Terrore o orrore, due reazioni a confronto - Seconda parte

a cura di Maurizio Garreffa

La reazione al perturbante, paura primaria e secondaria nella loro relazione con il binomio terrore/orrore.

"Raro un silenzio, un solitario orrore / D'ombrosa selva mai tanto mi piacque."
(Petrarca, Sonetto 143)

Secondo passo: la reazione

Abbiamo abbozzato le caratteristiche del perturbante.

Ammesso di trovarci di fronte a una situazione unheimlich, qualcosa dentro di noi si muove e scatta: a questo punto, facendo leva sulle informazioni che ho raccolto, il nostro io si divide in due tipi di reazione plausibili, una che chiameremo positiva e una che chiameremo negativa. Se riconosciamo che la paura è un'esperienza essenziale del vivere umano, quando essa ha la capacità di mobilitare i nostri centri nervosi ("La paura e l'immaginario sociale nella letteratura", R. Runcini), allora avremo una reazione positiva. Stabilito, infatti, che la paura fa parte della nostra vita e regola il nostro equilibrio con il mondo che ci circonda, l'intervento di un fenomeno perturbante può essere in grado di spingere il soggetto all'azione, di dargli la forza di superare la situazione paurosa e permettergli così di raggiungere un nuovo equilibrio, migliore e più maturo del primo. Questa è quella che viene chiamata "paura primaria". Se invece intendiamo l'esperienza paurosa come una rottura del nostro equilibrio, e dunque qualcosa che ci paralizza e ci annichilisce, la reazione che avremo sarà negativa. Questa è quella che viene chiamata "paura secondaria".

In parole povere:

  1. Paura primaria: la paura stimola e fa reagire la persona, che controlla e supera la minaccia.
  2. Paura secondaria: la paura paralizza l'individuo e lo rende inerme, passivo di fronte all'oggetto/persona. Non c'è reazione, ma annichilimento.

Ora, le domande sono: paura primaria e secondaria si manifestano separatamente a seconda dell'individuo in questione? Se si presenta una non si manifesta l'altra? Oppure sono consequenziali?

Mi rendo conto che stiamo parlando di cose che non c'entrano con la letteratura, ma credo abbia un senso soffermarci sul comportamento umano, perché cosa sono i racconti e i romanzi se non la trasposizione su carta delle debolezze (o delle grandezze) delle persone che vivono il mondo oggi?

Per rispondere alle domande che mi sono posto, ho raccolto qualche dato in ambito psicofisico, ambito che non ho nessuna intenzione di spiegare, ma solo di prendere come esempio. Secondo Marco Baranello, esperto di psicologia emotocognitiva (a livello scientifico e non retorico), la paura viene intesa sempre negativamente dall'organismo del soggetto, il quale tenterà di superarla oppure ne sarà sopraffatto ("I concetti di sofferenza primaria e sofferenza secondaria in psicologia emotocognitiva", M. Baranello, SRM rivista di psicologia, Roma 2006). Secondo l'esperto, la paura primaria è una sensazione di angoscia, dolore, disagio, che vengono prodotti da una determinata situazione all'interno dell'organismo della persona; la paura secondaria è il risultato dei tentativi della persona di risolvere la paura primaria. Per essere più chiari, la sofferenza primaria è il prodotto diretto e automatico dell'organismo di fronte a una situazione (come sintomo, stress, esperienza, ecc...), la sofferenza secondaria è ciò che nasce dal tentativo psico-sociale di risolvere quella primaria.

Anche: la sofferenza primaria è una soluzione, quella secondaria è il problema.

"Immaginiamo che dobbiamo per forza di cose telefonare a una persona che non sopportiamo, che ci annoia e che ci disturba. Se alla prima sensazione di disagio del tipo: "devo chiamare ma proprio non mi va..." prendiamo il telefono e chiamiamo, vivremo di certo quello stato di disagio e di sofferenza (nessuno lo eliminerà), ma lo vivremo per il tempo necessario, quello della durata della telefonata. Questa è la paura primaria, una sofferenza che è inevitabile per definizione, ma che termina soltanto quando la sperimentiamo, quando la viviamo senza contrastarla. Se invece, ed è la tendenza molto comune, rimandiamo la telefonata il più possibile per cercare di evitare la sofferenza primaria, allora stiamo allungando i tempi della sofferenza stessa: alla sofferenza che ci causerà comunque telefonare si aggiunge quella relativa al tempo che intercorrerà fino a quando non saremo costretti a telefonare. Spesso, anzi, la sofferenza sarà di intensità maggiore. Questa è la paura secondaria che, sicuramente, avrà una durata maggiore della durata della telefonata stessa che, comunque, produrrà ugualmente quel disagio che stiamo cercando di evitare." (Marco Baranello, 2006)

La paura secondaria segue la primaria, in ogni senso.

