Il nuovo volto della letteratura giapponese: da Mishima a Murakami

a cura di Andrea Moretti

Il Giappone nella nostra cultura

Molti di coloro che affermano di apprezzare la narrativa nipponica poco ne sanno del profondo e radicale cambiamento che questa ha subito nel corso del tempo. Un'evoluzione avvenuta a partire da un'importante pubblicazione che ha tagliato, in modo incendiario, i ponti col passato.

La sfida del samurai, regia di Akira Kurosawa - Immagine utilizzata per uso di critica o di discussione ex articolo 70 comma 1 della legge 22 aprile 1941 n. 633, fonte Internet

La sfida del samurai, regia di Akira Kurosawa.

La cultura nipponica si è imposta prepotentemente nella scena occidentale, divenendo, soprattutto tra gli adolescenti millennial, un marchio irreprensibile dell'universo alternativo anni novanta.

Molti dei cartoni che i ragazzi millennial guardavano da bambini, del resto, non erano altro che riproduzioni anime di noti fumetti giapponesi.

Ed è stato sicuramente questo l'impulso primo da cui è divampato tale fervido interesse verso il Giappone. Titoli come Pokemon, Nana, Ranma, City Hunter, Death Note, Welcome to the NHK, Conan, One piece riecheggiano nostalgicamente nel cervello di tutti i trentenni di oggi.

Nondimeno, anche i gruppi musicali della scena anni novanta, soprattutto quelli di genere indie e alternative rock, attingevano, nel loro look, proprio ad alcune band visual kei giapponesi, i cui componenti si presentavano con un aspetto bizzarro e androgino, dipanando un ventaglio di effetti scenografici mirabolanti.

D'altra parte, non sarebbe neppure la prima volta in cui il Giappone influenza efficacemente la nostra cultura: l'Impressionismo trae ispirazione proprio dalle stampe dei lavori del pittore-incisore Utagawa Hiroshige, diffuse dai commercianti d'arte dell'epoca. Mentre lo storico film Per un pugno di dollari, che ha dato vita al genere spaghetti western nel 1964, non è in verità che un plagio de La sfida del samurai del 1961, opera del regista giapponese Akira Kurosawa. Celebre la vicenda giudiziaria che ne seguì e che si risolse a favore a Kurosawa.

Leone non ammise mai il plagio, mentre il regista nipponico acquisì i diritti di distribuzione del famoso film con Clint Eastwood nel continente asiatico: gli fu riconosciuto, inoltre, il diritto a una percentuale degli introiti di Leone.

L'apertura verso il Giappone

Proprio in virtù dei numerosi spunti forniti dagli anime, è capitato che molti ragazzi, in quel periodo, si siano spinti a esplorare il mondo nipponico più nel dettaglio, addentrandosi nelle brume di quest'universo fiabesco e fascinoso.

Quello che colpisce dei prodotti nipponici - e in generale di qualunque creazione che evada dai canoni occidentali - è il fatto che, per gustarli veramente, ci si senta spinti necessariamente a valutarli secondo un'altra prospettiva culturale, ragionando sulla base di schemi diversi. Un'operazione che accresce notevolmente la nostra sensibilità e apertura mentale.

Così è successo che molti giovani si siano imbattuti in registi quali Takeshi Kitano, Kinji Fukasaku, Takeshi Miike, famoso per il suo cinema ultraviolento e ipercinetico, per la sua assurda e instancabile prolificità e per la sua intima amicizia con Quentin Tarantino.

È capitato che qualcuno sia andato a ricercare cantanti come Anna Tsuchiya, Olivia Lufkin, i Malice Mizar, i Moi dix mois - con il misterioso chitarrista Mana Sama, creatore dello stile gotich Lolita - e i Dir en grey.

Si sa, infatti, come in certi ambiti, un nome ne richiami inevitabilmente un altro, in un dedalo talmente inerpicato da rischiare di perdervisi dentro.

Qualcuno, poi, ha deciso di approfondire persino la narrativa del Sol Levante, lasciandosi travolgere da romanzi come Dance dance dance di Murakami Haruki, Kitchen e Lucertola di Banana Yoshimoto, scrittrice dallo stile semplice e personale, in grado di commuovere senza ricorrere ad alcun lessico ricercato.

Ed è proprio qui che si rischia davvero di smarrirsi nel dedalo; di rimanere talmente intricati nel filo della matassa da non riuscire a venirne a capo.

