Insetti e bestie di fronte alla legge

a cura di Nicholas Humphrey

traduzione italiana a cura di Gianluca Turconi

Il 5 marzo 1986, alcuni abitanti di un villaggio nei pressi di Malacca, in Malesia, picchiarono a morte un cane che ritenevano appartenere a una banda di ladri che si trasformano in animali per compiere i loro crimini. La storia fu riportata in prima pagina dal Financial Times di Londra. “Quando un cane morde un uomo”, si dice, “non fa notizia; ma quando un uomo morde un cane, fa notizia”.

Dettaglio del frontespizio di "The Criminal Prosecution and Capital Punishment of Animals" di E.P.Evans

Dettaglio del frontespizio di "The Criminal Prosecution and Capital Punishment of Animals" di E.P.Evans

A quanto pare, però, queste storie non fanno notizia per molto tempo. Infatti, gli esempi più straordinari di persone che si vendicano degli animali sembrano essere stati quasi del tutto dimenticati. Qualche anno fa mi sono imbattuto in un libro, pubblicato per la prima volta nel 1906, dal sorprendente titolo The Criminal Prosecution and Capital Punishment of Animals (“La persecuzione penale e la pena capitale di animali”) di E.P.Evans, autore di Animal Symbolism in Ecclesiastical Architecture (“Simbolismo animale nell’architettura ecclesiastica”), Bugs and Beasts before the Law (“Insetti e bestie di fronte alla legge”), ecc. Il frontespizio mostrava un’incisione di un maiale, vestito con giacca e calzoni, che veniva appeso a una forca nella piazza del mercato di una città della Normandia nel 1386; il maiale era stato formalmente processato e condannato per omicidio dal tribunale locale. Quando ho preso in prestito il libro dalla biblioteca universitaria di Cambridge, ho mostrato la foto del maiale al bibliotecario.

“È uno scherzo?”, mi chiese.

No, non era uno scherzo. In tutta Europa, per tutto il Medioevo e fino al XIX secolo, gli animali venivano processati per crimini umani. Cani, maiali, mucche, ratti e persino mosche e bruchi venivano chiamati in giudizio con accuse che andavano dall’omicidio all’oscenità. I processi si svolgevano con una cerimonia completa: si ascoltavano le prove da entrambe le parti, si chiamavano i testimoni e in molti casi all’animale accusato veniva concessa una forma di assistenza legale, con la nomina di un avvocato a spese del contribuente per condurre la difesa dell’animale.

Nel 1494, per esempio, vicino a Clermont, in Francia, un giovane maiale fu arrestato per aver “strangolato e deturpato un bambino nella sua culla”. Furono esaminati diversi testimoni, i quali attestarono che “la mattina del giorno di Pasqua, essendo il bambino lasciato solo nella sua culla, il suddetto maiale entrò durante il suddetto tempo nella suddetta casa e sfigurò e mangiò la faccia e il collo del suddetto bambino... che di conseguenza lasciò questa vita”. Dopo aver valutato le prove e non aver trovato circostanze attenuanti, il giudice emise la sentenza:

Noi, in segno di detestazione e orrore per il suddetto crimine, e al fine di dare un esempio e mantenere la giustizia, abbiamo detto, giudicato, sentenziato, pronunciato e stabilito che il suddetto maiale, ora detenuto come prigioniero e confinato nella suddetta abbazia, sarà impiccato e strangolato su una gogna di legno dal maestro delle alte opere”.

Il libro di Evans riporta più di duecento casi di questo tipo: passeri perseguiti per aver chiacchierato in chiesa, un maiale giustiziato per aver rubato un’ostia della comunione, un gallo bruciato sul rogo per aver deposto un uovo. Mentre leggevo i miei occhi si allargavano sempre di più. Perché nessuno ce l’aveva detto a scuola? Perché a scuola ci hanno insegnato tanti fatti tristi della storia e non ci hanno insegnato questi?

Tutti sappiamo come Re Canuto tentò di fermare la marea a Lambeth; ma chi ha sentito parlare, per esempio, delle solenni minacce fatte contro le maree di cavallette che minacciavano di inghiottire le campagne di Francia e Italia? Il pifferaio magico che incantava i topi di Hamelin fa parte della leggenda; ma chi ha mai sentito parlare di Bartolomeo Chassenée, un giurista francese del XVI secolo, che si fece una reputazione come avvocato difensore di alcuni topi? I topi erano stati processati dal tribunale ecclesiastico con l’accusa di aver “divorato e distrutto dolosamente” l’orzo locale. Quando i colpevoli non si presentarono in tribunale il giorno stabilito, Chassenée fece ricorso a tutta la sua astuzia legale per giustificarli. In primo luogo, egli insisteva sul fatto che probabilmente non avevano ricevuto la convocazione, dato che si spostavano di villaggio in villaggio; ma anche se l’avessero ricevuta, probabilmente erano troppo spaventati per obbedire, dato che, come tutti sapevano, rischiavano di essere attaccati dai loro nemici mortali, i gatti. Su questo punto Chassenée si rivolse a lungo alla corte, per dimostrare che se una persona viene citata a comparire in un luogo in cui non può recarsi in sicurezza, può legalmente rifiutarsi. Il giudice, riconoscendo la giustezza di questa affermazione, ma non potendo convincere gli abitanti del villaggio a tenere i loro gatti in casa, fu costretto a lasciar cadere la questione.

