Cosa è successo a Terry Brooks?

a cura di Mirco Tondi

Terry Brooks è uno scrittore statunitense che da più di quarant’anni pubblica e vende romanzi in tutto il mondo. Conosciuto soprattutto per le sue opere fantasy (ma ne ha realizzate anche di altro genere quali Hook – Capitan Uncino, Star Wars Episodio I – La minaccia fantasma e l’autobiografia A volte la magia funziona – Lezioni da una vita di scrittura), in special modo per la saga di Shannara, deve il suo successo proprio alla pubblicazione del primo volume di questa lunga serie, La spada di Shannara.

Terry Brooks - Immagine rilasciata sotto licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International, fonte Wikimedia Commons, utente Jaqen

Terry Brooks.

Come riportato in A volte la magia funziona, Lester del Rey (scrittore, critico e soprattutto direttore editoriale), la persona che aveva ricevuto e letto il manoscritto del suo primo lavoro, considerò La spada di Shannara “come potenzialmente la migliore fantasy epica dopo Il signore degli anelli di Tolkien” [nota 1].

Lester del Rey vide giusto nel puntare su Terry Brooks, anche se, obiettivamente, La spada di Shannara non è stato il miglior romanzo di questo autore: sembrava l’ombra del più famoso Il signore degli anelli, ricalcando e ricordando troppo l’opera di Tolkien. Tuttavia, il successo di vendite di quest’opera ha fatto sì che l’editore puntasse ancora su di lui, permettendogli di continuare il suo cammino di scrittore e farlo divenire un’occupazione a tempo pieno, lasciando il lavoro di avvocato. Ed è stata una fortuna, dato che da questo punto in poi si è potuto leggere il meglio della produzione di Brooks.

Dopo La spada di Shannara, Brooks è maturato notevolmente come scrittore, non solo perché si è staccato dal canone tolkeniano, ma perché ha saputo dare una migliore caratterizzazione dei personaggi, cosa che non era successa con il suo primo libro pubblicato. Di ciò i lettori non possono che ringraziare, perché romanzi come Le pietre magiche di Shannara e La canzone di Shannara (secondo e terzo libro della prima trilogia dedicata al mondo delle Quattro Terre) sono di un livello buono, per non dire anche molto buono, grazie sì a trame avvincenti e ben costruite, ma soprattutto alla costruzione di personaggi che rimangono impressi nella mente di chi legge: Allanon, Stee Jans, Garet Jax, sono le figure che più colpiscono, ma Brooks riesce a fare un ottimo lavoro anche con i personaggi secondari.

L’apice con Shannara lo scrittore statunitense lo raggiunge con il ciclo degli eredi di Shannara (Gli eredi di Shannara, Il druido di Shannara, La regina degli elfi di Shannara, I talismani di Shannara): Brooks, con nuovi personaggi (a parte l’ombra di Allanon che li guida dal mondo dei morti), trecento anni dopo le vicende de La canzone di Shannara crea una trama ancora più ricca, complessa e avvincente. Il giudizio può essere soggettivo, ma Brooks in questo ciclo dà il meglio di sé, sia per la caratterizzazione dei personaggi sia per i temi trattati. Senza contare che in questi romanzi persino le ambientazioni delle avventure possono essere considerate dei personaggi, basti vedere Paranor, Eldwist, Sentinella del Sud, Morrowindl.

Benché Shannara abbia fatto conoscere e apprezzare Brooks, non è stata l’unica serie su cui l’autore ha lavorato: con Il magico regno di Landover, Brooks dà il via alla serie di Landover, creando una storia interessante, dove un avvocato, dopo la perdita della moglie, decide di comprare su un catalogo un regno magico per un milione di dollari. L’idea gli era stata data in prestito per un anno da Lester del Rey, come racconta lo scrittore nella sua autobiografia.

Genesi diversa invece ha avuto la trilogia del Verbo e del Vuoto. Dopo aver pensato alla storia su come scrivere il romanzo Il demone senza trovare un’idea che lo convincesse, un giorno, mentre era in auto in autostrada vicino a Seattle, un altro automobilista gli tagliò la strada in maniera criminale; il fatto gli fece riflettere amaramente sul comportamento umano, di come si fosse persa l’abitudine di essere gentili l’uno con l’altro, di come si stesse distruggendo se stessi e la civiltà, portandolo a pensare che il tutto potesse essere aiutato e istigato da una forza delle tenebre. La storia che voleva creare da queste riflessioni doveva essere un fantasy cupo, con ambientazione moderna, con una forza della luce che si opponeva all’oscurità dall’inizio dei tempi; il tutto scaturito dalla domande che spesso si pone l’uomo sul bene e sul male (da dove nascono questi due elementi, da che parte stare, cosa si sarebbe disposti a sacrificare a essi) [nota 2].

Entrambe le serie consolidarono la fama e il successo di Brooks: alla fine degli anni novanta la sua carriera di scrittore di buone storie sembrava ormai cosa acquisita. Invece, qualcosa è cambiato con l’inizio degli anni duemila: Brooks non è più riuscito a scrivere opere al livello delle precedenti.

Con La strega di Ilse, primo romanzo della trilogia Il viaggio della Jerle Shannara, c’erano grandi aspettative, visto che Brooks tornava a scrivere delle Quattro Terre dopo una pausa di quattro anni dall’ultimo volume che parlava di questo mondo (Il primo re di Shannara, prequel della prima trilogia della saga di Shannara); purtroppo, tali aspettative non sono state rispettate.

