The neon demon

a cura di Andrea Moretti

Salve a tutti ed eccoci nuovamente attivi sulla rubrica mensile di Letture Fantastiche.

Tra dramma e horror, la bellezza svetta sopra ogni cosa per il regista Nicolas Winding Refn - Immagine utilizzata per uso di critica o di discussione ex articolo 70 comma 1 della legge 22 aprile 1941 n. 633, fonte Internet

Tra dramma e horror, la bellezza svetta sopra ogni cosa per il regista Nicolas Winding Refn.

A seguito degli approfondimenti dedicati ai romanzi più significativi ed evocativi circa il periodo di Lockdown passato, la mia penna si concentrerà, in questo momento di riaperture e strepitante entusiasmo, su un film capolavoro del 2016 che mi è capitato di rivedere di recente.

Una pellicola dal sapore estraniante e singolare: con un senso del bello talmente vivido e penetrante che lo spettatore ha l'impressione di affogare in un caleidoscopio proteiforme e adamantino, un susseguirsi di scene taglienti e surreali.

Ci si rende presto conto di quanto il sogno di bellezza evocato superbamente da questo lavoro possieda per la verità dei bordi taglienti; delle gole mostruose e ruggenti che ti inghiottono in un vortice terrificante di incubi.

L'aspetto notevole e originale della pellicola è dato da come il senso feroce e granguignolesco che la permea affiori in maniera molto sommessa e graduale, infettandoti lentamente di un male segreto e logorante.

Nel momento in cui ne scorgi atterrito la presenza, non riesci più a liberartene.

Le stesse parole del regista Nicolas Winding Refn, nel descrivere la pellicola The neon demon sono state quelle di "un film sulla bellezza che celebri il narcisismo come una qualità".

E proprio da questa descrizione emerge quello che è il carattere ancipite del concetto di bellezza espresso dal regista: qualcosa di luminoso e celestiale che possiede, allo stesso tempo, un carattere mostruoso.

Il regista: un esteta della perversione

Il regista di The neon demon non è assolutamente nuovo a stupire il pubblico con un cinema dai tratti avanguardistici e allucinati.

Considerato, insieme a Lars Von Trier, come uno dei più importanti esponenti del cinema danese, Nicolas Winding Refn si è fatto conoscere da tutti con il film Drive, dove vediamo un magistrale Ryan Gosling nel ruolo di un pilota d'auto, in una storia d'amore surreale e iperviolenta.

Il film gli è valso, nel 2011, il Premio miglior regia al festival di Cannes.

Prima di allora, il regista danese si era distinto con titoli audaci ed eccessivi: come la trilogia di Pusher e il leggendario regno di sangue mostrato in Valhalla rising.

Tuttavia, proprio lo stesso Festival di Cannes che decretò il suo successo con Drive, ha accolto piuttosto tiepidamente il suo ultimo lavoro The neon demon, dividendo la critica in modo molto netto.

Qualcuno l'ha interpretato come un'epopea estetizzante di bellezza patinata; altri come un viaggio filosofico intorno al significato reale di bellezza.

Si tratta di un film dal messaggio molto complesso, patinato e infiocchettato in una fotografia glamour, glitterata di scene sinuose e conturbanti, ma che stimola un istintivo senso di disgusto e di ripulsa da parte dello spettatore, con una fedeltà quasi totalitaria al carattere doppio di bellezza inteso dal regista stesso.

Ben più sfacciato e sperimentale del suo compagno Drive - il quale, sebbene superbo, mostra una struttura e un confezionamento decisamente più accessibili - The neon demon ha avuto un effetto sul pubblico tirato e indispettito del Festival di Cannes che era tutto sommato prevedibile.

Già vincitore a Cannes come miglior regista, Nicolas Winding Refn sa stupire e scioccare con le proprie opere - Immagine utilizzata per uso di critica o di discussione ex articolo 70 comma 1 della legge 22 aprile 1941 n. 633, fonte Internet

Già vincitore a Cannes come miglior regista, Nicolas Winding Refn sa stupire e scioccare con le proprie opere.

Un diamante in un mare di vetro

Fra avvenenti piani sequenza di specchi, sguardi lubrici e corpi femminili fluttuanti in una fredda musica techno, il film ci mostra l'arrivo di Gessy, una timida e avvenente ragazza proveniente dalla Georgia, in una Los Angeles crudele e competitiva.

Una Los Angeles fatta di modelle che, pur di possedere le qualità che fanno splendere Gessy, sarebbero disposte a ucciderla.

Il film parte offrendoci un ritratto spietato del mondo della moda e del cinico arrivismo che caratterizza quest'universo sociale; e termina con una riflessione filosofica sulla bellezza e sull'ossessione per l'esteriorità impeccabile e da cartolina: quella che sfuma divina sotto le luci bianche degli studi televisivi, quella sporca, filtrata e ammiccante che trasfigura le modelle nei selfie pubblicati su Instagram.

La bellezza celebrata dal regista, tuttavia, non è tanto quella artificiale quanto quella vera, fresca e naturale. La bellezza che risplende spontanea, senza alcun intervento di modificazione estetica.

In una cinica quanto realistica demitizzazione della ragazza innocente approdata in una grande città, la quale viene letteralmente inglobata e deturpata nell'anima dai ritmi frenetici e demoniaci della metropoli, il registra ci mostra un rapporto di corruzione che si esplica in maniera retroattiva: la ragazza si lascia corrompere e diventa, al contempo, l'elemento stesso che deturpa quell'universo.

L'ossessione consumistica e postmoderna per l'apparenza e l'esteriorità diventa un ripiegamento verso usanze primitive e tribali: il regista si rifà all'antico mito del cannibalismo come modalità per acquisire le qualità della vittima divorata.

In alcune tribù indigene è tradizione mangiare i propri parenti defunti per assorbirne ricordi e capacità.

Il film ci mostra come la bellezza non sia soltanto un dono ma anche un fardello; e come essa possa esistere soltanto come pura manifestazione estetica, libera da ogni orpello e artificio.

Il senso del film è forse racchiuso nelle parole dello stilista Robert Sarno, interpretato da Alessandro Nivola,

«La bellezza non è tutto; è l'unica cosa [...] un diamante in un mare di vetro».

Una purezza incarnata dalla luce viola e vivida del triangolo luminoso che si intravede in vari fotogrammi della pellicola: simbolo stesso del messaggio espresso nel film.

Così, nel metacinema di Refn, l'horror assurge a poesia postmoderna e patinata, che indaga ferocemente sulle ossessioni del mondo contemporaneo.

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