienze che furono tutte modellate dal catastrofico crollo economico del 1929.

In seguito a questo resoconto giornalistico, Victor Gollancz gli commissionò un’esplorazione della povertà nell’Inghilterra settentrionale, che si concretizzò in The Road to Wigan Pier (1936). Gollancz obiettò sia al disgusto viscerale di Orwell nei confronti delle classi lavoratrici sia alla messa in ridicolo dei benintenzionati socialisti della classe media che cercavano seriamente di promuovere la coscienza rivoluzionaria, denunciando “tutti i bevitori di succo di frutta, i nudisti, i portatori di sandali, i maniaci del sesso, i quaccheri, i ciarlatani della cura della natura, i pacifisti e le femministe d’Inghilterra” [nota 3]. Parte di questo disprezzo per i “proletari” rimane evidente in 1984. Tuttavia, nel 1936, Orwell era abbastanza impegnato nel socialismo da unirsi agli idealisti che si offrivano volontari per combattere i fascisti nella guerra civile spagnola. In quella che fu un’esperienza formativa e cruciale, Orwell non si unì alla Brigata Internazionale comunista, ma combatté con il POUM, il Partito Operaio di Unificazione Marxista, che seguiva il pensiero del rivoluzionario russo Leon Trotsky. Orwell fu testimone delle violente scissioni della sinistra marxista: la volontà dei comunisti di anteporre la frantumazione dei loro rivali trotskisti a un fronte unificato per sconfiggere i fascisti. Ferito gravemente, Orwell lasciò la Spagna profondamente disilluso.

Mentre la situazione in Europa si oscurava, Orwell abbracciò brevemente il pacifismo nel 1937, ma poi si assicurò davvero la reputazione di giornalista e intellettuale di spicco sostenendo un marchio di socialismo inglese nostrano, che celebrava le tradizioni autoctone delle tazze di tè, delle sigarette arrotolate, di Dickens, della tranquilla decenza e del cricket. Dopo l’inizio della Seconda Guerra Mondiale, Orwell pubblicò una grande quantità di articoli giornalistici, tra cui alcuni nel periodo alla BBC che era coinvolta nella produzione di propaganda (il Ministero dell’Informazione in 1984 si basa in parte sul periodo trascorso lì da Orwell). La sua allegoria politica La fattoria degli animali (1944) gli assicurò la fama, anche se alcuni temevano che la sua rappresentazione degli ideali della Rivoluzione russa superati dalla dittatura stalinista potesse alienargli un alleato temporaneo alla fine della guerra. Per alcuni una parabola anticomunista, Orwell scrisse comunque nel 1946 nel suo famoso saggio “Perché scrivo” che “ogni riga di lavoro serio che ho scritto dal 1936 è stata scritta... contro il totalitarismo e per il socialismo democratico” [nota 4]. Quando consegnò 1984 ai suoi editori, la relazione sul manoscritto di Fredric Warburg lo riconobbe come un classico immediato (“tra i libri più terrificanti che abbia mai letto”), ma temeva che la sua parte finale, il totale smantellamento del protagonista Winston Smith, fosse uno studio di “pessimismo non alleviato”. [nota 5]. La posizione politica di Orwell nell’ultimo anno della sua vita è stata ulteriormente offuscata dalle rivelazioni degli anni ‘90, secondo le quali egli avrebbe volontariamente consegnato un elenco di 38 scrittori e intellettuali al Dipartimento di Ricerca sulle Informazioni del governo, identificando potenziali simpatizzanti comunisti o compagni di viaggio, proprio nel momento in cui la caccia alle streghe in Occidente stava sopprimendo i dissidenti interni.

Un testo conflittuale

1984, il prodotto del 1948, porta con sé tutto il pessimismo associato alle forze geopolitiche della nuova situazione postbellica: l’Inghilterra ridotta a “pista d’atterraggio uno”, schiacciata tra potenze più grandi, una nazione in bancarotta a causa della guerra, in debito con le banche americane e costretta a smantellare il proprio Impero. È interessante notare che la visione esagerata del presente di Orwell non reca alcuna traccia della trasformazione del Partito Laburista del dopoguerra, allora al potere apertamente come socialisti democratici coinvolti nel processo di costruzione dell’armatura dello Stato sociale.