Per un animale giudicato colpevole, la pena era severa. Il maiale della Normandia, raffigurato nel frontespizio del libro di Evans, fu accusato di aver strappato il volto e le braccia di un bambino nella sua culla. Il maiale fu condannato a essere “maciullato e mutilato nella testa e nelle zampe anteriori” e poi – vestito con giacca e calzoni – a essere appeso a una forca nella piazza del mercato.

Ma, come abbiamo visto con i topi di Chassenée, l’esito di questi processi non era inevitabile. Nei casi dubbi i tribunali sembrano essere stati generalmente clementi, secondo il principio “innocente fino a prova contraria”. Nel 1587, una banda di tonchi (N.d.T. insetti coleotteri appartenenti alla famiglia dei curculionidi), accusata di aver danneggiato un vigneto, fu ritenuta in grado di esercitare il proprio diritto naturale di mangiare e, in compenso, le fu concesso un vigneto tutto suo. Nel 1457 una scrofa fu condannata per omicidio e “impiccata per le zampe posteriori a un albero da forca”. I suoi sei maialini, trovati sporchi di sangue, furono inclusi nell’accusa come complici. Ma non fu offerta alcuna prova contro di loro e, a causa della loro tenera età, furono assolti. Nel 1750 un uomo e una pecora furono accusati insieme in un atto di corruzione. L’accusa chiese la condanna a morte per entrambi. Dopo un regolare processo l’uomo fu condannato, ma l’animale fu lasciato libero per il fatto che era stato vittima di violenza e non aveva partecipato al crimine del suo padrone di sua spontanea volontà. Il sacerdote del luogo testimoniò di conoscere la suddetta pecora da quattro anni, di essersi sempre dimostrata virtuosa e ben educata, di non aver mai dato occasione di scandalo a nessuno e di essere quindi “disposto a testimoniare che è una creatura onestissima a parole e nei fatti e in tutte le sue abitudini di vita”.

Qual era lo scopo di queste lunghe e stravaganti procedure? Il desiderio di vendetta non può essere stato l’unico movente. Evans cita casi di oggetti inanimati portati davanti alla legge. In Grecia, una statua che cadde su un uomo fu accusata di omicidio e condannata a essere gettata in mare; in Russia, una campana che suonò troppo allegramente in occasione dell’assassinio di un principe fu accusata di tradimento ed esiliata in Siberia.

Illustrazione intitolata "Processo a una scrofa e ai maialini a Lavegny", tratta da The Book of Days, 1863, a cura di Robert Chambers - Immagine in pubblico dominio, fonte The Public Domain review

Illustrazione intitolata "Processo a una scrofa e ai maialini a Lavegny", tratta da The Book of Days, 1863, a cura di Robert Chambers.

Anche la protezione della società non può essere stata l’unica motivazione. Evans racconta che i corpi dei criminali, già morti, venivano portati in tribunale. Papa Stefano VI, alla sua ascesa nell’896, accusò il suo predecessore, Formoso, di aver sacrilegamente gettato discredito sulla carica papale. Il corpo del papa morto fu riesumato, vestito con gli abiti pontificali e posto su un trono in San Pietro, dove fu nominato un diacono per difenderlo. Quando fu pronunciato il verdetto di colpevolezza, il boia spinse Formoso giù dal trono, lo spogliò delle vesti, gli tagliò le tre dita benedicenti della mano destra e gettò il suo corpo “come una cosa pestilenziale” nel Tevere.

