Il Super Soldato, teoria e applicazione pratica

a cura di Filippo Passeri

Dall'immaginario cinematografico della pellicola "Rambo" con Silvester Stallone, alle teorie politico-militari più recenti relative all'utilizzo di forze d'urto numericamente limitate, ma dotate di miglior addestramento ed equipaggiamento, scopriamo la chimera del Super Soldato.

Sylvester Stallone in "Rambo", immagine rilasciata sotto licenza  Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported, fonte Wikimedia Commons, autore Yoni S.Hamenahem

Il personaggio di John Rambo, oltre a fare le fortune dell'attore Sylvester Stallone, è divenuto il prototipo del Super Soldato nell'immaginario popolare.

Da piccolo mio padre mi ha fatto vedere moltissimi film.

Tra tutti ne esiste uno che ha fatto epoca introducendo un concetto prima sconosciuto.

Quel film è Rambo.

Da allora il termine "Rambo", cognome del protagonista John, è diventato sinonimo con cui si possono indicare i fanatici militari o i soldati professionisti.

Questo concetto travalicò talmente tanto il film da cui è nato che i sequel non ebbero nemmeno il barlume del dramma esistenziale e umano presente nel primo. Non si vede più, in quei film, l'agonia del reduce incapace di riadattarsi alla vita civile, un uomo abbandonato dal paese servito con onore che improvvisamente s'inventa dei nemici perché ormai riesce solo a combattere.

No, non si vede più quel disgraziato, fantasma di una guerra perduta e rappresentante di una generazione bruciata. Al suo posto c'è un tizio dai capelli lunghi con la fascia rossa che spara con una M60 e trucida comunisti mostrando floridi muscoli da palestra.

Cosa c'entra tutto questo con l'argomento dell'articolo?

Nulla o tutto.

Già perché a pensarci bene quel film e il brand che ne consegue hanno fatto la fortuna di Stallone, Steven Segal, Chuck Norris o Arnold Schwarzenegger. Tutti attori che sulla leggenda del super soldato hanno guadagnato bei soldi grazie a persone entusiaste di pagare un biglietto per vedere un super uomo vincere da solo un'intera guerra.

Non so se questa sequenza di super soldati cinematografici abbia o non abbia avuto un patrocinio diretto dalle solite lobby politico-militari a cui è sempre gradito appellarsi per spiegare le cose, ma è chiaro che questi film hanno contribuito a creare l'aspettativa e l'idea per cui il super soldato è la naturale evoluzione degli eserciti.

Certo, pensarlo al tempo della guerra fredda era molto rischioso in quanto non si parlava di tenere una regione o fermare un battaglione, né di fronteggiare sparuti gruppi di terroristi in vetta a montagne, ma di contrastare decine di migliaia di uomini, dotati di mezzi blindati, su milioni di metri quadrati di territorio. C'erano ancora vive e al potere persone che la guerra, quella vera mondiale, se la ricordavano bene e anche il generale più idiota avrebbe capito che non si possono vincere le battaglie senza numeri, mezzi, sangue, dolore. Ma ora... ora che i "rossi" non ci sono più... quel pensiero del super soldato è tornato come una cometa ad annunciare sventura sulle politiche stupide e inette delle amministrazioni e sulla superficialità delle opinioni pubbliche.

Infatti, adesso abbiamo il soldato professionista!

Di per sé non è certo un concetto nuovo.

I legionari imperiali successivi alla riforma di Mario potevano definirsi soldati professionisti, anzi lo erano e la loro ferma durava 25 anni. Non oserei discutere animatamente con un centurione a fine carriera. Del resto, anche in periodi più recenti, i britannici del BEF (British Expeditionary Force) all'inizio della prima e della seconda guerra mondiale erano professionisti, in linea con la scelta britannica di usare sempre truppe volontarie fino a quando i politici di turno non ficcavano la nazione in guai seri.

Ma col precedente riferimento non mi riferivo a soldati di mestiere che rispetto in toto. Piuttosto voglio porre l'attenzione sul concetto di usare relativamente pochi super soldati per risolvere le guerre, un concetto diverso da quello che raccoglie l'idea di militare di mestiere. Un'idea priva di un senso strategico e storico analoga a quella secondo cui si possono vincere le guerre con la sola forza aerea.

D'esempio sia che subito dopo le iniziali catastrofiche perdite nella prima guerra mondiale, l'Inghilterra fu costretta ad arruolare coscritti per rinforzare il BEF. (Military Service Act, 1916)

Le legioni romane invece erano accompagnate da Auxilia, arruolati nelle province e organizzati in unità di supporto, spesso armati e addestrati nello stesso modo. E non sfugga al lettore che i confini dell'impero rimasero per molto tempo controllati più da truppe ausiliarie che da legionari.

