La psicologia degli Stati

a cura di Gianluca Turconi

Nelle relazioni interpersonali tra individui è comune sviluppare sentimenti o sensazioni che cambiano da soggetto a soggetto. Essi sono di varia natura: paura, invidia, gelosia, amicizia, orgoglio, ira, ecc... e possono modificarsi sia col trascorrere del tempo sia per l'ambiente in cui ci si trova ad agire. Ciò non costituisce una novità e viene dato per scontato come elemento caratteristico della natura umana. Molto più controversa è invece la possibilità che gli Stati, in quanto entità dotate di capacità d'azione e di intervento anche se dovute a intermediazione umana attraverso i soggetti politici, possano nutrire sentimenti analoghi al livello di relazioni internazionali.

Il Capitano francese Dreyfus, protagonista suo malgrado di un episodio di isteria popolare a cavallo tra XIX e XX secolo - Immagine in pubblico dominio, fonte Wikimedia Commons, utente Madelgarius

Il Capitano francese Dreyfus, protagonista suo malgrado di un episodio di isteria popolare a cavallo tra XIX e XX secolo.

E' d'obbligo una premessa. Tutto ciò che verrà in seguito discusso fa riferimento unicamente ai cosiddetti stati-nazione con governo a carattere democratico di cui tenteremo di dare un'esemplificazione esauriente. Per stato-nazione s'intenderanno quelle entità statali riconosciute a livello internazionale da altri soggetti con le stesse caratteristiche, il cui governo è affidato a un individuo o a un collettivo attraverso il sistema parlamentare classico, cioè l'elezione di un Parlamento con una o più camere per mezzo di suffragio universale maschile e femminile con nomina diretta o indiretta di un organo esecutivo. Negli stati-nazione il potere di governo è solo delegato da un insieme culturalmente e storicamente omogeneo che si è soliti definire "popolo". Seguendo una determinazione lessicale di questo genere si palesa la dicotomia tra stati centrali e stati federali con la presunzione che questi ultimi non possano rientrare nel novero degli stati-nazione a causa delle loro caratteristiche multiculturali e multietniche.

Se ciò è fondamentalmente vero per stati quali l'Unione Sovietica comunista che comprendeva al suo interno comunità che non seguivano le indicazioni delle autorità centrali (indipendenza poi confermata ufficialmente con la disgregazione avvenuta nei primi anni novanta del XX secolo) tale asserzione non corrisponde a realtà in altri esempi quali la Svizzera o gli Stati Uniti d'America, dove pur persistendo diversità etniche e linguistiche, si conserva un senso di unità nazionale del popolo che permette di parlare di una psicologia collettiva. E' bene quindi comprendere che si può parlare di psicologia degli Stati unicamente quando l'elemento collettivo democratico che è alla base degli organi esecutivi segue o influenza in tutto e per tutto le decisioni degli organi stessi, indipendentemente dalla forma di governo in cui queste influenze si esplicano.

Partendo da questi presupposti, la ricerca nel campo della psicologia degli Stati subisce una delimitazione temporale necessaria. Ci si riferirà al periodo che va dal 1870 ai giorni nostri, per la cogente necessità di avere esempi repubblicani diversi da quello statunitense. La data di partenza non è casuale, poiché coincide con il tramonto definitivo dell'Impero in Francia, prima repubblica effettiva in Europa. Sebbene l'argomento abbia mille volti e altrettanti studi siano possibili, ci siamo imposti di parlare unicamente di tre espressioni del fenomeno e cioè: l'isteria, la paura o panico e l'indecisione.

