Crack

di Fulvio Poglio

L'accetta si conficca nel cranio di Giorgio con un suono come di taglialegna che taglia un ciocco di legno spaccandolo in due. Solo il rumore che fa è un po' più viscido e umidiccio.

Crack!

Il metallo penetra fino a metà del collo, dividendolo per lungo, dalla sommità del cranio fino alla mandibola e alla base del collo. Spruzzi di sangue, parti di cervello e grossi frammenti ossei della scatola cranica si spiaccicano contro il muro e imbrattano le pareti di viscidi rivoli e macchie vermiglie, insieme al camice che mi ero procurato fregandolo dallo studio dello psichiatra dal quale ero in cura. Sento l'odore del sangue, dolciastro, che mi cola sulla faccia fino alla bocca. Mi lecco le labbra voluttuosamente, assaporando e suggendo il gusto ferroso che mi penetra in bocca e ostruisce le mie narici.

Lo odiavo, Giorgio, fin da piccolo.

Più bravo a scuola, carismatico, eravamo coppia fissa di amichetti, sentimenti e interdipendenza come solo gli adolescenti possono provare: empatia innata, stesse esperienze, da bambini stessi giochi, stessi gusti e un senso di protezione reciproco contro il resto del mondo, condivisioni di interessi e passioni, ore passate davanti alla Playstation in sfide interminabili, poi da grandi uscite sempre insieme, birre nei pub a caccia di ragazze.

Ma lui era sempre un passo o due davanti a me, io ero la spalla, l'utile idiota che gli serviva per rimarcare la superiorità rispetto all'adolescente brufoloso, timido e impacciato che ero io.

Più affascinante, affabulatore, spigliato, capace di intorti da far girare la testa alle ragazze che inevitabilmente cascavano ai suoi piedi, preludio di conquiste e sicure scopate di cui poi lui si vantava con spocchia e senso di onnipotenza. E io ero sempre la vittima designata dei suoi racconti di successi e vanterie. Eterna spalla, spettatore delle sue performance vincenti che si concludevano per me con inevitabili, tristi e frustranti ritorni a casa da solo. E pippe solitarie nel letto immaginandomi le fighe che si era caricato.

Quanto lo ammiravo!

E lo invidiavo a tal punto da incominciare a odiarlo. Odiavo il suo modo di fare, la sua spocchia, le sue vanterie, il suo modo spigliato e sicuro, la sua verve, la capacità quasi sovrumana di conquista, il suo savoir faire. Un maschio alfa, sicuro del suo fascino e perfettamente in grado di esercitarlo con successo.

E io al traino, sempre secondo, se non ultimo, gregario, spalla, come il ciclista che tira la volata al campione fino all'ultimo chilometro, quando lui ti supera agilmente e va a prendersi il merito della vittoria e del premio.

Alla fine ho cominciato a odiarlo sempre più: lo odiavo e lo subivo patologicamente. Ossessivamente.

Finché ho deciso.

Per euro 49,99 tasse incluse, ho comprato l'accetta al Carrefour di Beinasco.

CRACK!

La sua testa divisa in due fino al collo, spaccata come un melone maturo, e il suono secco e tanto consolatorio.

Quell'accetta era valsa ogni centesimo che l'avevo pagata.


Lo scrittore in erba doveva aver appena terminato l'incipit del suo romanzo psico-splatter, primo tentativo di prestazione letteraria. I profili psicologici dei personaggi e le loro caratterizzazioni erano povere, mal tracciate, anche se un inizio di traccia c'era.

Ne aveva stampata una copia per leggerla con attenzione su carta. Poi, chissà, avrà pensato che stesse scrivendo cose trite e ritrite, niente di originale, brutto e neanche scritto bene. E aveva cestinato il tutto.


Cosa volete che vi dica del seguito?

Mah... ho ancora in mente soltanto quel suono.

Io, che le pagine del suo romanzo le ho recuperate nella spazzatura, posso solo considerare quello scrittore ignaro come la mia musa ispiratrice, il vero iniziatore di questa storia d'amore-odio di due amici, morbosa e patologicamente tragica, finita in tragedia sanguinolenta, ma mi chiedo a mia volta: ha senso un incipit del genere? E poi, dove mi porta, come continuo il racconto. E l'originalità? Mi sembra di fare un pout pourri di argomenti banali, per un pubblico di lettori abituati e assuefatti.

Noia.

Ecco il sunto della mia vita.

Noia, fino a quando non ho udito il suono delle ossa di Giorgio spezzarsi.

CRAAACK!

Per questo ora mi sono seduto qui, davanti al suo portatile posto sulla sua scrivania imbrattata di sangue, a scrivere la prosecuzione di quell'incipit. Perché credo di sapere come continuerà questa storia. Ci sarà un dopo-Giorgio, altri crani spezzati e suoni tanto soddisfacenti.

Meglio delle scopate che mi raccontava il mio caro amico morto.

Sembra ridicolo, anche a me, non vi preoccupate. Già dall'inizio un fallimento, inutile andare avanti, perché ho così tanto da imparare e dovrò fare pratica per molto tempo, forse anni. È ridicola la mia ingenuità nel pensare di poter sconfiggere la noia della mia esistenza in questo modo e di stare qui a scriverlo per raccontarlo, anche solo al poliziotto che leggerà queste poche righe. La mia è solo una pallida imitazione di tanti scrittori veri, capaci di imbastire trame d'impatto, accattivanti, sconvolgenti, originali, noir.

Ma cosa pretendete di originale? In fin dei conti è solo la mia vita.

Tra poco mi alzerò dalla scrivania, spegnerò il portatile imbrattato di sangue gocciolato dalle mie dita sui tasti, mi sfregherò la faccia arrossata, sbatterò un poco il grembiule che gronda di visceri rossi e sanguinolenti, e finirò il mio nuovo lavoro.

Potete starne certi, prenderò l'accetta e continuerò a fare a pezzi Giorgio finendo ciò che ho iniziato.

La mia mente è affollata da tante, forse troppo domande.

Mi sono ricordato di comprare i sacconi neri, quelli robusti in cui mettere i pezzi di Giorgio? E il detergente per pulire le pareti e il pavimento dalle sue tracce ematiche e i pezzi di ossa e di organi? E poi dove li porto? Devo trovare un bidone della spazzatura lontano da casa o seppellirli in qualche luogo appartato, da trasformare nella mia personale area dei ricordi?

Soprattutto, ho una domanda che mi divora da dentro, partendo dalle viscere, senza mai fermarsi nella sua ripetitività ossessiva: "Chi sarà la mia prossima vittima?"

Ancora non ho una risposta, ma so che la troverò presto.

Ah, sì, sarà una notte lunga ed estremamente faticosa.

La prima di molte.

E, a proposito, ve lo dico perché non vorrei scordarmene in mezzo a tutta questa eccitazione che mi pervade: scusatemi se non so scrivere bene.

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