Eccoci dunque al punto: il soggetto si trova di fronte a una situazione perturbante che il suo organismo subito riconosce e cataloga come esperienza paurosa. Il suo organismo ha una reazione positiva (primaria) che lo spinge a reagire e a superare la paura, e una reazione negativa (secondaria) che lo paralizza se non avviene alcun tentativo psico-sociale in grado di risolvere il problema che gli è di fronte. La domanda è: si può paragonare la dicotomia paura primaria/secondaria alla dicotomia orrore/terrore?

Orrore o terrore? Dunque: c'è differenza tra loro? In cosa consiste?

Molti sono abituati a usarli quasi come sinonimi, altri non li sanno usare al posto giusto e chi comincia a muovere i primi passi nella scrittura spesso si trova in difficoltà. Almeno, a me è capitato più di una volta quando cominciai (senza rendermene troppo conto) a scrivere di paura. Cominciamo a diversificare i due sostantivi a livello di dizionario, quei pochi che ho in casa, per renderci subito conto degli elementi che li caratterizzano. Sul Grande Dizionario Garzanti (Milano 1991) alla voce terrore viene riportato: "sentimento di forte sgomento, di intesa paura; cosa o persona che sgomenta;" alla voce orrore, invece, si legge: "sentimento di forte paura e ribrezzo destato da ciò che appare crudele, ripugnante in senso fisico o morale." L'elemento che salta subito all'occhio è il termine ribrezzo, che accosta l'orrore a una situazione (e a una reazione) più fisiologica (vomito, disgusto, nausea. Non a caso il Garzanti usa ripugnante). Terrore va dunque a legarsi a un ambito prevalentemente psicologico, tant'è vero che sul dizionario dei sinonimi e dei contrari della lingua italiana orrore viene citato quale sinonimo di terrore, mentre non avviene il contrario: alla voce orrore è riportato ribrezzo, ripugnanza, raccapriccio, schifo, oscenità. L'Oxford English Dictionary (l'edizione che ho consultato è del 2001) conferma la teoria: "Terror: very great fear; an instance of great fear", e "Horror: a feeling of great fear or shock mixed with disgust". Sul dizionario Zingarelli, mentre la definizione di terrore è identica alle altre, per orrore aggiunge: "timore profondo e quasi incontrollabile". Se vogliamo essere sicuri di tutto questo, andiamo a sbirciare tra le pagine del vocabolario di latino. Sul Castiglioni-Mariotti (IL, Loescher, Milano 2001) troviamo: "Terreo: atterrire, spaventare, far tremare", e "Horreo: essere irto, irsuto; detto di esseri animati cui si raggrinza la pelle per il freddo o si rizzano i capelli per paura; inorridire; sensazione fisica di spavento."

Anche in questo caso l'orrore si differenzia perché riguarda l'ambito fisiologico. Dunque:

  1. Terrore: psicologico; assimilabile alla paura primaria che spinge l'individuo alla reazione.
  2. Orrore: fisiologico; assimilabile alla paura secondaria che annichilisce la persona, la quale non controlla più le sue reazioni, subisce l'evento e compie un primo passo verso la follia.