Giappone classico e Giappone moderno

Così, per tornare all'asserzione iniziale: pochi di coloro che amano la narrativa giapponese - e che sono arrivati a leggere gli autori di cui sopra - sanno che questi esprimono, in realtà, un Giappone molto più spurio, e contaminato dall'Occidente, di quanto non abbiano fatto altri scrittori.

Come sostiene lo studioso Donald Keene, il quale, in molti suoi lavori, si è occupato della storia e della cultura di questo meraviglioso paese, nel Giappone di oggi non si trova più una casa che segua lo stile di arredamento tradizionale. Tutte sono sistemate all'occidentale, con mobili pacchiani e grossolani, imperfette imitazioni dei modelli europei [nota 1].

La musica ascoltata non è più l'enka, bensì gli stessi artisti che ascoltiamo noi.

Nelle librerie vi sono più romanzi francesi che giapponesi; e all'Università di Tokyo gli iscritti a letteratura giapponese sono sempre di meno [nota 2].

I protagonisti dei romanzi di Murakami Haruki viaggiano in macchine dalle marche europee, ascoltano i Rolling Stones, frequentano piscine, grandi hotel, adorano le ragazze bionde, vanno in vacanza alle Hawaii.

L'autore Murakami Haruki, regia di Akira Kurosawa - Immagine utilizzata per uso di critica o di discussione ex articolo 70 comma 1 della legge 22 aprile 1941 n. 633, fonte Internet

L'autore Murakami Haruki.

Se non fosse che vivessero a Tokyo potrebbero essere benissimo, per gusti e stili di vita, scambiati per i protagonisti di un romanzo occidentale.

Pur tuttavia, nel sottofondo di questi scritti, il richiamo al Giappone antico traspare negli elementi della filosofia zen, i discorsi sul karma, i simbolismi visionari, l'ossessione per il suicidio che si respira in ogni personaggio creato da Banana Yoshimoto. Una musica nostalgica all'orizzonte che suona sommessa, senza mai estinguersi: in una sorta di inerte, sognante e timida apatia, ma che è ormai il marchio di fabbrica di tutta la narrativa giapponese contemporanea. L'ultimo filo sottile che ancora lo collega alla tradizione.

Un'eco che sembra destinata a sparire, e per la quale Mishima, Dazai, Kawabata, e tutti gli scrittori della tradizione, figli del Giappone imperiale del secondo conflitto mondiale, si sono suicidati, Mishima infliggendosi il suppuku.

Delusi e amareggiati da un Giappone che sempre più si occidentalizzava e rinunciava alla tradizione, e che si privava del proprio esercito con la stipula del Trattato di San Francisco.

Come scrive Yukio Mishima nel suo saggio Lezioni spirituali per giovani samurai:

"Ciò che odiavo venticinque anni fa continua pervicacemente a sopravvivere, sia pur in forma lievemente diversa. Non solo è sopravvissuto, ma si è propagato e infiltrato con enorme virulenza in tutto il Giappone. È il terribile virus della democrazia del dopoguerra e dell'ipocrisia che essa ha generato. Pensavo che ipocrisie e inganni sarebbero svaniti con la fine dell'occupazione americana, ma m'illudevo. I giapponesi hanno sorprendentemente scelto di farli diventare parte della loro natura. Nella politica, nell'economia, nella società, persino nella cultura [nota 3]".

Il vero Giappone è possibile contemplarlo, dunque, attraverso i testi della tradizione classica giapponese: Genji Monogatari, primo romanzo in assoluto al mondo, pubblicato nell'XI secolo dalla scrittrice Murasaki Shikibu, e che narra degli amori e delle vicissitudini dell'aristocratico Genji; Note sul guanciale di Sei Shonagon, una sorta di taccuino con presenti diverse annotazioni relative alla vita di corte del periodo Heian; i racconti di Ryunosuke Akutagawa il cui famosissimo Rashomon è stato traposto cinematograficamente da Kurosawa.

Possiamo, poi, sulla base delle pubblicazioni a cavallo fra le due guerre, passare in rassegna tutti i sentimenti di contrasto e di repulsione di un Giappone in decadenza, animati da uno zoccolo intellettuale duro e conservatore, che già vede la fine della tradizione e l'inevitabile declino e occidentalizzazione del paese.

