Prigioni in cerca di autore

a cura di Gianluca Turconi

Gli istituti carcerari sono stati spesso al centro di opere letterarie e cinematografiche, da grandi classici come “Il Conte di Montecristo” di Alexandre Dumas a libri di grande valore politico, sociale e umano come Le mie prigioni di Silvio Pellico oppure il famoso film “Fuga da Alcatraz” interpretato tra gli altri da Clint Eastwood. In epoca moderna, purtroppo, sono esistite o esistono ancora altre prigioni divenute famose per il trattamento inumano dei prigionieri e la durezza della detenzione. Meritano di essere oggetto di narrativa thriller da brividi, struggenti biografie o attenti saggi true crime?

Scopriamo quali istituti carcerari vengono attualmente considerati i peggiori del mondo.

Il monumento Delfino Nero che dà il nome alla famigerata prigione russa - Immagine utilizzata per uso di critica o di discussione ex articolo 70 comma 1 della legge 22 aprile 1941 n. 633, fonte Internet

Il monumento Delfino Nero che dà il nome alla famigerata prigione russa.

Delfino Nero (Russia)

Le carceri russe hanno la reputazione di essere molto dure, ma ne esiste una che ha una tale fama di brutalità da essere considerata la peggiore in assoluto del paese e una delle peggiori al mondo. Si tratta della colonia penale IK-6, chiamata anche “Delfino Nero” a causa di un monumento eretto dentro di essa. È situata nei pressi di Orenburg e ospita circa settecento detenuti che hanno ucciso in tutto quasi quattromila persone.

Tra i suoi prigionieri sono inclusi serial killer, cannibali e terroristi veri o presunti tali.

Per questo motivo la sorveglianza delle guardie è continua, ventiquattro ore su ventiquattro, senza nessuna concessione al riposo e alla privacy.

In violazione dei diritti umani dei detenuti, essi sono tenuti bendati quando vengono fatti uscire dalle loro celle, per impedire di riconoscere gli altri detenuti o scoprire punti deboli nel sistema di detenzione.

Le guardie che si occupano della custodia dei prigionieri hanno comunque una considerazione molto limitata dei loro diritti. In un’intervista al National Geographic, il tenente Denis Avsyuk, supervisore delle guardie carcerarie, dichiarò che chiamarli “persone” gli faceva piegare la lingua all’indietro al solo pronunciarlo. Aggiunse, inoltre, che l’unico modo per evadere dalla Delfino Nero era morire, in quanto tutti i detenuti erano condannati all’ergastolo e guardati a vista in maniera asfissiante.

Per quanto se ne sa in Occidente, il tenente non ha ragione: almeno un detenuto, Aleksandr Aleksandrov, riuscì a fuggire nel 2016. Il tentativo precedente di fuga, fallito e organizzato tramite lo scavo di un tunnel poi scoperto, risaliva addirittura al 1960.

Non esiste un cortile vero e proprio della prigione e l’esercizio fisico consiste nel camminare avanti e indietro in un’altra cella, mentre la propria viene perquisita dalle guardie in cerca di armi improvvisate o merce di contrabbando.

Nella Delfino Nero non esiste nemmeno un locale mensa, in quanto i detenuti consumano i pasti quotidiani – quasi sempre solo zuppa e pane nero – direttamente nella propria cella.

I detenuti sono pienamente coscienti della propria condizione in questa prigione.

Infatti, il prigioniero Nikolai Astankov, condannato all’ergastolo per aver assassinato un’intera famiglia e aver dato fuoco ai loro cadaveri, ha dichiarato che è inutile pensare a cos’è stata la vita per lui prima della Delfino Nero e cosa potrebbe essere dopo di essa. Non c’è altra speranza, in quella prigione, che arrivare vivo al giorno successivo.

Gli scontri tra detenuti sono in effetti la prima causa di morte nella Delfino Nero.

E ciò non deve sorprendere se il tuo compagno di cella può essere qualcuno come Vladimir Nikolayev, uno dei più noti assassini russi, che uccise un uomo in una rissa tra ubriachi, lo trascinò nel bagno della propria abitazione, lo fece a pezzi e se ne cibò.

L'interno della prigione di Kamiti in Kenya - Immagine utilizzata per uso di critica o di discussione ex articolo 70 comma 1 della legge 22 aprile 1941 n. 633, fonte Internet

L’interno della prigione di Kamiti in Kenya

Kamiti (Kenya)

La prigione di massima sicurezza di Kamiti, a Nairobi in Kenya, è considerata la più sicura del paese africano e ospita alcuni dei suoi più noti criminali, compresi diversi prigionieri politici nel corso del governo dell’ex presidente Moi, in carica dal 1978 al 2002. Per esempio, furono imprigionati in questa struttura gli scrittori Ngugi Wa Thiong’o e Koigi Wa Wamwere, oltre al leader del partito ODM Raila Odinga.