Giulio Dello Buono, che ho seguito nella stesura di queste argomentazioni, riporta questo esempio:

"Due femmine grigie, mezze nude, dai capelli arruffati, coi seni pendenti da streghe e i capezzoli lunghi un dito, erano intente, fra recipienti di fiamma, ad una crudele bisogna. Esse straziavano sopra una bacinella il corpo di un bambino, lo squarciavano con le mani, in un silenzio selvaggio (Giovanni Castorp vide tenui fili biondi misti a sangue) e ne inghiottivano pezzi, così che le ossa scricchiolavano nella loro bocca dalle cui labbra orrende gocciolava il sangue. Un gelido orrore teneva legato Giovanni Castorp. Egli avrebbe voluto fuggire, ma gli sembrava di essere inchiodato al suolo." (La montagna incantata di Thomas Mann, sezione "Neve")

Castorp non riesce a muoversi, è sopraffatto dall'orrore, ossia dalla ripugnanza che gli provoca ciò che vede. Prendiamo invece un racconto di Stephen King: "Il bicchiere della staffa" nell'antologia "A volte ritornano" pubblicata nel 2001. Un uomo sta cercando disperatamente la moglie e la figlia perse nel bosco durante una tormenta di neve, aiutato da due sconosciuti che sanno che in quel luogo (Jerusalem's Lot) accadono fatti strani. L'uomo, nonostante quello che gli dicono, spera ancora di trovarle. A pagina 363 si legge: "Sollevò la testa e ricominciò a urlare nella notte: 'Francie! Janey! Dio, dove sieteee!' E si udiva la disperazione nella sua voce, il terrore che ispirava una gran compassione. La sola risposta che riceveva era il fragore da treno merci del vento." Dopo poco la situazione cambia: la bambina salta fuori dalla neve, ma è cambiata, è diventata un mostro raccapricciante. Se voltiamo pagina, quindi, leggiamo: "Lui neppure si voltò... ma lei sì. Guardò verso di noi e sorrise. E in quell'istante sentii il mio desiderio, la mia brama trasformarsi in orrore gelido come la tomba, bianco e silenzioso come ossa in un sudario. Perfino dall'altura potevamo vedere il luccichio rosso e torvo di quegli occhi. [...] Non era più un essere umano."

Credo che qui si capisca bene come il sentimento sia cambiato da terrore a orrore. La prima era una sofferenza psicologica, che ha spinto il marito (Lumley) a mettersi a cercare moglie e figlia nonostante la terribile leggenda su Jerusalem's Lot. Per il momento è solo terrore irrazionale: è una paura primaria, che mette in movimento il meccanismo interno di Lumley e lo spinge a reagire. Quando vede la bambina, e il suo mutamento in vampiro, è disgustato: la paura è divenuta secondaria, è divenuta orrore, infatti Lumley annichilisce, non riesce neppure a muoversi né a girarsi. Dato che il cambiamento avviene, sulla carta ma anche sul set, nel giro di poche pagine, è facile comprendere la duplice reazione di fronte all'effetto perturbante.

Il terrore spinge all'azione, l'orrore (come quello di Lumley e di Castorp) pietrifica. Un altro esempio molto chiaro, a mio avviso, lo troviamo in un celebre racconto di Edgar Allan Poe:

  1. Terrore psicologico (pazzia) che fa reagire: "Quando ci avvicinammo al centro del vortice in preda al terrore, lasciò la presa e si lanciò verso l'anello dal quale, nella sua agonia di terrore, cercò di strappare via le mie mani, non essendoci posto per due. Non provai mai un dolore maggiore di quando gli vidi fare quel tentativo, sebbene sapessi che era pazzo in quel momento, pazzo furioso per la semplice paura."
  2. Orrore, ribrezzo, che annichilisce: "Nessuno saprà mai quello che provai in quel momento. Tremavo dalla testa ai piedi come sotto un violento attacco di febbre terzana". E questo altro passaggio: "Il vortice del Moskoe-strom era lontana un quarto di miglio [… ]. Se non avessimo saputo dove eravamo e che cosa ci aspettava, non avrei affatto riconosciuto il luogo. Così chiusi involontariamente gli occhi per l'orrore e serrai le palpebre come in uno spasimo."

