Il misterioso incidente del Passo Djatlov

a cura di Andrea Micalone

E' il 2 febbraio 1959 quando nove escursionisti trovano misteriosamente la morte in una zona isolata degli Urali Settentrionali. Le autorità, a seguito delle indagini, potranno soltanto concludere che le morti furono scatenate da "una irresistibile forza sconosciuta".

Monti Urali, in Russia. Immagine rilasciata sotto licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic, fonte Wikimedia commons, utente Hardscarf

I Monti Urali nell'attuale Federazione Russa, desolato palcoscenico su cui si svolse il misterioso incidente del Passo Djatlov.

Non è l'incipit di un romanzo fantascientifico, ma un avvenimento reale che a tutt'oggi fa ancora discutere gli studiosi. Tutto ha inizio quando un gruppo di ragazzi dell'Istituto Politecnico degli Urali (l'odierna Università Tecnica di Stato degli Urali) decidono di fare un'escursione con gli sci di fondo per raggiungere il Monte Otorten. Sono dieci persone in tutto, otto uomini e due donne, e a capo della spedizione c'è Igor Djatlov, colui che darà involontariamente il proprio nome al Passo in seguito alla tragedia.

Il 27 gennaio il gruppo giunge a Vižaj e, da lì, inizia a dirigersi verso il proprio obiettivo. Il giorno dopo però Jurij Judin, uno dei membri più giovani, è costretto a tornare indietro a causa di un'indisposizione. A questo punto gli escursionisti sono nove e Judin è probabilmente l'ultimo a vederli vivi.

Il 31 gennaio arrivano sul bordo di un altopiano e iniziano a intraprendere la salita. Il giorno seguente però le condizioni climatiche peggiorano improvvisamente e fanno perdere loro l'orientamento. Il gruppo devia per errore verso ovest e giunge in prossimità del Cholat Sjachl, che nella lingua degli indigeni Mansi significa il "Monte dei Morti". Intuendo l'errore, il gruppo decide di fermarsi per la notte e aspettare il termine della tempesta. Tutto il loro cammino è stato possibile ricostruirlo grazie alle tracce lasciate, ma dal momento in cui si accampano sotto quella strana montagna, avviene qualcosa che cambia l'ordine normale delle cose.

Passano circa venti giorni da quella notte e degli escursionisti non si hanno più notizie. Vengono pertanto allertate le autorità che avviano un'operazione di ricerca. Quando il gruppo viene ritrovato, il mistero aumenta ulteriormente.

Innanzitutto viene rintracciata la tenda del loro campo notturno. E' gravemente danneggiata in modo strano, poiché risulta strappata dall'interno, come se fossero stati i membri stessi della spedizione ad aprirla con violenza, pur di fuggire al più presto. I primi cinque corpi vengono quindi ritrovati in un boschetto nelle vicinanze. Due di questi indossano soltanto la biancheria intima, come se nella fuga non avessero avuto neanche il tempo di rivestirsi, e sono rinvenuti presso i resti di un fuoco. Gli altri tre invece si trovano nello spazio tra il bosco e la tenda, nell'evidente intenzione di tornare indietro. I restanti quattro cadaveri verranno ritrovati soltanto oltre due mesi dopo, sepolti sotto quattro metri di neve nel letto di un torrente. Questi ultimi riportano danni inspiegabili, paragonati dai medici a quelli causati da un incidente d'auto.

Fotografia originale relativa al ritrovamento della tenda dei deceduti sul passo Djatlov, scattata il 26 Febbraio 1959. Immagine rilasciata in pubblico dominio, fonte Wikimedia commons, utente Dominikmatus

Fotografia originale relativa al ritrovamento della tenda dei deceduti sul passo Djatlov, scattata il 26 Febbraio 1959.

Le autorità affermeranno che sei dei cadaveri sono morti per ipotermia, mentre gli altri tre per un insieme di danni letali e ipotermia. Secondo le autopsie, le ferite riportate da questi ultimi non possono essere state inferte da un altro essere umano, poiché hanno fratture causate da pressioni impossibili da generare per un uomo. Inoltre è evidente che tutti i membri della spedizione sono fuggiti dalla tenda sotto una tormenta, seminudi, probabilmente nel cuore della notte, nonostante fossero esperti e sapessero che agire così li avrebbe di certo condotti alla morte dovuta al freddo. Infine, sui vestiti di alcune vittime, viene rilevata una quantità di radiazioni inspiegabile.

Le autorità allora chiusero le indagini, dichiarando che gli avvenimenti erano incomprensibili. Secondo alcuni però ci fu troppa fretta nella decisione di mettere fine al caso.

A distanza di anni sono state avanzate tantissime teorie e c'è una vasta letteratura che cerca di spiegare quello che accadde in quella notte del 2 febbraio 1959. Secondo alcuni probabilmente il gruppo credette di stare per essere travolto da una valanga, per via dell'intenso rumore della tempesta. Questo li avrebbe fatti fuggire e, perdendosi, sarebbero poi inevitabilmente morti per ipotermia. Alcuni, durante la fuga, sarebbero poi precipitati lungo un dirupo e questo gli avrebbe fatto riportare le misteriose ferite di cui tanto si discute. I dubbi però su questa ipotesi, per quanto realistica, sono tanti. Degli escursionisti esperti difficilmente si sarebbero comportati in un simile modo, fuggendo seminudi nel cuore della notte sotto una tormenta.

Alcuni resoconti lascerebbero anche intendere che nella zona fossero stati rinvenuti dei residui metallici e che i militari in quelle zone portassero avanti degli esperimenti. Per tale ragione la brusca fine delle indagini potrebbe anche essere dovuta a un desiderio di insabbiare la questione al più presto, forse a causa di un coinvolgimento dell'esercito russo.

Le ipotesi nel corso del tempo sono state innumerevoli, comprese quelle di carattere ufologico, che vorrebbero anche l'avvistamento di sfere di luce durante quella notte da parte degli abitanti del posto.

Dopo decine di anni di supposizioni, documentari e film, ad oggi la verità è ancora ignota.

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