Tuttavia, la prigione di Kamiti non è divenuta famigerata per questioni politiche, ma per le modalità di vita (e di morte) a cui erano obbligati anche i criminali comuni.

In passato, i criminali condannati a morte venivano giustiziati nel carcere di massima sicurezza di Kamiti. In un articolo del quotidiano keniano Standard è stato rivelato che la maggior parte dei prigionieri temeva il giorno dell’impiccagione. Al momento della decisione finale, cominciava una guerra di nervi per il detenuto che poteva annientare la mente di chiunque. Il prigioniero veniva avvicinato da un prete e rinchiuso in una cella privata per ventiquattro ore prima di essere impiccato. Si conosceva il momento esatto della propria morte e non c’era modo di scamparla.

Una volta che il prigioniero era morto, il boia abbandonava il cadavere al proprio destino, visibile da chiunque nella prigione.

I prigionieri non solo erano sottoposti a un rigido programma, ma erano anche rinchiusi in una struttura sovraffollata e alcuni venivano addirittura uccisi tra le mura della prigione in scontri tra bande. Kamiti avrebbe dovuto ospitare 1.400 prigionieri, ma il numero era spesso tre volte tanto.

La situazione odierna non è migliorata molto.

Qualcuno ha detto che le probabilità di morire per mano delle guardie carcerarie sono pari a quelle a opera dei prigionieri. Un video fornito alla Commissione nazionale per i diritti umani del Kenya ha ripreso le guardie mentre picchiavano i prigionieri senza pietà. L’ex prigioniero Eddy Kuria ha raccontato il suo periodo a Kamiti in un articolo pubblicato dall’organizzazione Kiworld:

la sopravvivenza in prigione dipende dal denaro e se non hai uno scellino allora soffrirai pene inenarrabili. Ho imparato che in prigione si può morire molto rapidamente: senza cure mediche, senza servizi igienici, i prigionieri muoiono come mosche. Le celle erano affollate, con 15 detenuti stipati in stanze di tre metri per tre. Alcune guardie carcerarie controllavano il “matrimonio” tra maschi da parte dei detenuti.

Lo sfruttamento sessuale dei prigionieri è infatti molto diffuso. Dal quotidiano The Star sappiamo che i giovani detenuti entrati in carcere per la prima volta vengono comprati all’asta dai più anziani. L’acquirente, il cosiddetto marito in questo matrimonio forzato, condividerà tutto ciò che possiede con la “moglie”, in cambio di favori sessuali.

È vero che chi vuole redimersi può lavorare duramente in carcere e imparare alcune abilità in prigione. Sfortunatamente, le persone che lavorano nelle carceri sono mal pagate, il che significa che devono risparmiare molto denaro se vogliono ricevere una paga modesta al momento del rilascio. Le leggi sul lavoro carcerario in Kenya non sono mai state aggiornate dagli anni ‘40 del XX secolo e un giorno di lavoro può essere retribuito anche con soli 10 scellini kenioti, corrispondenti a circa 5 centesimi di euro al cambio odierno.

Comunque, il denaro circola molto in prigione, per altre vie. Un reporter investigativo della KTN ha scoperto che le persone con molto denaro a disposizione, derivante da attività criminali esterne o dalle rimesse delle proprie famiglie abbienti, possono vivere come re in prigione. A loro vengono assegnate stanze eccellenti con i comfort più moderni, ma chi non ha soldi è destinato a vivere in celle disordinate e sporche.

Il carcere di massima sicurezza di Kamiti, nonostante queste descrizioni orrende, ha comunque almeno un lato positivo: la recidiva dei detenuti dopo il rilascio è molto bassa.

In verità, nessuno di loro ha alcuna intenzione di tornare in quella prigione.

Un asettico braccio della prigione di Terre Haute - Immagine utilizzata per uso di critica o di discussione ex articolo 70 comma 1 della legge 22 aprile 1941 n. 633, fonte Internet

Un asettico braccio della prigione di Terre Haute.

Terre Haute (U.S.A)

È un complesso carcerario multilivello che comprende una prigione di massima sicurezza, un Istituto Correzionale Federale di media sicurezza e un campo di bassa sicurezza. La struttura di massima sicurezza ospita i detenuti federali del braccio della morte destinati a essere giustiziati. Nel 2008 l’American Civil Liberties Union ha accusato la prigione di avere condizioni “gravemente inadeguate” nell’Unità di Trattamento Speciale, affermando che ai detenuti del braccio della morte venivano sistematicamente negate le cure mediche di base e i servizi di salute mentale di cui necessitano dal principio o in ragione dello stress a cui sono sottoposti in attesa dell’esecuzione. Infatti, il nervosismo e il rumore costante causano mancanza di sonno e disturbi del comportamento molto gravi.