Partendo dall'isteria, possiamo indicare una base comune ai tre sentimenti citati e cioè il fatto che si può parlare di psicologia degli Stati unicamente come trasposizione sul piano generale e collettivo degli stati d'animo dei singoli individui. Senza arrogarci la pretesa di dare una definizione corretta di isteria dal punto di vista psicologico, useremo questo termine nel senso di sentimento estremo che, diretto verso qualunque soggetto od oggetto, faccia perdere la capacità razionale di prendere decisioni equilibrate. Abbiamo esempi molto famosi di questo tipo di impulso, già nei primi anni del periodo in esame. Il caso Dreyfus è, infatti, la dimostrazione più lampante di come il popolo possa essere colto da isteria collettiva. Il Capitano francese Alfred Dreyfus, di origine israelita, fu condannato nel 1894 per spionaggio, essendo stato accusato di aver trasmesso al governo tedesco documenti di vitale importanza per la difesa della patria. In ragione delle sue origini, dall'inizio del processo vi furono notevoli discriminazioni razziali che inficiarono la validità del procedimento, senza però evitarne la condanna. Quando nel 1897 fu scoperto il vero colpevole, l'eminente scrittore Zola indirizzò a mezzo stampa una lettera aperta (il famosissimo "j'accuse") al Presidente della Repubblica francese nella quale si accusava lo stato maggiore di aver emesso una condanna senza prove. La vicenda, cominciata come un semplice caso interno alle forze armate, fu ravvivata dai giornali che si accalorarono a tal punto sul caso da dividere l'intera popolazione in due fazioni, una a favore e una contro Dreyfus, non in base alle prove attinenti al processo, ma in base alle origini ebree del capitano. Le manifestazioni popolari che si susseguirono tra il 1898 e il 1906 causarono danni incalcolabili sia a cose sia a persone, mettendo a dura prova l'ordine pubblico interno della nazione francese. Passato il punto massimo di fervore, come tutti gli altri fenomeni di isteria di cui parleremo, la partecipazione popolare scemò, fino a far scomparire nell'anonimato Dreyfus, dopo la sua riabilitazione ottenuta nel 1906.

Un secondo esempio di isteria collettiva, questa volta non limitato a una sola nazione, ma addirittura a carattere europeo, può essere rilevato nei mesi estivi del 1914, subito dopo l'attentato di Sarajevo, quando ancora non vi erano state le dichiarazioni di guerra. La popolazione maschile di Francia, Germania e Austria-Ungheria, cresciuta nel mito della cavalleria ottocentesca con principi di cameratismo militare, corse ad arruolarsi con la foga e l'inconsapevolezza di chi non sa cosa significhi davvero una guerra. I governi delle potenze centrali, composti da individui già predisposti alla lotta armata per le stesse ragioni che abbiamo appena citato, furono in pratica spinti alla guerra dal desiderio popolare. La divisione avvenuta in Italia tra interventisti e non interventisti è particolare e significativa allo stesso tempo. Particolare perché nel medesimo periodo non si ebbe negli altri paesi europei una divisione simile tra pacifisti e fautori della guerra a oltranza, e significativa perché gli interventisti dimostrarono il loro tratto isterico ignorando completamente il pericolo della guerra, tanto da giustificare il mezzo con il fine. Ancora una volta la stampa rivestì un'enorme importanza per l'indirizzamento della volontà popolare che a sua volta influì sul governo.

L'attentato all'erede asburgico Francesco Ferdinando a Sarajevo nel 1914 diede inizio alla gigantesca isteria collettiva popolare che precedette la Prima Guerra Mondiale - Immagine utilizzata per uso di critica o di discussione ex articolo 70 comma 1 della legge 22 aprile 1941 n. 633, fonte Internet

L'attentato all'erede asburgico Francesco Ferdinando a Sarajevo nel 1914 diede inizio alla gigantesca isteria collettiva popolare che precedette la Prima Guerra Mondiale.

Terzo esempio, ancora purtroppo legato all'antisemitismo, è l'incredibile ascesa al potere di Hitler. In una Germania distrutta dalla Prima Guerra Mondiale e provata dalla crisi economica internazionale del 1929, le sensazioni di risentimento e di vendetta nei confronti degli alleati vittoriosi e predatori delle ricchezze tedesche crebbe col passare degli anni, fino a ottenebrare la mente della quasi totalità della popolazione che vide nella figura del Führer la sola via di salvezza. Tale espressione isterica non venne meno neppure con l'inizio della Seconda Guerra Mondiale e con le sconfitte del 1944 e 1945. E' sufficiente pensare a quale fanatismo avessero ancora i ragazzi delle unità della Hitlerjugend durante la difesa finale di Berlino per comprendere come l'indottrinamento nazista e la disperazione per l'incombente pericolo per la Patria non siano sufficienti a spiegare il comportamento della nazione tedesca. Non vogliamo affermare che il popolo tedesco sia naturalmente "cattivo", perché sarebbe un'assurdità, ma più precisamente "isterico" nel senso che abbiamo fino a ora espresso. La sua momentanea mancanza di capacità di intendere e di volere dovuta a quell'eccesso di sentimento è dimostrata anche dal senso di confusione e sfinimento che troviamo nel secondo dopoguerra. Come ogni altra forma sentimentale sproporzionata, l'isteria è sempre seguita da una sensazione di spossamento e di eccessivo rilassamento.

