Armilla Meccanica 1: Nel Cielo

romanzo di fantascienza

Armilla Meccanica 1: Nel Cielo, romanzo di fantascienza di Fabio Carta

Titolo: Armilla Meccanica 1: Nel Cielo
Autore: Fabio Carta
Casa editrice: Inspired Digital Publishing
Genere: Fantascienza
Costo: 2.99 Euro (versione eBook)
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Trama

"I Meka incarnavano un'idea, quasi un'ideologia in verità, quella del gigantismo meccanico dell'umanità alla conquista delle stelle. Troppo grande l'universo per affrontarlo con le sole piccole membra fornite all'uomo dalla natura".

Su una remota miniera extrasolare Geuse, un vecchio mek-operaio, giorno dopo giorno vede i frutti del suo duro lavoro sfumare a causa di una crisi economica senza precedenti che coinvolge tutte le colonie della Via Lattea. Come molti altri medita di prendere ciò che gli spetta e di cambiare vita. Ma non è così facile.

Ad anni luce da lì la Metrobubble, la capitale finanziaria della galassia, è stravolta dallo slittamento temporale tra sistemi planetari, dai disordini e dalle rivoluzioni. Ora a regnare è un feroce dittatore che si fa chiamare Meklord. I nativi del pianeta, i queer, gli fanno guerra per quanto possono, mentre attendono l'aiuto della Terra o di chiunque avrà il coraggio di sfidare per loro le maree del tempo e le armate meccaniche del tiranno.

Un liberatore, un pirata, un avventuriero... o anche solo un semplice operaio.

Estratto

«Minatori, coloni! Compagne e compagni!» esordì il sintetizzatore vocale.

Svolazzando a zero-g, Koenig, il presidente del Comitato Cooperativo, si allontanò dall'altoparlante sulla parete della mensa, lasciandovi collegato il proprio guanto con lo smartwear acceso.

«La situazione è critica, lo sappiamo tutti».

La voce registrata fece una pausa a effetto: un trucchetto da oratore navigato che strideva però col tono monocorde della lettura.

«I padroni sono inadempienti, i loro consorzi capitalistici vacillano e le nostre società cooperative falliscono. E noi? Noi operai tremiamo, tuttavia continuiamo a lavorare. Leali, coraggiosi coloni. Continuiamo a spaccare pietre su questo pianeta alieno, a vedere il tempo sfuggirci via al di là del pozzo ipergravitazionale dove ci hanno lasciato con l'inganno, a sognare i volti dei nostri cari che a casa invecchiano sempre di più, nei ricordi come nelle foto, ogni volta che riceviamo la posta. Casa Veniamo tutti da Spire diverse, è vero, ma non siamo forse partiti tutti armati della stessa speranza? Ognuno di noi non è forse partito dalla Metrobubble carico di promesse? In fondo vediamo tutti da lì, dal nefasto crocevia di questa nuova emigrazione economica, ennesima transumanza interstellare di disperati e di sfruttati. Un lavoro, il benessere, che altro chiedevamo? Disposti a buttarci nelle braccia di Sagitt-A pur di lavorare, per non sfigurare al confronto inclemente con i nostri padri, che hanno costruito le nostre case nello spazio con le loro sole mani, quando il lavoro era una cosa avvilente, da robot. Potevamo essere da meno, noi? No! Non lo capite?».

Altra pausa ad effetto, un brevissimo intervallo in cui qualcuno, da qualche parte nella sala borbottò qualcosa. Qualcun altro tossì.

«I padroni hanno sfruttano e continuano a sfruttare tutto questo, la speranza di un lavoro e la nostra lealtà agli affetti, quelli del passato e quelli del presente. Sfruttano le responsabilità che ci legano a coloro che ci siamo lasciati dietro, ma sanno ben approfittarsi anche della nostra ingenua voglia di stabilità, della nostra mancanza di avidità. Avidità: loro ne hanno, eccome, in abbondanza! Una fame di profitti vorace, insaziabile perché meccanica, sistemica. Una fame resa forse ancora più feroce proprio dalla crisi per cui noi siamo qui, oggi. Arraffare tutto, fintanto che rimane qualcosa da arraffare. Badate bene, però, che non stanno soltanto rubando i nostri soldi, il nostro duro lavoro: ci stanno derubando del tempo! Ma il tempo non è infinito, non è come le risorse custodite dal braccio di Orione, il tempo, compagni, quello si sta esaurendo. Come la nostra pazienza».

Ci fu un brevissimo calo di tensione nelle luci e nel circuito audio: non c'era nulla di più limitato e aleatorio del funzionamento degli impianti elettronici su quel tremendo pianeta. Tutti i sistemi vitali del campo base di Catling, gli impianti automatici delle miniere e delle cave circostanti, dei cantieri e degli alloggi godevano di riserve di batteria, ovviamente, ma non la zona ricreativa. Era in corso una controversia sindacale, al riguardo. «Minatori, operai, coloni coraggiosi, compagni!».

Una nuova pausa.

«Non è più tempo di preoccuparsi solo del proprio contratto individuale, non è più tempo di concentrarsi solo sul proprio piccolo profitto. Per troppi anni abbiamo dato per scontato le garanzie che ci sono venute dalle passate lotte collettive, dai sacrifici e dalle persecuzioni. Abbiamo creduto che i contrasti interni al sistema fossero ormai solo un brutto ricordo e che, dopo la catastrofe del ChainCrack, con la nostra partenza si potesse infine serenamente lavorare, tutti padroni di se stessi, tutti consapevoli del sacrificio da sopportare all'interno del nuovo organigramma. Ma non è così, non è mai stato così».

Qualcuno nella sala cominciò a lamentarsi del volume troppo alto. Altri stupidamente ridevano a ogni parola altisonante nel proclama, a ogni involuto passaggio retorico. Volarono cartacce all'indirizzo dell'altoparlante sul muro. Rimbalzarono mute e lì rimasero, a galleggiare nei pressi.

«La Metrobubble che sembrava accoglierci come figli, che ci ha preso per mano, uno a uno, accompagnandoci all'imbocco della nostra strada, lo ha fatto solo per abbandonarci alla mercé di questi aguzzini ingannatori, questi fantasmi di un arcaico capitalismo rinato in astro-capitalismo, spietato e disumano in una maniera che nemmeno la prima sofferenza industriale della Terra ha mai visto. La Terra e con lei l'intera Spira di Sol, che ignora e continua a ignorare la nostra pena, la tremenda ingiustizia che qui si consuma...».

«Basta!».

«Stacca quell'affare».

«Se volevamo sentire questa lagna te la facevamo mettere in condivisione» borbottò un operaio sventolando il proprio smartwear su un paio d'occhiali tirati sopra la sua chioma spettinata e sporca. Dopo diede alla cannuccia ermetica della sua bottiglia una succhiata che sembrava non finisse mai. Il rutto sonoro che ne seguì fece ridere un po' tutti nella mensa.

«Dobbiamo essere uniti, prepararci alla lotta in difesa dei nostri diritti, una nuova lotta di classe. Altrimenti, quando i padroni decideranno di toglierci tutto, finiremo per combattere tra di noi. Operai, compagni e soldati! Quale che sia la vostra opinione, preparatevi! Perché la rivoluzione incombe su di noi...».

«Finiscila!».

«Spegnetelo».

Un bicchiere di latta colpì in pieno il guanto, staccando lo smartwear dal cavo che lo teneva all'altoparlante. Dopo essere rimbalzato sul muro, il dispositivo rimase a mezz'aria fino a quando non venne raccolto dal proprietario, il povero Koenig, muto e contrariato, che se lo rimise in tasca.

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