Un ausilio tattico, in alcuni casi strategico. Reparti in grado di compiere missioni, sostenere uno scontro, ma non vincere una guerra per cui sono necessari non solo le capacità dei singoli, ma un numero sostanziale di mezzi e uomini atti a garantire sia la conquista sia la difesa costante del territorio in modo tale da applicare una saggia gestione politica degli eventi finalizzata alla egemonizzazione dei popoli. La differenza tra egemonia e conquista è un altro discorso che non tratterò in questo momento.

Quindi cosa c'è di sbagliato?

C'è che normalmente il concetto di soldato superiore altro non è che quello con cui s'identificano le unità d'élite.

Un'unità di Marine americani a Bougainville nel 1943, immagine in pubblico dominio, fonte Wikimedia Commons, autore USMC

Questi Marine statunitensi, fotografati a petto nudo durante gli scontri sull'isola di Bougainville nel 1943, rendono bene l'idea delle ragioni per cui certe unità d'élite siano considerate composte da Super Soldati.

Molti lettori potrebbero ora contestare che non esistono più guerre territoriali, ma a mio sostegno domando: non è stata forse una guerra territoriale quella che Israele ha fatto qualche anno fa in Libano? Ovviamente non intesa come conflitto di conquista, ma sicuramente di difesa attiva sul territorio altrui.

In aggiunta, non è forse stata una guerra territoriale quella degli USA in Iraq o della NATO in Afghanistan? Non sono lì quelle truppe per garantire che quei territori non tornino in mano al nemico?

Non è forse una guerra territoriale quella perpetrata ogni giorno dall'ISIS, conseguenza sempre più evidente del mancato controllo del territorio che la coalizione dei volenterosi non ha saputo mettere in atto?

Essendo domande retoriche poste ad arte l'unica risposta è sì, esistano ancora le guerre territoriali e voglio stupirvi con una profezia: esisteranno sempre fin tanto ci sarà l'uomo.

Appurato questo, allora ci troviamo dinanzi a un'assurda commistione di intenti tra militari ansiosi di avere alle loro dipendenza una forza efficiente e i politici che invece hanno interesse che questa forza compia quanto deve fare senza minare la loro influenza sull'elettorato, garantendosi quindi la poltrona e l'appoggio di quella o questa lobby o fazione.

Ed ecco quindi nascere il concetto del super soldato distorto da quello di soldato professionista.

Cioè il desiderio di disporre di un esercito formato da soldati in grado di sviluppare una potenzialità militare tale da sopperire l'esiguo numero.

Un'armata il cui equipaggiamento deve essere il migliore sul mercato, dotata di mezzi rivoluzionari per la gioia delle fabbriche di armi e sistemi d'arma, improvvisamente chiamate a produrre non più una massa economica di prodotti efficienti, ma una massa costosissima di super equipaggiamenti.

Ma la paranoia non si esaurisce qui.

Infatti il concetto di unità d'élite non vuol dire necessariamente un numero limitato di effettivi, ma un livello di addestramento e equipaggiamento di alto livello. Come esempio possiamo guardare al corpo dei Marines americani nella guerra del Pacifico o le SS tedesche in Europa.

Quelle organizzazioni non contavano pochi elementi, ma intere divisioni di soldati meglio armati e meglio addestrati. Nonostante ciò, anche in quei casi, non furono sufficienti per vincere la guerra da soli.

Ovviamente le attuali condizioni strategico-militari del globo sono differenti, ma se facciamo le dovute proporzioni e dividiamo la superficie dell'Iraq, 435.168 Km quadrati, per il numero massimo di soldati americani schierati nella nazione fino al 2011, 160.000 circa, otteniamo che ogni soldato USA doveva controllare un territorio pari a 2,718 Km quadrati da solo.

Anche dimezzando la superficie interessata dall'attività militare USA, rimane 1,35 Km quadrati di territorio a testa per ogni soldato. Ufficiali superiori, cuochi, magazzinieri e imboscati vari compresi. Poi ci sarebbe anche la questione popolazione che, nonostante la buona volontà nella sua riduzione messa in atto dall'U.S. Army e dai contractors, sfortunatamente ancora si aggirava, al tempo del ritiro, attorno ai 23 milioni di abitanti.

Praticamente 148 persone da controllare a testa per soldato.

Cosa ne dite? Più super soldato di così si muore.