Dopo l'esemplificazione, possiamo tracciare uno schema circolare dell'isteria riferita agli Stati che può essere espresso nel seguente modo: popolo-stampa-governo. L'isteria passerebbe quindi dal popolo, attraverso la stampa, al governo della nazione. Si potrebbe obiettare che il ruolo della stampa e del governo sia generativo dei sentimenti popolari e parzialmente ciò è vero, ma non bisogna dimenticare che l'induzione di valori e principi se va in un senso, va anche nell'altro. Infatti, gli esponenti della stampa e dei governi non sono altro che membri del popolo, in quanto educati secondo principi omogenei (stiamo parlando di stati-nazione dopo tutto).

La paura (o panico nelle sue forme estreme) ha una capacità elevata di attecchire nell'animo umano. Forse per la stessa natura ontologica dell'uomo che non conosce il proprio futuro dopo la morte, forse per l'intrinseca debolezza del corpo umano che può essere facilmente danneggiato o distrutto. Comunque sia, i timori che possono interessare un individuo si trasferiscono agevolmente alle masse. Non parleremo delle paure recondite del diverso che hanno portato ai tristi fenomeni di xenofobia e antisemitismo, ma ci soffermeremo su quella forma di paura più semplice che si esplica quando, a torto o a ragione, ci si sente in inferiorità rispetto a qualcun altro. Sia che questo sentimento abbia fondamenta di verità sia che esso derivi unicamente da un'impressione del soggetto che lo subisce, gli stadi che portano alla sua esternazione sono di norma uguali. Si comincia con la diffidenza, spesso accompagnata dall'invidia, a livello di nazioni, per una migliore condizione economica o tecnologica o per presunte mire su territori propri o di cui si reclama la sovranità, ecc. Successivamente si giunge al sospetto, individuando un nemico in quello che precedentemente era visto come avversario. Infine la conclusione è l'aperta ostilità che in alcuni casi, non certo sporadici, termina con i cosiddetti attacchi preventivi, solitamente considerati come pretesti di mire egemoniche, ma il più delle volte provocati da vera paura collettiva.

Il caso più lampante di questo genere di sentimento è sicuramente l'evolversi delle relazioni franco-tedesche dalle guerre napoleoniche fino alla Seconda Guerra Mondiale. Alternativamente, prima la Germania (Prussia), poi la Francia hanno temuto il proprio vicino naturale, cercando di frapporre tra sé e l'altro una serie di stati-cuscinetto che servissero da protezione per la rispettiva tranquillità interna. La creazione del Belgio e dell'Olanda ne sono prova. Una volta compreso come la distanza territoriale non servisse a diminuire la paura, si è tentato di arrivare a una posizione di dominio o almeno di preminenza, conquistando vantaggi nell'ambito dello scacchiere strategico del Reno. La rivendicazione reciproca dell'Alsazia ha quindi una valenza che va ben al di là del semplice nazionalismo francese o tedesco. La paura francese è ancor più evidente analizzando il tentativo non riuscito di annientare lo stato tedesco sia dopo la Prima Guerra Mondiale, sia dopo la seconda.

Come dimostrato dall'esperienza europea, il timore è tanto maggiore quanto più i due (o più) avversari si equivalgono. Ciò è presente anche nella guerra fredda, dove la paura divenne palpabile nella cosiddetta "strategia della tensione" che, ancor prima di divenire famosa col terrorismo, faceva riferimento all'equilibrio "instabile" basato sulla paura di un olocausto nucleare mondiale. I rapporti russo-americani presentano anche un altro aspetto interessante, in quanto la paura si legò a uno degli episodi più famosi di isteria collettiva: il maccartismo. Questo movimento anticomunista e antisovietico che deve il suo nome al senatore americano Joseph McCarthy, si trasformò in una vera e propria "caccia alle streghe" fondata sull'angoscia provocata dall'ignoto, dalla mancanza di informazioni sull'avversario. Il comunista che "mangia i bambini" usato per spaventare il popolino poco acculturato del secondo dopoguerra italiano è un'ulteriore espressione dello stesso sentimento di paura irrazionale.