Le condizioni di vita dei detenuti nell’Unità di Trattamento Speciale ci sono così descritte da un assistente religioso che si occupa di quei prigionieri: i detenuti sono lasciati soli in una cella di ridotte dimensioni senza disporre di alcuna attività creativa, sebbene sia concesso loro di uscire dalle celle tre volte alla settimana. Ai detenuti è permesso parlare con gli altri prigionieri presenti nell’Unità tramite l’apertura frontale della loro cella e possono avere contatti con l’esterno tramite chiamate telefoniche sorvegliate o via email sempre sotto controllo. L’accesso alla biblioteca del carcere è a tempo limitato e il diritto è facilmente revocabile dalle autorità preposte. A causa della reputazione dell’Unità di Trattamento Speciale di aver ospitato alcune delle maggiori minacce alla sicurezza della nazione, la prigione viene soprannominata “Guantanamo del Nord”.

L’UTS ha in tutto cinquanta celle che hanno ospitato nel corso del tempo: l’autore dell’attentato dinamitardo alla maratona di Boston, il terrorista di origine cecena Dzohkar Tsarnaev; gli uomini coinvolti nell’attentato al World Trade Center nel 1993; i pianificatori del complotto “Millennium” del 1999 per distruggere l’aeroporto internazionale di Los Angeles; John Walker Lindh, noto come il “talebano americano”; infine il pirata somalo Abdulwali Abdukhad Muse, il cui assalto marittimo è stato drammatizzato nel film Captain Phillips interpretato da Tom Hanks.

Il rigoroso protocollo previsto per le condanne a morte rende ancora più stressante l’attesa per i prigionieri. Da 3 a 12 ore prima della morte, i condannati ricevono un ultimo pasto a loro scelta, cucinato dal personale del carcere. Fino a otto familiari della/e vittima/e possono assistere all’esecuzione, in una tragica recita finale. Il condannato può scegliere un consigliere spirituale, due avvocati e tre familiari o amici che saranno presenti all’esecuzione. I testimoni necessari alla conferma del corretto svolgimento della condanna restano all’esterno della camera di esecuzione e possono essere visti dal condannato attraverso la finestra presente in essa. L’intera procedura diventa quasi un vero spettacolo per la presenza di dieci rappresentanti dei media che possono assistere dalla stessa posizione agli ultimi istanti di vita dei prigionieri condannati a morte. A questi ultimi restano solo due diritti residuali: rilasciare un’ultima dichiarazione al pubblico e designare una persona che si occupi dei loro resti dopo la morte.

San Quentin, prigione con veduta panoramica sulla Baia di San Francisco - Immagine utilizzata per uso di critica o di discussione ex articolo 70 comma 1 della legge 22 aprile 1941 n. 633, fonte Internet

San Quentin, prigione con veduta panoramica sulla Baia di San Francisco.

San Quentin (U.S.A.)

L’istituto penitenziario maschile di massima sicurezza situato a San Quentin, vicino a San Francisco, California, è una delle prigioni più conosciute degli Stati Uniti. L’afflusso di cercatori di fortuna nell’area di San Francisco durante la corsa all’oro del 1849 portò anche un aumento della criminalità. Nel 1852 furono acquistati circa 8 ettari di terreno a San Quentin, con vista sulla baia di San Francisco. I detenuti iniziarono a costruire l’edificio più tardi nello stesso anno e le celle furono completate nel 1854. La prigione di Stato di San Quentin era originariamente composta da 48 celle senza finestre, progettate per ospitare 250 detenuti, anche se questo numero fu rapidamente superato. Oltre ai detenuti maschi, la prigione ospitò anche le detenute in un braccio femminile fino al 1933. In quegli anni, i privati si aggiudicavano contratti per gestire la struttura e in cambio potevano affittare i detenuti per lavori di vario genere. Inoltre, la scarsa sicurezza permetteva frequenti evasioni dalla prigione; nel 1854 più di 80 prigionieri evasero da San Quentin.

Dopo che lo Stato riprese il controllo della prigione, inizialmente vennero nominati dei governatori che ricoprivano anche il ruolo di guardiani. Tuttavia, questa pratica terminò nel 1880 con J.P. Ames che divenne il primo direttore il cui unico compito era quello di gestire la prigione. Durante questo periodo, i detenuti iniziarono anche a pubblicare il Wall City News, definito “l’unico giornale al mondo pubblicato all’interno delle mura di una prigione”.

Nel 1893 ebbe luogo a San Quentin la prima esecuzione statale della California, l’impiccagione di un condannato per omicidio. In seguito, essendo l’unica struttura statale a ospitare esecuzioni a partire dal 1938, a San Quentin sono stati imprigionati numerosi serial killer e altri assassini, in particolare Charles Manson, che è stato probabilmente il suo detenuto più famoso.