Per concludere questo aspetto, se consideriamo che la paura è un fenomeno sociale e soprattutto individuale, e che la paura emerge quando l'evento contraddice la concezione del mondo del nostro personaggio, allora diremo che:

"L'evento che crea terrore è un evento che o non contraddice le leggi del nostro mondo, condivise dal personaggio, oppure, anche se le contraddice, rientra nelle leggi di un mondo altro comunque condiviso dal personaggio. Il personaggio prova terrore, ma reagisce nel momento in cui incasella l'evento in uno schema che accresce il suo campo simbolico, viene acquisito e superato: l'incontro con l'altro diventa esperienza. L'evento che crea orrore è un evento che contraddice le leggi del nostro mondo ma che o non viene spiegato neppure con il ricorso alle tradizioni cognizioni sul soprannaturale, o comunque non trova spazio nel nostro spazio simbolico del personaggio. Da qui l'annichilimento e la sconfitta: l'incontro con l'altro è shock." (Giulio dello Buono, Una nota su terrore e orrore)

A questo punto, il precedente riferimento a King diventa lampante: Lumley prova dapprima terrore perché la scomparsa della moglie e della figlia sono comunque razionali e possibili. C'è un bosco e una tormenta di neve, loro sono rimaste sole e si sono perse. È razionale che si siano perse ed è razionale che loro ancora non le trovino: questo alimenta la speranza e viene spiegato dal personaggio secondo una concezione del mondo che è anche la nostra, vale a dire che è facile perdersi in quel modo. Lumley non crede alla storia dei vampiri, ma quando vede che la sua piccola è divenuta un mostro non ha più risposte razionali da darsi: il tutto esce dalla sua concezione del mondo e dalle sue cognizioni sul soprannaturale. Lumley è sconfitto, choccato, non ha reazione e si lascia sopraffare dall'avanzare ipnotizzante della bambina.

Il passaggio dal perturbante alla reazione è stato lungo, a me ha chiarito diversi dubbi.

  1. Il soggetto ha incontrato l'evento pauroso, e ha reagito (terrore; paura primaria) risolvendolo.
  2. Il soggetto ha incontrato l'evento pauroso, e ha reagito (orrore; paura secondaria) tentando di risolverlo ma perdendo la sua battaglia e rimanendo in uno stato inerme, di sconfitta.

Di seguito vorrei riportare molteplici esempi che mi vengono in mente e che ho letto e trovato nelle mie ricerche, ma questo saggio diverrebbe più lungo dell'Autosole, perciò ne parlerò prossimamente e mi fermo qui con queste domande:

Cosa succede quando due persone di diversa cultura si trovano di fronte allo stesso fenomeno pauroso?

E: quali sono le risposte che l'essere umano dà alla paura?

Si deve parlare di spirito di conservazione e/o di istinto?

È possibile eliminare la paura?

Fonti e letture consigliate:

  1. R. Runcini, La paura e l'immaginario sociale nella letteratura. Vol. I°, Il Gothic Romance, Liguori, Napoli 1995.
  2. Giulio Dello Buono, Una nota su terrore e orrore come tecniche narrative e fatti sociali, Dismisura – versione aperiodica on line, Fantasmatico, anno XXVIII, n°120.
  3. M. Baranello, I concetti di sofferenza primaria e sofferenza secondaria in psicologia emotocognitiva, SRM Psicologia Rivista (www.psyreview.org), Roma, 26 giugno 2006.
  4. Il Grande Dizionario Garzanti della lingua italiana, ed. Garzanti, Milano 1991.
  5. IL - vocabolario della lingua latina, Luigi Castiglioni - Scevola Mariotti, ed. Loescher, Milano 2001.
  6. N. Zingarelli, Lo Zingarelli 2007: vocabolario della lingua italiana, ed. Zanichelli, Bologna 2006.
  7. Oxford English Dictionary, Oxford University Press, Oxford New York, 2001.
  8. Vocabolario dei sinonimi e dei contrari della lingua italiana, ed. Polaris, Bergamo 1993.
  9. O. Pianigiani, Vocabolario etimologico della lingua italiana, ed. I Dioscuri, Genova 1988.
  10. Thomas Mann, La montagna incantata, capitolo Neve, volume secondo. Nell'edizione Corbaccio, Milano 1992, pp. 461-491, si legge un'altra traduzione che tuttavia non cambia di molto il senso. In ogni caso, Castorp è impossibilitato a reagire.
  11. S. King, "Il bicchiere della staffa"; in "A volte ritornano";, ed. Tascabili Bompiani, Bergamo 2001, pp. 363-364.
  12. E. A. Poe, Tutti i racconti del mistero, dell'incubo e del terrore, ed. Newton & Compton, Roma 2004, pp. 399-412.

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