Il senatore americano Joseph McCarthy, leader del fenomeno di isteria popolare anticomunista successivamente conosciuto come Maccartismo - Immagine utilizzata per uso di critica o di discussione ex articolo 70 comma 1 della legge 22 aprile 1941 n. 633, fonte Internet.

Il senatore americano Joseph McCarthy, leader del fenomeno di isteria popolare anticomunista successivamente conosciuto come Maccartismo.

L'ultimo argomento su cui ci soffermeremo è l'indecisione. Essa è fondamentalmente il risultato di un profondo complesso di inferiorità che tanto nei singoli uomini, quanto nelle nazioni si esprime o nell'immobilismo o in decisioni incongruenti. L'Italia delle due guerre mondiali riassume in sé tutti i tratti essenziali di un'indecisione patologica. Nella tradizione politica italiana è sempre esistito un concetto chiaramente ispirato alla massima machiavellica "il fine giustifica i mezzi". Già durante il risorgimento e in tutte le guerre d'indipendenza, lo stato italiano si è retto legandosi ad alleanze con altri stati per sconfiggere il nemico. Nulla di male, poiché l'antico adagio "l'unione fa la forza" ha la stessa valenza delle parole del Machiavelli, se non fosse per il fatto che l'Italia non ha mai concepito la possibilità di scegliere l'alleanza sbagliata. L'abbandono della Triplice Alleanza nella Prima Guerra Mondiale e ancor più l'armistizio richiesto nel 1943 ci danno un'immagine di un'Italia puerile che una volta intravista la sconfitta, passa dalla parte del vincitore, proprio come i bambini durante i loro giochi. Quanto detto non vuole essere un'affermazione di immaturità della nazione italiana, ma solamente un dimostrazione fattuale dell'indecisione collettiva di cui essa ha sofferto.

Certo, la mancanza di coerenza può avere anche i suoi lati positivi. Infatti, accorgersi per tempo che la strada scelta non è quella giusta è una qualità di alto valore, però una condotta di questo tipo eletta a politica di governo non può che avere conseguenze disastrose. Innanzi tutto rovinando la reputazione di tale Stato a livello internazionale. In una comunità degli Stati dove non vi è un'autorità suprema che dirima le discordie e gli equilibri sono retti dai reciproci rapporti di forze che a loro volta sono determinati dalle alleanze, è evidente che una reputazione dubbia renda difficile un'esistenza tranquilla all'interno di gruppi di Stati forti. Dopo la Seconda Guerra Mondiale l'Italia ha dovuto riabilitare il proprio nome e non è detto ancor oggi che ci sia riuscita, vista la pessima nomea di cui gode in ambito comunitario europeo.

Arrivando al termine del discorso, possiamo trarre alcune semplici conclusioni che, è obbligo sottolinearlo, hanno valore di pura dissertazione teorica, poiché non sono confortate da controprove empiriche, essendo gli episodi elencati storicamente impossibili da indurre nuovamente senza la piena collaborazione dell'attore principale, cioè il popolo. L'ambito di questa disciplina, la psicologia degli Stati, è ancora largamente inesplorato e perciò ogni tentativo fatto in questa direzione può essere facilmente fonte di controversie sui metodi e sui criteri con cui si è proceduto nella ricerca. Ciononostante ci sentiamo sicuri nell'affermare che esista una psicologia degli Stati, pur con tutte le limitazioni elencate, e che la Storia è stata a più riprese influenzata da essa.

Fonti e letture consigliate

"Gaston Bouthoul, Le Guerre - Elementi di Polemologia, Longanesi.

L'affare Dreyfus (Video RAI)

Interventismo italiano (Documento in formato PDF)

Maccartismo (Treccani - Sezione Cinema)

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