Nel corso della sua storia, San Quentin è stato luogo di violenza, soprattutto negli anni Sessanta e Settanta del XX secolo. La mancanza di spazio e i problemi di sicurezza legati all’invecchiamento della prigione hanno portato a chiedere la chiusura della struttura e tali sforzi sono aumentati all’inizio del XXI secolo.

Essendo una delle carceri più antiche degli Stati Uniti, San Quentin è stata citata in numerosi film, programmi televisivi, canzoni e libri. Inoltre, i detenuti di San Quentin sono stati regolarmente presenti negli episodi della serie di documentari televisivi Lockup.

Le terribili celle della prigione siriana di Tadmur - Immagine utilizzata per uso di critica o di discussione ex articolo 70 comma 1 della legge 22 aprile 1941 n. 633, fonte Internet

Le terribili celle della prigione siriana di Tadmur.

Tadmur (Siria)

Gli Occidentali conoscono Palmira per le sue antiche rovine greco-romane, ma il nome arabo che indica questo luogo, Tadmur, fa venire la pelle d’oca alla maggior parte dei Siriani. Si dice che migliaia di dissidenti politici siano stati umiliati, torturati e giustiziati sommariamente nella prigione costruita laggiù. Lo scrittore palestinese Salameh Kaileh vi ha trascorso due anni, dal 1998 al 2000, per essersi opposto agli obiettivi della rivoluzione che ha portato al potere il Terzo Partito del presidente Assad e ha dichiarato che una volta entrato là dentro rimanevano solo la paura e il terrore.

I prigionieri politici furono imprigionati a Tadmur a partite dagli anni ‘70, quando un movimento di opposizione al regime cominciò a guadagnare slancio: i Fratelli Musulmani erano diventati popolari e il loro braccio armato aveva compiuto atti di violenza politica contro l’esercito e il regime di Assad. I più fortunati passarono tre o quattro anni in prigione. Nessuno sa con esattezza quante persone siano state uccise, ma un rapporto di Amnesty International del 2001 ha stimato che una volta in pochi minuti siano state assassinate tra le 500 e le 1.000 persone, la maggior parte delle quali membri o sostenitori dei Fratelli Musulmani. Si ritiene che i loro corpi siano stati gettati in una fossa comune fuori dalla prigione.

Questo istituto carcerario è stato costruito nello stile di un panopticon, un edificio circolare in cui i prigionieri nelle loro celle possono essere costantemente sorvegliati dalle guardie. Gli ex prigionieri hanno raccontato ad Amnesty che la prigione aveva sette cortili, 40-50 dormitori e 39 celle più piccole. Tutti i dormitori avevano aperture coperte da filo spinato al posto del soffitto per consentire alle guardie di controllare costantemente i detenuti. Qualsiasi contatto visivo tra i detenuti era severamente vietato, come scritto dallo scrittore siriano Yassin Haj Saleh nel suo articolo The Road to Tadmour. Secondo quanto riportato dal poeta Faraj Bayrakdar, si distinguevano le guardie dal colore dei loro stivali, non potendole mai guardare in faccia. Dopo il rilascio, diversi prigionieri hanno impiegato anni per riuscire a stabilire un contatto visivo con altre persone.

Gli ex detenuti parlano spesso delle loro prime ore a Tadmur e della cosiddetta “festa di accoglienza”, la prima tortura che i prigionieri hanno dovuto subire al loro arrivo, comprendente pestaggi indiscriminati e persino la fustigazione pubblica. Alcuni prigionieri sono morti durante quel ricevimento particolare.

I detenuti hanno anche riferito di essere stati umiliati, picchiati e malmenati per tutto il tempo trascorso lì. Si ricorreva a forme di tortura strane e malsane, a volte semplicemente per noia. Una notte, il direttore si affacciò dal lucernario, ordinando a un prigioniero di spostare in cortile tutte le pantofole del dormitorio, circa un centinaio di paia. Altri raccontarono di un episodio in cui due prigionieri furono costretti a tenerne un altro per le braccia e le gambe, a scuoterlo e poi a lanciarlo cadere a terra. Un prigioniero che si rifiutò di farlo fu picchiato alla testa e morì un mese dopo. I prigionieri chiedevano assistenza medica per i detenuti in fin di vita. La risposta delle guardie era sempre la stessa: “Chiamateci per raccogliere il cadavere”.

L’ISIS, il sedicente Stato islamico, dopo la presa della città di Palmira nel 2015, provvide alla distruzione della prigione di Tadmur. Fu una delle poche occasioni in cui nessuno rimpianse le conseguenze della cieca furia distruttiva dello Stato islamico.

Torna a inizio pagina


RSS - FAQ - Privacy

Copyright © 2006-2024 Gianluca Turconi - Tutti i diritti riservati.