Quell'insofferenza è espressa attraverso uno stile di vita decadente, dedito alla dissolutezza, seguito soprattutto dagli esponenti dalla Burai-ha, la scuola decadente giapponese.

Autori come Kawabata ci ricordano quella bellezza classica vagheggiata in modo nostalgico in romanzi quali Il paese delle nevi, Mille gru, La casa delle dame addormentate. Una sensibilità presente anche nei primi lavori di Mishima come La foresta in fiore e La dimora delle bambole.

Dopodiché la sofferenza, la dissoluzione di un paese che sprofonda sempre più verso l'abisso, che ha rinnegato ormai la sua anima, espresse in romanzi come Il sole si spegne e Lo squalificato di Osamu Dazai.

A volte, questo profondo stato di frustrazione si trasforma in un odio viscerale contro la tradizione che assume le sembianze di una bellezza sensuale e malvagia, una femme fatale che annienta il proprio amante e lo depriva di tutto: come possiamo vedere in scritti come La chiave - da cui è stato tratto l'omonimo film di Tinto Brass - e Diario di un vecchio pazzo di Jun'ichiro Tanizaki.

Blu quasi trasparente

Alla fine, l'esplosione, la nuova alba dopo il sole che si è spento di Osamu Dazai, il romanzo, finalmente, che costituisce una completa rottura rispetto alla tradizione letteraria giapponese.

Vincitore del prestigioso Premio Akutagawa nel 1975, Blu quasi trasparente, dell'allora ventiquattrenne Murakami Ryu - da non confondere con Murakami Haruki - narra delle vicende di un gruppo di adolescenti sbandati: tra festini a base di alcool e droga, in degli appartamenti occupati da militari statunitensi, in un Giappone del tutto a pezzi dopo il secondo conflitto mondiale.

Al sogno nostalgico della bellezza giapponese vagheggiata da Mishima e Kawabata, viene sostituito il linguaggio crudo e nichilista di ragazzi che non credono più in nulla.

Copertina di "Blu quasi trasparente", regia di Akira Kurosawa - Immagine utilizzata per uso di critica o di discussione ex articolo 70 comma 1 della legge 22 aprile 1941 n. 633, fonte Internet

Copertina di "Blu quasi trasparente".

Controversa la sua selezione al prestigioso premio letterario Akutagawa, il più importante in Giappone: si dice che un membro della giuria - Inoue Yasushi - il cui voto era oltremodo determinante per il giudizio finale, completamente disgustato dal romanzo, sia stato in verità convinto dal figlio a esprimere una valutazione favorevole.

Il titolo originale doveva essere Kuritorisu ni bata wo (Burro sul clitoride) ma, per ovvi motivi, fu imposto all'autore all'autore di modificarlo.

Proposto, in una nuova versione, dalla casa editrice Atmosphere libri, Blu quasi trasparente era introvabile fino a qualche anno fa.

Con una bellissima copertina new age, che acquista valore nella commovente lettera finale, Blu quasi trasparente rappresenta il canto del cigno di un Giappone ormai consapevole di aver perduto la propria tradizione; la protesta finale di una generazione che grida al cambiamento, a una rivoluzione culturale, alla creazione di nuovi valori.

Dopo questo romanzo, i libri in Giappone non saranno più gli stessi.

Se non ci fosse stato Murakami Ryu a rompere definitivamente con la tradizione, probabilmente, adesso, non avremmo Murakami Haruki né la Yoshimoto; o magari, ci sarebbero, ma non scriverebbero di piscine, di grandi hotel e non citerebbero Eric Clapton.

Consiglio queste letture a chiunque voglia avvicinarsi alla narrativa giapponese:

Yukio Mishima, La dimora delle bambole

Yukio Mishima, Confessioni di una maschera

Yukio Mishima, Una virtù vacillante

Osamu Dazai, Il sole si spegne

Yasunari Kawabata, Il paese delle nevi

Jun'ichiro Tanizaki, La chiave

Murakami Haruki, Dance dance dance

Note

[1] O. Dazai, Il sole si spegne, prefazione di Donald Keene, Giangiacomo Feltrinelli editore, Milano 2009, p. 7.

[2] Ibidem.

[3] Mishima, Lezioni spirituali per giovani samurai, Giangiacomo Feltrinelli editore, Milano 2008, p. 123.

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