Nel loro insieme, i casi di Evans suggeriscono che, ancora una volta, il vero scopo dei processi era psicologico. Le persone vivevano in tempi di profonda incertezza. Sia i greci sia gli europei medievali avevano in comune una profonda paura dell’illegalità: non tanto la paura che le leggi venissero violate, quanto la paura ben più grave che il mondo in cui vivevano potesse non essere affatto un luogo legale. Una statua cadeva all’improvviso su un uomo, un maiale uccideva un bambino mentre la madre era a messa, sciami di cavallette apparivano dal nulla e devastavano i raccolti, la Santa Sede si stava riempiendo di corruzione. A prima vista, queste disgrazie potevano sembrare prive di una logica o di una ragione. In una misura che noi oggi non riusciamo a concepire, queste persone dell’era pre-scientifica vivevano ogni giorno al limite dell’oscurità esplicativa. Non c’è da stupirsi se, come Einstein nel XX secolo, erano terrorizzati dalla possibilità reale che “Dio stesse giocando a dadi con l’universo”.

La stessa ansia ha continuato a pervadere le menti più moderne. L’Ivan Karamazov di Dostoevskij, dopo aver dichiarato che “Tutto è permesso”, concludeva che se la sua tesi fosse stata generalmente riconosciuta “ogni forza vivente da cui dipende tutta la vita si sarebbe inaridita in un colpo solo”. Alexander Pope sosteneva che “l’ordine è la prima legge del cielo”. E Yeats disegnò un cupo quadro di un mondo senza legge:

Girando e rigirando nel gorgo crescente
Il falco non sente il falconiere;
Le cose vanno in pezzi; il centro non regge;
La mera anarchia è liberata sul mondo.

Eppure l’universo naturale, per quanto possa essere sempre stato legale, non è mai stato in tutto e per tutto evidentemente legale. E il bisogno delle persone di credere che fosse così, la loro fede nel determinismo, che tutto non era permesso, che il centro reggeva, doveva essere continuamente confermata dal successo dei loro tentativi di spiegazione.

Così i tribunali, a nome della società, presero in mano la situazione. Così come oggi, quando le cose sono inspiegabili, ci aspettiamo che le istituzioni scientifiche mettano sotto processo i fatti, si può vedere l’intero scopo delle azioni legali come quello di stabilire un controllo cognitivo. In altre parole, il compito dei tribunali era quello di addomesticare il caos, di imporre l’ordine in un mondo di incidenti – in particolare di dare un senso a certi eventi apparentemente inspiegabili ridefinendoli come crimini.

Qualche anno fa ho letto un’altra notizia su un giornale di Londra:

Una donna tradita che ha tentato il suicidio lanciandosi da una finestra al dodicesimo piano, essendo atterrata su un uomo uccidendolo, è stata accusata di omicidio colposo. Il pubblico ministero di Taipei, Taiwan, ha dichiarato che la ventunenne Ho Yu-Mei è responsabile della morte del venditore di generi alimentari perché non si è assicurata che non ci fosse nessuno al di sotto quando è saltata. Ho Yu-Mei ha sostenuto di aver pensato che l’uomo si sarebbe spostato quando lei avesse toccato terra. Ha anche detto di aver minacciato in precedenza di fare causa al commesso perché “aveva interferito” con la sua libertà di togliersi la vita. Se condannata, Ho Yu-Mei potrebbe essere incarcerata per due anni.

Chi dice che l’ossessione medievale per la responsabilità sia scomparsa?

Ma è con i cani come criminali che ho iniziato e con i cani come criminali finirò. Un articolo del Times di qualche anno fa raccontava che un cane morto era stato lanciato da una mano sconosciuta dal tetto di un grattacielo di Johannesburg, era atterrato su un uomo e lo aveva schiacciato – il suddetto uomo aveva quindi lasciato questa vita. Il titolo del giornale recitava – oh, come non è una notizia! – Un cane uccide un uomo. Mi chiedo cosa ne avrebbero pensato Chassenée o E.P. Evans.

Notizie sull’autore

Nicholas Humphrey è uno psicologo teorico, con sede a Cambridge, noto per il suo lavoro sull’evoluzione dell’intelligenza e della coscienza umana. I suoi interessi sono molto vasti. Ha studiato i gorilla di montagna con Dian Fossey in Ruanda, è stato il primo a dimostrare l’esistenza della “vista cieca” dopo un danno cerebrale nelle scimmie, ha proposto la celebre teoria della “funzione sociale dell’intelletto” ed è l’unico scienziato ad aver diretto la rivista letteraria Granta. Tra i suoi numerosi libri ricordiamo Consciousness Regained, A History of the Mind, Leaps of Faith, The Mind Made Flesh e, più recentemente, Soul Dust. È stato insignito di numerosi riconoscimenti, tra cui il Martin Luther King Memorial Prize, la medaglia Pufendorf e il premio per i libri della British Psychological Society.

Licenza del testo e altre informazioni di copyright

Il testo è rilasciato sotto licenza Creative Commons Attribution 4.0 International, © Nicholas Humphrey. Traduzione italiana © 2024, Gianluca Turconi.

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