E infatti muoiono. Come mosche dire, se consideriamo anche i feriti. Da quando Bush ha dichiarato che la missione in Iraq era compiuta a quando Obama ha deciso di averne abbastanza, l'U.S. Army & C. ha subito circa 35.000 perdite basandosi sulle cifre ufficiali. (vedi fas.org e costofwar.org)

Tre divisioni e mezzo volatilizzate in 9 anni senza aver sostanzialmente stabilizzato la regione né assicurato l'occidentalizzazione dell'area, tanto che di recente Obama ha chiesto nuovamente al Congresso i mezzi politici per schierare ancora una forza militare in grado di fermare l'ISIS nello stesso teatro d'operazioni lasciato solamente 4 anni fa. Un fallimento strategico il cui costo si è tradotto in un dispendio di denaro e mezzi catastrofico, cosa che però non ha stranamente mosso molta acqua in questo stagno placido di assurda incoscienza, dato che la politica vincente in occidente ancora dice che:

"non è necessario avere grossi eserciti costosi e inutili, ma piccole forze armate integrate tra alleati in grado di rispondere celermente alle esigenze strategiche e politiche."

Quella che ormai è conosciuta come la dottrina Rumsfeld.

Il già Segretario per la Difesa statunistense Donald H. Rumsfeld, immagine in pubblico dominio, fonte Wikimedia Commons, autore Chad J. McNeeley

L'ex Segretario per la Difesa degli USA, Donald H. Rumsfeld, è divenuto famoso per la dottrina delle "piccole guerre con piccoli eserciti" che porta il suo nome.

Quindi eserciti leggeri e veloci, con pochi soldati ottimamente equipaggiati e altrettanto bene addestrati. E siccome la cosa ci ha preso un po' la mano, viene fuori che questi eserciti costano più di quelli di grandi dimensioni o, se va bene, costano la stessa cifra. Ciò significa che la perdita del singolo soldato, di un singolo mezzo, di un singolo aereo è molto più grave di quanto non ci si aspettasse.

Eppure, dopo tutti quei film, eravamo convinti non morissero mai.

E invece guarda caso un pezzente, con due giorni di addestramento, un AK47 usato e costato al "nemico" meno di quanto noi paghiamo un singolo stivale, riesce ad ammazzare un super soldato. E di questi pezzenti il "nemico" ne ha a migliaia, centinaia di migliaia!

Anche un rapporto di uno a dieci non è positivo nella bilancia dei costi di una guerra asimmetrica.

Ai nobili medioevali, specialmente Francesi, questa cosa non andava mica tanto giù.

Odiavano profondamente gli arcieri inglesi in grado di abbattere un nobile cavaliere, preparato alla guerra e all'onore in una vita di sacrifici, da distanze disdicevoli per un leale confronto.

E a quanto pare nemmeno ai cari cittadini americani piace questo fatto, dato che l'arruolamento nelle loro forze armate è coadiuvato da notevoli incentivi economici, il più delle volte indirizzati a persone di fasce sociali molto basse, senza altre proposte lavorative valide, specie nei periodi di crisi come questi. Essi sono spesso arruolati con illusorie promesse da reclutatori senza scrupoli che s'aggirano anche nelle scuole.

Un sogno infranto, anni di propaganda andati in fumo e milioni di dollari spesi in armamenti utili solo per i raid.

Ma un risultato è stato decisamente ottenuto. Difatti negli ultimi 10 anni i politici più smaliziati o più incoscienti possono usare il mezzo militare con maggior leggerezza, inviando senza paura di troppe critiche soldati un po' ovunque a difendere gli interessi nazionali, gli alleati, la libertà, l'accesso alle risorse, ecc.

Con un esercito di grandi dimensioni, per definizione popolare, queste scelte si fanno rischiando la propria credibilità presso l'elettorato, specialmente senza eventi macroscopici che giustifichino le grandi mobilitazioni e che assicurino il supporto della popolazione.

Invece il super soldato libera le mani.

Un grosso vantaggio nell'usare i super soldati è di far scoppiare le guerre con maggior facilità e non è un pregio da sottovalutare, sempre si sia in grado di controllarne gli effetti. Clausewitz dice che la guerra è politica fatta con altri mezzi, ma le conseguenze di una guerra spesso devono essere ponderate a priori, cercando di valutare i pro e i contro e i costi che questa guerra potrebbe causare specie se chi politicamente la controlla, non ha la ben che minima idea di ciò che sta facendo o non riesce a vedere più avanti della successiva elezione.

Ed è qui che volevo arrivare.

Tutto ciò che ho scritto è solo la premessa per cui improvvisamente qualche anno fa mi sono reso conto che l'unico metodo quasi sicuro per creare i presupposti per l'uso massiccio di nuovi eserciti dai gradi numeri e dalle terribili aspettative è continuare a pretendere di vincere le guerre con i super soldati.

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