Tuttavia, nonostante la sua reputazione di distopia poco dialettica, piena di disperazione non alleviata, 1984 sembra sempre molto interessato alle risorse della resistenza umana. Nella prima parte, Orwell invoca il potere della memoria privata per resistere alla riscrittura della storia da parte dello Stato ed esplora la riserva dell’inconscio (Winston sogna sempre, sogni tessuti dalla memoria personale). Esplora il potenziale di resistenza del desiderio e della sessualità, descritti come “la forza che avrebbe fatto a pezzi il Partito”, e dell’arte senza scopo, rappresentata dall’inutile bellezza del fermacarte a cui tiene, che incarna “un pezzetto di storia che avevano dimenticato di modificare”. Tutti questi aspetti vengono sistematicamente smantellati dalla riprogrammazione del Partito nei capitoli conclusivi del libro. Tuttavia, anche se 1984 sembra non avere alcun interesse per il proletariato come agente della storia nella resistenza al totalitarismo, l’esplorazione del libro del potere della memoria, dell’arte, della sessualità e dell’inconscio indica la strada per nuovi tipi di critica culturale di sinistra che sarebbero emersi venti o trenta anni dopo. 1984 può essere classificato come un blando resoconto dell’umanesimo trionfante che supera i mali della politica “totale”, sia di destra sia di sinistra, ma questo non sembra essere l’intento di Orwell. Prodotto di un’epoca tormentata, i suoi impegni complessi richiedono un’attenta analisi.

Gli archivi Orwell a Londra

Coloro che desiderano collocare 1984 nel suo contesto più completo hanno a disposizione un’enorme riserva potenziale di materiali concentrati a Londra, in modo appropriato data l’impressionante evocazione del terreno bombardato della capitale nel dopoguerra. L’University College di Londra ospita l’Archivio Orwell, istituito nel 1960 dalla vedova Sonia Orwell, il quale comprende bozze, corrispondenza, registrazioni e altro materiale personale. È a partire da questo materiale che l’editore Peter Davison ha costruito la monumentale edizione in 20 volumi della narrativa, delle lettere, dei saggi e del giornalismo di Orwell, completata nel 1998. Altro materiale è disponibile presso la British Library, compresa la corrispondenza e i documenti relativi al George Orwell Memorial Trust.

Note

[1] Tom Moylan, Scraps of the Untainted Sky: Science Fiction, Utopia, Dystopia (Boulder: Westview, 2000), p. xv.

[2] Vedi il saggio di Orwell, ‘James Burnham and the Managerial Revolution’, in Collected Essays, Journalism and Letters of George Orwell: Vol. IV, 1945–50, a cura di Sonia Orwell e Ian Angus (Londra: Secker and Warburg, 1968), pp. 160–81.

[3] George Orwell, The Road to Wigan Pier in The Complete Works of George Orwell: Vol. 5, a cura di Peter Davison (Londra: Secker and Warburg 1997), p. 161.

[4] George Orwell, Why I Write (Londra: Penguin Great Ideas, 2014), p. 6.

[5] Fredric Warburg, ‘Publisher’s Report’, in Orwell: The Critical Heritage, a cura di J. Meyers (Londra: RKP, 1975), p. 247.

Notizie sull'autore

Roger Luckhurst è professore di Letteratura moderna al Birkbeck College dell'Università di Londra. È specializzato in letteratura tardo-vittoriana, letteratura e film gotici e di fantascienza e storia del soprannaturale. È autore di Science Fiction (2005), The Mummy's Curse (2012) e curatore delle edizioni Oxford World's Classics di Jekyll e Hyde, Dracula e H. P. Lovecraft. Il suo libro sul film Alien è stato pubblicato nel 2014 dal BFI e uno intitolato Zombies è uscito con Reaktion Press nel 2015.

Licenza del testo e altre informazioni di copyright

Il testo è rilasciato sotto licenza Creative Commons Attribution 4.0 International, © Roger Luckhurst. Traduzione italiana © 2023, Gianluca Turconi.

Torna a inizio pagina


RSS - FAQ - Privacy

Copyright © 2006-2024 Gianluca Turconi - Tutti i diritti riservati.