I problemi principali di questa trilogia sono tre. I personaggi (a parte uno, Walker Boh, proveniente da Gli eredi di Shannara) non hanno lo stesso carisma e la stessa caratterizzazione dei predecessori. Ci sono delle buone idee ma non vengono sfruttate appieno. L’autore ripete un copione già visto, rovinando oltretutto un personaggio che aveva precedentemente sviluppato molto bene e praticamente rinnegando quanto fatto: non solo Brooks fa divenire Walker Boh un nuovo Allanon (con il suo lavorare nell’ombra, il non rivelare segreti), ma gli fa fare la stessa fine.

La trilogia non solo non soddisfa, ma lascia anche un certo amaro in bocca, con la sensazione che si sia persa una bella occasione di realizzare qualcosa di buono.

Con l’annuncio della trilogia successiva però c’era la possibilità di rifarsi, perché Brooks decise di mostrare cosa si celava oltre il Divieto, ambientando l’avventura nel mondo dei Demoni (il nemico contro cui si è lottato ne Le pietre magiche di Shannara). Purtroppo, Il druido supremo di Shannara ricalca le orme dei tre libri precedenti: non sfrutta a dovere un’idea molto buona e i personaggi non sono incisivi.

Dopo sei libri non proprio eccelsi, si ha il timore che l’autore americano abbia perso l’ispirazione. Tuttavia, con I figli di Armageddon, primo volume de La genesi di Shannara che unisce la saga di Shannara con quella di Verbo e Vuoto, Brooks sembra riprendersi, ritornano ai suoi fasti migliori. Questo almeno nella prima parte del romanzo, quando parla del gruppo degli Spettri e del Cavaliere del Verbo Logan Tom. Poi Brooks fa quello che uno scrittore non dovrebbe fare: scegliere la strada più facile.

Si sapeva, come già scritto, che la trilogia sarebbe stato l’anello di congiunzione tra il mondo moderno in cui è ambientata la lotta tra Verbo e Vuoto e quello di Shannara (la cosa non era una novità, dato che in diverse delle sue prime opere Brooks aveva fatto capire che le Quattro Terre erano sorte dopo le Grandi Guerre, un conflitto dove ciò che era stato prodotto dalla scienza aveva sconvolto il mondo intero); occorreva solo scoprire come. Brooks lo fa nel peggiore dei modi: dopo aver creato una narrazione coinvolgente con le azioni degli Spettri e di Logan Tom, l’autore in un attimo distrugge tutto il sense of wonder realizzato fino a quel punto mostrando che gli elfi sono sempre stati sulla Terra, vivendo senza farsi vedere tra le montagne americane.

Brooks aveva a sua disposizione varie possibilità per fare sì che La genesi di Shannara fosse una pietra miliare della sua produzione, per esempio sfruttando meglio il personaggio di O’olish Amaneh e il mondo degli spiriti cui è legato (il personaggio appartiene ai nativi americani); sarebbe bastato che attraverso la magia del Verbo gli spiriti del mondo di Faerie s’incarnassero, dando vita agli elfi, e uno di loro poi si sacrificasse per dare vita all’Eterea, l’albero magico che sostiene il Divieto, il piano d’esistenza in cui sono confinati i demoni perché non potessero più devastare il mondo.

Di esempi se ne potrebbero fare altri, ma questo è per fare capire la portata della decisione sbagliata presa da Brooks; non si sa per quale motivo l’autore abbia deciso di agire in questo modo (pigrizia, mancanza d’idee), ma tale scelta ha aggiunto un’ulteriore bella macchia sulle sue capacità di scrittore, almeno per quello che riguarda la produzione dal duemila in poi.

Se però si credeva che Brooks avesse toccato il fondo con questa serie, ci si deve ricredere leggendo La principessa di Landover e Le Leggende di Shannara e la ragione è soltanto una: Brooks si adegua allo young adult. Il peggior young adult (per l’aggiunta pure romance). Trame e dialoghi scadenti. Adolescenti che sono gli unici a poter salvare tutto ma che si concentrano a elucubrare sui loro patemi amorosi. Situazioni risolte in modo banale quando non patetico. Per non parlare di personaggi fino a quel momento ben realizzati (Edgewood Dirk, Strabo, il Re del Fiume Argento) che vengono banalizzati in maniera terrificante.

E qui ci si ferma, perché dodici anni e dodici romanzi non all’altezza sono una prova sufficiente per capire come uno scrittore valido si sia andato pian piano perdendo. In questo periodo va ricordato che sono stati pubblicati A volte la magia funziona – Lezioni da una vita di scrittura e Lo spirito oscuro di Shannara (graphic novel), ma benché letture valide non sono sufficienti per salvare una produzione che ha perso qualità un romanzo dopo l’altro.

Nonostante ciò, non si dimentica quanto di buono Brooks ha saputo realizzare, quindi non resta che ringraziarlo per quanto fatto in passato e rileggerlo, magari consigliando le sue prime opere a chi non lo ha ancora conosciuto come scrittore.

Note

[1] A volte la magia funziona – Lezioni da una vita di scrittura. Mondadori 2003, pag. 12.

[2] A volte la magia funziona – Lezioni da una vita di scrittura. Mondadori 2003, pag. 48-50.

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